Sul discernimento

Tra Dio e l'uomo c'è dunque una relazione reale, pertanto una vera comunicazione. Ma in che modo Dio parla all'uomo? Attraverso i pensieri e i sentimenti dell'uomo stesso. Dio non agisce nell'uomo come uri essere estraneo, introducendo in lui realtà che non gli sono proprie.

Sul discernimento

da Teologo Borèl

del 30 giugno 2009

PREMESSA

Già da parecchi anni si è tornati a parlare di discernimento, che in ultima analisi significa l’arte di conoscere Cristo e riconoscerlo come nostro Signore e nostro Salvatore. E’ la Chiesa, con la sua tradizione e con il ma­gistero dei suoi pastori che di per sé traccia questo di­scernimento attraverso i tempi e gli spazi per la comu­nità ecclesiale nella sua globalità. E’ questa una prima ac­cezione in cui può essere inteso il discernimento. Ma poiché ciò vale per la Chiesa nella sua interezza, per le singole comunità ecclesiali e la vita individuale delle per­sone con tutta la sua portata concreta, si può parlare di discernimento in tanti modi: c’è il discernimen­to che riguarda gli “spiriti” (ovvero le intuizioni spirituali); c’è il discernimento delle mozioni interiori, dei pensieri e dei sentimenti; c’è il discernimento delle vocazioni, degli stati di vita, ecc. C’è il discernimento delle persone individuali e delle comu­nità. C’è anche un discernimento che riguarda più stret­tamente la morale. Questo libro affronta il discernimento e ne dischiude le dinamiche come arte di comunicare tra Dio e l’uomo e di comprendersi reciprocamente (…).

In tale chiave - il discernimento come comunicazione tra Dio e l’uomo - vanno rispettate due tappe del cammino: una prima tappa di purificazione, che porta ad un’autentica conoscenza di sé in Dio e di Dio nella pro­pria storia, e una seconda in cui il discernimento diviene un habitus (…).

Va chiarito che, nonostante sia utile la conoscenza di testi che trattano questo tema, il discernimento tuttavia è una realtà alla quale bisogna essere iniziati, che richiede un approccio esperienziale-razionale.

Anche questo pic­colo libro pertanto non esime dal fatto che il discernimento vada imparato accanto ad un maestro, nella fatica di un cammino che progressivamente si cerca di rendere sempre più conforme al Signore.

 

II. CHE COS’È IL DISCERNIMENTO

CON CHE COSA SI CONOSCE

Tra Dio e l’uomo c’è dunque una relazione reale, pertanto una vera comunicazione. Ma in che modo Dio parla all’uomo? Attraverso i pensieri e i sentimenti dell’uomo stesso. Dio non agisce nell’uomo come uri essere estraneo, introducendo in lui realtà che non gli sono proprie. Poiché Dio è l’amore, e poiché l’uomo parteci­pa di questo amore nello Spirito Santo, è lo Spirito che agisce come la realtà più intima all’uomo. Anzi, nell’uo­mo, lo Spirito santo agisce nell’amore come la sua più autentica identità. L’azione dello Spirito santo, proprio perché è nell’amore, é percepita dall’uomo come la ve­rità stessa dell’uomo. Perciò i pensieri ispirati dallo Spirito o i sentimenti da Lui infiammati muovono l’uo­mo verso la sua piena realizzazione (…).

Quando si dice che Dio parla attraverso i pensieri e i sentimenti della persona, significa anche che ci sono pensieri e sentimenti attraverso i quali Dio non parla, che addirittura possono farci deviare, confonderci o illu­derci. I pensieri e i sentimenti possono infatti venire dal mondo, dall’ambiente, da noi stessi, dal demone, come pure dallo Spirito santo.

