Napoli, una scuola prestigiosa, una ragazza come tante. Poi, il salto dalla finestra durante la lezione. Perché? Durante le ore di lezione una studentessa del primo anno chiede di uscire per andare in bagno. Nessuno immagina che lei abbia deciso di gettarsi da una finestra del secondo piano.
del 03 giugno 2010
 
           Lo stomaco che sale in gola, il cuore che sembra schizzare fuori dal petto. E poi un attimo infinito in cui trovare il coraggio di saltare nel vuoto per portare con se (per sempre) ansie, dolori, paure: quel male di vivere che ti spinge a un gesto estremo. Siamo a Napoli, Liceo classico Umberto I: la scuola più prestigiosa della città.
 
           Durante le ore di lezione una studentessa del primo anno chiede di uscire per andare in bagno. Nessuno immagina che lei abbia deciso di gettarsi da una finestra del secondo piano. Solo i motorini degli studenti parcheggiati proprio sotto quella finestra impediscono che la vita di una 14enne si spezzi in un istante. Per ora la ragazza non è in pericolo di vita, resta ricoverata nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Cardarelli di Napoli. Resta, però, una domanda, atroce nel suo mistero. Cosa passa per la testa di una ragazza che decide di togliersi la vita?
           Questa ragazza napoletana pare abbia tentato il suicidio assalita dai sensi di colpa per non essere riuscita a salvare la vita di un suo amico, forse il suo fidanzatino: anche lui si era tolto la vita in un’altra scuola napoletana, qualche mese fa. Un’ipotesi avanzata dal preside del liceo Ennio Ferrara: “Sembra che lei conoscesse da un mese e mezzo quel ragazzino che si uccise a ottobre. E pare che lui le avesse mandato un SMS al quale lei non era riuscita a rispondere, proprio perchè si trovava in classe, durante le ore di lezione”. Ne parliamo con Gennaro Imperatore, sociologo e psicoterapeuta, Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza della Regione Campania.
           “Quella di questa ragazza è la storia di mille ragazzine; chissà quante della sua stessa età pensano al suicidio e poi, per fortuna, non lo fanno. Ormai c’è una vera e propria depressione collettiva. Qui non c’è da fare un processo alla ragazzina, ma a noi genitori. Noi adulti siamo colpevoli perché non stiamo facendo assolutamente niente per i nostri figli. Questa è una società dove non c’è più tempo per gli adolescenti che ormai hanno la Play Station come badante e la televisione come educatrice. Siamo in un vortice allucinante dove è alterato anche il contatto umano: basti pensare al fenomeno di Facebook che porta i ragazzi a non incontrarsi più e non parlarsi più, ma a delegare tutto a Internet, collezionando “amicizie” per puro narcisismo”.
Come accorgersi del malessere di un adolescente?
           “Un genitore dovrebbe chiedersi: conosco i miei figli? So chi frequentano, cosa fanno, dove vanno? È possibile che non capisco se mio figlio è fragile? Viviamo nella società dell’immagine soprattutto per colpa dei modelli che ci propone la televisione: per un ragazzo basta un piccolo difetto per sentirsi a disagio, fuori luogo. La reazione può essere depressiva oppure aggressiva; ecco perché sono sempre di più sia i casi di malessere tra gli adolescenti sia fenomeni come il bullismo e le violenze di gruppo”.
Cosa devono fare gli adulti per ricucire lo strappo generazionale?           “Intanto smettere di sfruttare i ragazzi…”
In che senso “sfruttare”?
           “Basti pensare al marketing pubblicitario che ha sempre come target le fasce di consumatori più deboli e cioè i ragazzi: dai telefonini ai poster alle nuove tecnologie tutto diventa un “bene necessario”. Fa riflettere, ad esempio, che non esistano più giocattoli, che i ragazzi non escano più di casa per giocare. Una volta si andava in oratorio a giocare a pallone, ora si sta a casa davanti a Youtube o alla console. Dobbiamo riappropriarci del rapporto con i nostri figli”
Giovanni Nicois
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