Matilde di tre anni e mezzo per strada, a manina della nonna, confida: «Io ho nella mia pancia i pulcini; senza il becco però», lasciando la nonna immersa in un cumulo di domande: la nipotina ha forse sentito parlare di donne incinte? Qui in città non ha visto certamente dei pulcini, mi dirà forse una sua paura? Si sente ingombra di qualcosa? O vuole forse sentirsi importante?
del 18 novembre 2008
Le domande filosofiche
 
1. Degli inizi
 
Matilde di tre anni e mezzo per strada, a manina della nonna, confida: «Io ho nella mia pancia i pulcini; senza il becco però», lasciando la nonna immersa in un cumulo di domande: la nipotina ha forse sentito parlare di donne incinte? Qui in città non ha visto certamente dei pulcini, mi dirà forse una sua paura? Si sente ingombra di qualcosa? O vuole forse sentirsi importante? L'unica cosa chiara agli occhi indagatori della nonna è che la bambina ha un comportamento del tutto normale tranquillo e che la sua enunciazione-dichiarazione non è correlata a niente di immediatamente antecedente.
Vogliamo aiutare questa nonna? Cominciamo con il dire che Matilde sta enunciando una sua 'teoria degli inizi', che si potrebbe più o meno enunciare così: il vivente ha origine dal vivente. E chiunque, purché sia vivente, può dare origine: non importa se femmina o maschio, se di livello superiore o inferiore della scala biologica. Matilde, infatti, sarebbe stupitissima se si sentisse rispondere: «Ma le bambine non fanno i pulcini!», primo, perché non è al partorire che lei pensava, secondo, perché tutto il suo ambiente psicologico è costellato di sorprese che nulla hanno che fare con la distinzione tra le specie. Anticipiamo subito, qui per inciso, che spesso gli adulti confondono le domande sugli inizi con domande di informazione sessuale.
Ora, però, diamo all'affermazione di Matilde dignità di una domanda (implicita) sugli inizi, per scoprire che tale domanda abita la mente dei piccoli in una forma originalissima. Fino almeno a cinque/sei anni il da dove non ammette la creazione ex nihilo. Un bimbetto quattrenne diceva compunto: «Quando ero piccolo, ero un Bambi; no, ero un lupo; no, ero un cavallo, piccolo però.». Il nostro ometto non sta inventando la teoria della reincarnazione, non sta pensando ad altre proprie vite precedenti sotto specie animali e men che meno sta tentando così di rispondere a domande tipo: perché il dolore, la diversità di condizione sociale, eccetera. In tanti testi di psicologia dell'età evolutiva, invero un po' datati, si diceva che il verbo 'io ero' era il verbo della finzione creativa, dell'immaginarsi altro, del vivere altre vite, del provare e riprovare identità nuove con modalità non esperibili nel suo presente attuale (io ero il dottore tu il malato, io ero il vincitore, il drago, il papà, il principe, eccetera, eccetera). Può darsi. Ma vi è un uso dell'«io ero» assolutamente esplorativo, che fa riferimento proprio agli inizi, cioè all'avvicendarsi dei viventi; poiché gli è impossibile concepire il non-essere, il nulla da cui emerge l'atto creativo, il bambino si trattiene nella linea al di qua dell'essere, all'assolutamente piccolo. Una riprova: alla domanda: «come eri prima di nascere?», Matilde risponde: «ero piccola, piccolissima così» e con le dita fa il gesto di un minimo segmento. «Prima ancora di essere così piccola?», «Io ero piccola piccola», risponde lei cocciuta, come se la domanda non avesse senso. E per questo l'«io ero un lupo, un cavallo eccetera eccetera» non è espansione dell'io, ma semplice inserimento del vivente in una catena di altri viventi. È così che l'essere accade, se volessimo filosofeggiare nella lingua del bambino, come vivente che si origina da altri viventi. In questo modo nulla è cominciato veramente ex novo, eppure tutto ha inizio. Il bambino è un esperto di inizi, ma con significati che ci siamo ormai dimenticati e che varrebbe la pena di ri-esplorare, nella convinzione che il concetto di atto creativo attiene ad una mentalità adulta e matura.
 
