Te Deum laudamus per il Tuo gusto, diverso dal mio

Per tutte le volte che farei qualsiasi cosa invece che il mio dovere...

Te Deum laudamus per il Tuo gusto, diverso dal mio

 

Dio, ti ringrazio per il disgusto. Ti ringrazio per tutte le cose e le situazioni che me lo suscitano, tante, perché in fondo sono una bambina viziata. Ti ringrazio per i piedi freddi (benedetti i mariti caldi a letto) e la signora delle poste che ci mette quarantasette minuti a chiudere un pacco, per il fantasmagorico capriccio di Lavinia, tesi di laurea in capricciologia avanzata, per la verdura da scegliere, piena di terra, e l’intervistato che non arriva e il dentista che ritarda e il clima da serra nella sua sala d’aspetto e il sudore che scorre a rivoli lungo la schiena e il figlio che intanto chiama per chiedere il temperamine da compasso che gli serve entro ieri. Ti ringrazio per il marito che qualche volta mi ama in un modo così lontano da quello che desidero, servendo nel silenzio la famiglia, concreto, fattivo, quando io vorrei chiacchiere e violini, e chissà quanto lui vorrebbe da me silenzio e concretezza, quando io chiacchiero e sviolino.

 

Ti ringrazio, o Dio, per tutto quello che in questo anno appena finito è andato contro il mio gusto, perché so che è quello, proprio quello che mi sta cambiando, vorrei tanto dire convertendo, vorrei tanto sperare che mi stia rendendo faticosamente, lentamente, un po’ più vicina alla vita in Te, un po’ più lontana dalla vita secondo la carne. Ci ho messo una vita, va be’, dai, diciamo mezza vita a capire questa cosa preziosa, che ti prometto cercherò da oggi di custodire gelosamente. Ho sempre pensato che il gusto fosse un criterio affidabile, e l’ho cercato nelle cose, nelle relazioni, nelle scelte. È perché desidero vivere secondo la mia carne, è perché non mi fido della tua Parola, è perché non credo alla tua promessa per la mia felicità. È, fondamentalmente, perché non credo al tuo amore, e ne cerco briciole, imitazioni in giro.

 

Ti ringrazio o Dio per la delicatezza con cui me le spieghi, queste cose, si vede che lo sai che non reggerei il colpo, e con me non fai movimenti bruschi, non mi spezzi e non mi tagli come hai fatto con tanti, e mi chiedo perché a me tutta questa grazia. Ti ringrazio perché mi plasmi come un vaso e non mi prendi a picconate come un pezzo di marmo. Ti ringrazio per tutte le volte che sono umiliata, disorientata, che non so dove mettere le mani, dove girare la testa. Ti ringrazio per quando mi sembra di essere arrivata davanti a un muro, di averle provate tutte: è allora che, almeno qualche volta, mi ricordo di inginocchiarmi davanti a quel muro, e di ricordarmi che «invano vi faticano i costruttori, il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno».

 

Ti ringrazio per quando sono stanca e farei qualsiasi cosa invece che il mio dovere, e trovo urgentissimi smalti da ritoccare, messaggi a cui rispondere, magnifici slanci filantropici da assecondare, e mi sento pure un po’ martire, quando invece quello che mi è chiesto è solo stare qui, ora. Stare, semplicemente (se sarò vescovo il mio motto sullo stemma episcopale sarà “stacce”). Lo so, me lo hai detto tante volte per bocca del padre spirituale, lo so che l’unico modo per capire se sto facendo la tua volontà è fare un diagramma preciso di come uso il mio tempo e i miei soldi: quanto al parrucchiere e quanto al povero che sta fuori dalla sua porta per strada, quanto tempo uso per preparare la cena, quanto ne spreco per stare su facebook, quanto ne investo per correggere i compiti, ascoltare davvero i figli (che hanno questa prodigiosa capacità di volerti parlare solo quando devi uscire o ti crolla la testa dal sonno), mettere il cuore dove sono, quanto per abbracciare quella insignificante, oscura missione, certa che tu, Signore, mi sorridi quando spolvero il termosifone almeno quanto mi sorridi quando parlo davanti a centinaia o migliaia (a volte decine o unità, eh, non montiamoci la testa) di persone.

 

Diceva Teresina, una che di queste cose se ne intendeva, una che è diventata patrona delle missioni nel mondo raccogliendo spilli da terra in un monastero nella provincia francese, che tu, Signore, quasi ti vergogni quando ci converti per davvero, e raramente ci trasformi con violenza, perché tu non sopporti di essere sopportato, desideri essere amato, e da quando sono mamma ti capisco di più, Signore. Ti ringrazio, Signore, se non ti sei stancato di me, e se vorrai continuare a provarci anche in quest’anno che comincia, anche se la tua delicatezza rende la questione piuttosto lunga…

Ti ringrazio perché mi hai permesso di intuire quale meraviglia, quale splendore, quale respiro diverso ci apre la vita in Te, una vita per la quale vorrei essere pronta a perdere tutto, a non ascoltare più il mio gusto, perché c’è qualcosa in me che senza di Te non funziona, qualcosa che non gira bene, qualcosa che se lo assecondo mi fa fare un sacco di stupidaggini. Ti prego, Signore, insegnami a diffidare di me, ma continua a farlo piano piano, custodendomi dagli errori più tragici. Continua a salvarmi ogni giorno, anche adesso che i figli crescendo mi stanno restituendo la mia vita, il mio tempo, le mie energie, e io le uso per me stessa, per nutrire il mio egoismo. Continua a credere in me, anche quando io non credo in Te.

 

Costanza Miriano

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