Perché è così importante osservare quali sentimenti accompagnano certi pensieri, oppure da quali sentimenti nascono determinati pensieri? Perché possiamo avere pensieri diversi, tutti buoni, ma non si possono seguire tutti. Il problema non è solo avere pensieri evangelici, ma sapere a quale di essi dedicare la vita, quale seguire. I pensieri, infatti, da un lato compongono quella menta­lità di fondo che crea l’orientamento della persona - e li si tratta di far propri pensieri buoni, giusti, per avere quello sguardo sano, spirituale, come sfondo su cui orien­tare l’intera vita - ma dall’altra compongono anche quelle visioni che sono il motivo delle opzioni e delle scelte orientative della vita, come pure delle piccole scel­te di ogni giorno. Si tratta pertanto di diversi livelli, oriz­zonti, pesi. Alcuni pensieri, se seguiti, escludono di per sé altre possibilità.

Bisogna così essere sicuri non solo che il pensiero sia buono, che sia per la vita, ma che sia per me, per la mia vita. Lo Spirito santo è il “personalizzatore” della salvezza, Colui che fa sì che la persona percepisca la salvezza come a lei presente e per lei.

Ora, l’uomo può comprendere quale sia questo pensiero spirituale speri­mentando la sua integralità, ossia quanto questo pensie­ro coinvolge anche il sentimento, in modo tale da rimanere insieme orientati all’amore, al bene, cioè alla verità, vincendo le resistenze del peccato che si esprime ed è fa­vorito da altri pensieri e sentimenti. L’interazione tra il pensiero e il sentimento è importante perché permette di vedere lo stato di adesione personale a Dio o alle realtà che mi illudono e di fatto mi allontanano da Dio. II sen­timento rivela la mia adesione o non ade­sione e le sue motivazioni (…). I pensieri possono essere anche molto astratti e non avere nessuna relazione con il vissuto. I sentimenti, invece, rivelano più facilmente la concretezza della persona, anche della sua memoria, quindi ci fanno leggere più facilmente pure i pensieri (…).

 

IL DISCERNIMENTO COME ATTEGGIAMENTO

L’interazione tra pensiero e sentimento riesce ad as­sumere il processo del discernimento, ne è una cartina al tornasole, perché indica l’orientamento dell’uomo. Di fatti, è l’orientamento concreto della persona a determinare come essa percepisce i pensieri che le vengono, come d’altronde è a causa di un determinato orien­tamento che nascono in lei determinati pensieri.

L’attenzione all’interazione tra pensiero e sentimento giova anche perché aiuta a identificare il gusto dei pensieri e della conoscenza stessa: tutti i grandi maestri spi­rituali parlano del gusto, del sapore della conoscenza, ed è esattamente questo il punto d’arrivo del discernimen­to. Si tratta di arrivare ad identificare dei gusti che ac­compagnano una conoscenza spirituale e dunque di esercitarsi nel far propria una memoria costante di tali sapori e gusti spirituali. E quando si acquisisce una cer­tezza del gusto di Dio e dei pensieri che da Lui proven­gono e a Lui portano, siamo arrivati ad un atteggiamen­to di discernimento.

 

Tutti gli esercizi di discernimento hanno infatti lo scopo di acquisire un atteggiamento costante di discer­nimento. C’è una grande differenza tra il discernimen­to come esercizio spirituale all’interno della preghiera e l’atteggiamento del discernimento acquisito ormai come habitus, come atteggiamento costante, come una di­sposizione orante alla quale portano tutti gli esercizi della preghiera.

L’atteggiamento del discernimento è uno stato di attenzione costante a Dio, allo Spirito, è una certezza esperienziale che Dio parla, si comunica, e che già la mia attenzione a Lui è la mia conversione ra­dicale. E’ uno stile di vita che pervade tutto ciò che io sono e faccio.

L’atteggiamento di discernimento è vivere costantemente una relazione aperta, è una certezza che ciò che conta è fissare lo sguardo sul Signore e che io non posso chiudere il processo del mio ragionamento senza l’oggettiva possibilità che il Signore si possa far sentire - proprio perché è libero - e dunque mi faccia cambiare; l’atteggiamento di discernimento è quello che impedisce di intestardirsi: non ci si può rinchiudere nel proprio aver ragione, perché non sono io il mio epi­centro, ma il Signore, che riconosco come la fonte dalla quale tutto proviene e verso la quale tutto confluisce.

