Sulla strada non ci si può “perdere”. La strada non è un paesaggio, è un percorso. E' una linea che si snoda e va da qualche parte... Al massimo si può “sbandare”, cioè uscire di “banda”, sbattere contro i limiti, il guard rail. E toccare il limite è esperienza traumatica perchè interrompe il tragitto. Il limite della strada non è in lunghezza, ma in larghezza...
del 17 dicembre 2007
Sulla strada non ci si può “perdere”. La strada non è un paesaggio, è un percorso. E’ una linea che si snoda e va da qualche parte.
 
Certo, la direzione può essere sbagliata. Se voglio andare a Reggio Calabria e prendo la strada per Milano sbaglio strada. Però non mi “perdo” come potrei farlo in un paesaggio nel quale vago senza traccia. Semplicemente… sbaglio. Sto sbagliando. La strada può portare alla “perdizione”, ma finché ci si è in mezzo si marcia, si avanza. Si sbaglia ma non ci si perde.
 
Al massimo si può “sbandare”, cioè uscire di “banda”, sbattere contro i limiti, il guard rail. E toccare il limite è esperienza traumatica perchè interrompe il tragitto. Il limite della strada non è in lunghezza, ma in larghezza. Il limite non sta davanti, in un orizzonte che lo sguardo mai raggiunge. Il limite ci sta accanto, ci accompagna, a volte ci custodisce, verrebbe da dire. In ogni caso il limite fa parte della natura della strada.
 
La strada può essere percorsa in vari modi: ci si può lanciare a tutta velocità alla ricerca di un assoluto avventuroso. “On the road” anche una utilitaria può divenire grande, unica, lanciata a “spolmonare” lungo le strade (Tondelli). L’ansia di libertà e di “beat” si associa spesso alle quattro ruote di una automobile, magari quella dell’autostop. Automobile comunque si dice in molti modi, si può anche invocare “dèmone bello”, come il futurista Marinetti non disdegna di fare: “Io sono in tua balìa…Prrrendimi!…Prrrendimi!”. Ma c’è anche l’automobile “piccola”, quella per cui occorre fermarsi “per cambiare una gomma” (Apollinaire). Ma non sempre l’ “arte della manutenzione” (Pirsig) del veicolo è poca cosa… specie se si guarda alla qualità del viaggio. Ma tutte sono modalità di un cammino che vede l’uomo protagonista che percorre la sua strada: per dovere o piacere. La macchina diventa quasi una protesi o, anzi, un simbolo, dell’uomo.
 
La strada dunque evoca sempre l’uomo che si proietta “on the road”, in cammino. La strada immediatamente sembra mettere l’uomo al centro, con le sue esigenze e le sue aspettative di libertà, di direzione, di progresso…
 
Eppure ci sarebbe un modo diverso di considerare la strada. Proviamo a pensare una strada che facciamo tutti i giorni. Quand’è che quella strada esce dall’abitudine? Quando accade di ricordarci di averla percorsa in un determinato giorno? E’ quando qualcosa o qualcuno ci colpisce lungo la strada; quando qualcosa o qualcuno ci viene incontro. Allora la strada esce dalla sua condizione, esce da se stessa, per scomparire del tutto. Se incontriamo per strada una persona cara o vediamo un oggetto che ci colpisce in una vetrina, allora il nostro andare scompare dall’orizzonte della nostra percezione per aprirci a un incontro. Verrebbe da dire che la vera strada non è quella nella quale io mi incammino ma quella nella quale io “sono incontrato” da qualcuno o da qualcosa.
 
La strada è di per sé nastro di collegamento, “banda” che ci aiuta a scorrere in questo mondo, che è “terra nuda che si srotola” (Kerouac), in direzione di una meta. Ma essa diventa “ambiente” nel momento in cui si confronta non solamente con i nostri desideri e le nostre attese di una meta, ma quando diventa luogo nel quale la mia intenzionalità è infranta e superata; quando sono sorpreso, quando la mia stessa macchina è superata da un incontro. E può essere una persona, un tramonto, un lago, una montagna, un cartello, una stella cometa, qualcosa che mi supera nel momento in cui mi incontra e mi apre al mondo.
Antonio Spadaro S.I.
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