2. L'esperienza della datità
 
Esploriamo dunque almeno due significati delle origini nel mondo interno del bambino: il
primo significato è l'esperienza della datità, cui il bambino si adagia con tutta sicurezza e problematicità (quando il suo clima familiare è sano): come a dire 'questa è la mia mamma (il mio papà, il mio nonno, eccetera) non ne voglio una più bella o più brutta, una più ricca o più povera, questa mi è data e questa 'mi va bene', così come è 'mi va bene' (è forse un'eco del tôb biblico?) dove abito, la mia stanzetta, il mio cagnolino eccetera. Il bambino sa stare 'dentro' l'essere, non si mette in posizione di distanza critica; e, da quest'osservatorio, guarda e accoglie tutto ciò che è. E in questa sequela di esseri 'dati' e convergenti nel loro esserci, nel loro essere viventi, succede di tutto, compreso... 'l'avere i pulcini nella pancia', con la precisazione del 'senza becco', a indicare che non possono fare male.
Nell'ortoprassi educativa, che qui ci interessa solo per lo sfondo emerge la nostra responsabilità etica, nel non tradire la fiducia, che è la grande trama su cui poggiano tutti gli esseri, per il bambino. E non solo nel rispettare la fiducia nelle presenze buone che risponderanno ai bisogni del bambino, ma all'avere fiducia anche nel nostro essere sufficientemente 'buoni' per i nostri figli.
 
3. I nuovi inizi
 
E veniamo ad un secondo significato. «Mamma, ci ha perdonato!», diceva commosso Antonio di cinque anni al vedere la cagnolina insperabilmente fuggita dalla famiglia cui era stata ceduta e ritornata alla casa precedente, irrequieta come sempre ed ebbra di felicità. Immediatamente, il piccolo, dopo averla abbracciata, le cambiò la ciotola dell'acqua e del cibo, le promise una nuova cuccia. «Ma perché mai?» chiese la mamma già scura in viso per il ritorno non gradito. «Perché così ricominciamo da capo!». Bisognerebbe essere un poeta per dare voce al magma di significati incarnati nei gesti del bambino: la cagnolina è tornata, ha ritrovato la strada, ci ha perdonato, non ce l'ha con noi, anzi vuole proprio noi. Se ci ha perdonato vuol dire che si può ricominciare, nascere di nuovo, prospettarci un nuovo inizio. Il bambino, cioè, è un esperto delle origini in senso spirituale, etico: poiché prescinde dalle questioni della materia, si mette sulla pista di nuovi inizi invisibili, eppure così gravida di novità e di conversione. Provate a dire ad un bambino, ad esempio, dopo lotte ed incomprensioni «adesso con la nonna cominciamo daccapo, andiamo a trovarla», egli sarà il primo a trattare la nonna come se fosse nata stamani. Se non l'abbiamo istruito e condizionato che i conti si pagano, che bisogna stare attenti a difendersi, a non essere fessi eccetera, il bambino trova sempre la via degli inizi. «Una caramella anche per Elia!», decise la solita Matilde, prendendo dal grande vaso due caramelle. «Ma se ieri ti ha dato uno spintone e ti ha fatto cadere!», si meravigliò papà. Il musetto di Matilde si rannuvolò.
All'uscita dallascuola materna, però, la caramella in tasca non c'era più «Elia ha detto che domani giochiamo», osservò la piccola esperta di inizi.
Per l'ortoprassi educativa: e perché mai non ci lasciamo istruire dai bambini sugli inizi? E, anche, perché mai trascuriamo che anche con ciascun adulto significativo (genitore o educatore) il bambino è disposto a cominciare da capo?
 