L’atteggiamento del discernimento è dunque un’espres­sione orante della fede, in quanto la persona permane in quell’atteggiamento di fondo di riconoscimento radicale dell’oggettività di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, Per­sone libere, e questo riconoscimento costituisce la fede.

Il discernimento non è allora un calcolo, una logica deduttiva, una tecnica ingegneristica in cui scaltramente bilancio mezzi e fini, né una discussione, una ricerca della maggioranza, ma una preghiera, l’ascesi costante della rinuncia al proprio volere, al proprio pensiero, elaboran­dolo come se dipendesse totalmente da me, ma lasciandolo totalmente libero.

Un atteggiamento così è impos­sibile se non si è rapiti da un’onda d’amore, perché per far questo è necessaria una radicale umiltà. Ed infatti il sentimento che più garantisce il processo del discernimento è l’umiltà. Ma l’umiltà, lo sappiamo bene, è come la libertà: si trova solo nell’amore, è una dimensione costante dell’amore, e, fuori dall’amore non esiste, allo stes­so riodo in cui l’amore senza umiltà non è più amore (…).

 

DUE TAPPE DEL DISCERNIMENTO

I maestri distinguono due tappe del discernimento: una prima purificativa, che converge verso un’autentica conoscenza di sé in Dio e di Dio nella propria storia, nella propria vita, e una seconda in cui il discernimen­to diviene habitus (…).

La prima fase del discernimento muove la persona verso una sempre più radicale conoscenza di sé e di Dio. Questa conoscenza di sé giunge inevitabil­mente a riconoscersi come peccatore. E la conoscenza di Dio si traduce in conoscenza di sé come peccatore perdonato (…).

        La memoria diviene così praticamente la via privilegiata della vita spirituale. L’uomo progredisce ricordandosi ciò che è chiamato ad essere. La memoria è quella capacità da sviluppare, con cura e attenzione per imparare a discernere e acquisire un atteggiamento costante di discernimento. Non si tratta di semplici ricor­di o di nostalgia, ma della memoria di Dio, della sua azione. E pertanto una memoria teurgica, una memoria nella quale è Dio stesso ad agire. Infatti tale memoria si basa sulla liturgia, è cioè memoria liturgica, dove la memoria diventa l’eterna anamnesis di Dio nella quale noi riusciamo a vedere le cose e la storia così come se le ri­corda Dio. Non si tratta quindi di ricordarsi i propri peccati, i propri difetti, le proprie mancanze, ma come il Signore si ricorda nel suo amore di queste mie realtà (…).

 

IL DISCERNIMENTO NON SI FA DA SOLI

        E’ interessante che gli antichi maestri spirituali non scrivessero regole per il discernimento, perché lo ritene­vano possibile solo all’interno dei discepolato o della pa­ternità spirituale. Anzi, uno degli scopi della paternità spirituale era proprio insegnare il discernimento. Ciò si­gnifica che per imparare a discernere bisogna anzitutto imparare una relazione, entrare in una relazione sana (…).

E il motivo sta probabilmente nel fatto che il discernimento, malgrado mantenga questa apertura fondamentale dell’uomo, porta comunque ad una grande certezza personale. Si corre allora il rischio di una sorta di autosufficienza nella comprensione di che cosa e di come si dovrebbe essere e di che cosa si dovrebbe fare. Anzi, di più: dal mo­mento che noi siamo all’interno di una cultura fortemente tecnologica, razionalista, abituata a sistemare ed ordinare e dunque a dominare, esiste il rischio che si prendano le regole del discernimento come una tecnica, una sorta di metodo per “capire” Dio, decifrare la sua volontà, aprendo così in qualche modo la possibilità all’illusione di possederlo.

 

tratto da: M. I. Rupnik, Il discernimento. Prima parte: verso il gusto di Dio, Lipa, Roma 2001, 5-6; 25-35.

 

Marki Ivan Rupnik

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