4. Una cosmologia
 
E la domanda sugli inizi dell'universo? I bambini hanno una loro 'cosmologia' del tutto coerente: provate a chiedere ad un bambino di quattro/cinque anni come 'sta su' la terra. Le risposte saranno sorprendenti: la terra sta su un drago grande che la porta sulla groppa; o su muna tartaruga; o su due pali grossissimi, come quelli del ponte sull'Adda, o su un pavimento. «E come sta su il cielo?». «Il cielo è un ombrello grande con i buchi che sono le stelle e quando non ci sono le stelle, da quei buchi piove. «E l'acqua che piove da dove viene?», «Da sopra,mno?». Queste e tante altre sono le risposte che abbiamo ottenuto in una nostra piccola ricerca in una scuola materna: orme di una cosmologia 'primitiva' coerente non solo con l'assenza della concezione del nulla, ma con un grande abbraccio (tout se tient) di tutte le cose. Una cosmologia senza Dio? Assolutamente no (come abbiamo visto nel primo di questi convegni su come i bambini ci parlano di Dio), come ha testimoniato un bimbetto alla domanda: «Ma allora cosa c'entra Dio?», «Dio ha la terra e il cielo nella pancia». Per l'ortoprassi educativa: va da sé che non dobbiamo decostruire nella mente del bambino una simile cosmologia, ma dobbiamo essere avvertiti nell'aiutarlo a distinguere tra una fabbricazione artificiale e gli elementi dell'universo: le grandi luminarie natalizie può averle accese... papà, i maestosi alberi del parco può averle piantati un altro papà, un altro ancora può averli potati, ma non sono stati fatti dagli uomini; il bambino può essere accompagnato a guardare il sole la luna e le meraviglie della natura, tenendolo lontano dal sospetto confondente che tutto possa essere prodotto è manipolato.
 
5. Intorno alla nascita
 
Esploriamo ora un aspetto più direttamente relazionale-affettivo per ciò che riguarda la nascita. Soddisfatto, mentre si parava davanti il grande Golfo, il nonno disse al nipotino: «Oh guarda! Il nonno è nato sul lago di Garda!» Al che immediatamente il piccolo Matteo di cinque anni informò: «Ah, io invece sono nato nella pancia della mamma». Come a dire, che stranezza nascere su un lago, molto meglio la pancia della mamma! Attenzione, questo presunto sapere intorno alla nascita non ha a che fare con un realismo adulto (com'è il feto nell'utero? Da dove proviene? Come ne esce?). Molti genitori a domande del bambino di quattro-sei anni del tipo: 'e che cosa facevo lì e come sono entrato nella tua pancia?' tendono a dare risposte di informazione sessuale. E talora in maniera non richiesta e soprattutto precoce, come testimonia quella bimba di sette anni che diceva allarmata alla madre: «ma siamo proprio sicuri che qui non ci siano gli spermatozoi?», indicando oggetti nel bagno. E alla perplessità della mamma, la bambina obiettò: «Ma non hai detto tu che sono invisibili e che entrano nella pancia delle donne?».
«Dove ero prima di nascere» è una domanda di informazione affettivo-relazionale, prima che sessuale. È ora di accorgerci che la risposta 'nella pancia della mamma' (senz'altro migliore rispetto ad ogni altra distorsione di cavoli e cicogne) è inadeguata perché incompleta. Il bambino non ha bisogno di un orizzonte semplicemente fisico, bensì relazionale. Sappiamo benissimo che oggi i bambini vedono di tutto, sono indotti a 'violenze' tipo: 'Qual è la tua fidanzatina? O come siete carini quando vi baciate così!' e via di questo passo. Bambini che appaiono 'spontanei' perché scimmiottano i romanticismi degli adulti... e vengono deprivati delle loro domande vere.
«Dove ero prima di nascere' non concerne la fisiologia del rapporto sessuale, ma - per dir così - la fisiologia del desiderio. Prima di nascere eri nel cuore di mamma e papà, poi sei stato nella mia pancia. E cioè, il bambino cerca la risposta degli inizi, la risposta dell'origine che sta al generante custodire e testimoniare: «tu sei perché sei stato amato».
Ma prima di farci assalire dai dubbi, dai sensi di colpa e dalle incertezze del nostro amore di genitori, gustiamoci la completezza della risposta: non sei qualcosa che è cresciuto nella pancia della mamma, così come cresce un dentino, una parte del corpo. Tu sei un piccolo punto d'arrivo delle nostre storie, del nostro volerci bene, del nostro desiderio: ma non sei solo questo, poiché tu sei un nuovo inizio. Non sei prodotto da noi genitori, un'escrescenza, tu vieni da noi, ma sei nuovo rispetto a noi. Questi non sono discorsi astratti; se sono pronunciati non per dovere d'ufficio, il bambino vi si immerge, vi si lascia abbracciare.
Ma, ancora, una simile risposta relazionale e affettiva, per un credente, non è completa; la risposta: «Dio ti ha voluto attraverso di noi, tu eri nel suo pensiero, nel suo desiderio» non è semplicemente un allargamento del tipo 'dove non arriviamo noi, arriva Lui'. Dio non è la toppa con cui possiamo tappare i nostri buchi o semplicemente scaricare le nostre angosce di inadeguatezza. Il genitore che può dire al figlio 'eri nel mio desiderio' è il genitore che a sua volta si è lasciato amare e desiderare da Dio, parla cioè di un'esperienza che gli sta alle spalle. E in nome della quale può esporsi a generare un figlio. Gli inizi non hanno altra origine che l'amore.
 
6. L'egocentrismo adulto
 
Che dire, invece, quando non solo la risposta alla domanda sulla nascita si rivela inadeguata (e quale non lo è?) ma si rivela di un mostruoso egocentrismo? Talora i bambini attingono abissi di solitudine affettiva proprio in grazia di 'informazioni' pseudo-oggettive che lasciano senza fiato: «da quando sei nata tu, non ho più potuto andare in bicicletta» diceva una madre alla sua piccola; la quale sapeva benissimo che la bicicletta era l'unico mezzo di locomozione dalla cascina al paese, dove non passavano mezzi pubblici e dove l'unica auto di famiglia che mamma non guidava serviva a papà per le sue lunghissime giornate lavorative.
Quale suono poteva avere per le sue orecchie di bambina simile informazione? «Da quando sei nata tu» segnala un inizio infausto, un inizio che non doveva essere. Ci sono molti modi, anche non espliciti, per male-dire (dire male) di questi inizio che il figlio/a incarna. Da quando... non ho più potuto lavorare, non siamo più andati d'accordo, ho dovuto farmi aiutare da mia suocera, ho dovuto cambiar casa, non abbiamo piovuto i viaggi di prima... fino a: «È il mio compleanno papà!», risposta paterna: «Questo è un giorno da dimenticare!». Una musica dolorosa dalla quale il bambino si ripara o chiudendo l'audio e mostrando una sorta di insensibilità o rinunciando ad ogni curiosità, ad ogni iniziativa in proprio (non per niente l'iniziativa, tanto pedagogicamente sollecitata, contiene in sé la parola inizio): bambini spenti che magari vengono rimproverati perché sono 'chiusi' o inspiegabilmente agitati. «Se ci pensavo, non nascevo!» concluse un ometto di cinque anni, dicendo in modo inconsapevolmente lapidario che la responsabilità della sua nascita era ricevuta come colpa tutta sua. Oppure, in una musica ancor più dolorosa «scusa mamma se sono nato»: dove la tragedia appare al suo culmine: per avere te, annullo me!
E quando un genitore, sul versante (apparentemente) opposto dichiara: «Io vivo solo per voi figli, voi siete la mia ragione di vita»? Quale informazione passa attraverso simili 'dichiarazione d'amore'? Il bambino è sensibilissimo al contesto e non ha dubbi che questa sia una dichiarazione di indicibile pesantezza: toccherà solo a lui farsi carico di un genitore che non ha trovato altre ragioni per vivere. La bilancia, di nuovo, pende dalla parte dell'egocentrismo dell'adulto. Ma perché gli inizi devono essere avvolti dalle nostre ipoteche?
 
Gilberto Gillini, Mariateresa Zattoni
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