Bonolis-Albanese dialogo sul Darfur. Il presentatore: «Il mio impegno è sincero. Venga in tv a parlare di Sudan» Il missionario: «A volte queste raccolte diventano un alibi per le coscienze».
del 01 gennaio 2002
«Padre Giulio ha deciso di non venire al Festival? Mi dispiace, davvero. Però troveremo il modo di riparlarne». Paolo Bonolis procede al piccolo trotto nei meandri dell'Ariston, ma qualche minuto per archiviare la polemica del giorno lo trova ugualmente. «Non avevo letto le sue dichiarazioni - mi dice -, per fortuna è bastato uno scambio di idee al telefono per renderci conto che tra di noi non c'è alcun contrasto, anzi. A parlarsi ci si guadagna sempre. Specie su argomenti importanti come il Darfur».L'incomprensione era nata ieri mattina durante il cosiddetto «Sanremo Question Time», l'assaggio televisivo di conferenza stampa trasmesso subito prima del Tg1 delle 13.30. «Ma lo sa che padre Albanese definisce 'carità pelosa' quella praticata al Festival?», chiede un giornalista al conduttore. La replica è implacabile: nella sostanza, Bonolis accusa il missionario di essere un ipocrita e rispedisce al mittente l'accusa di «carità pelosa». Un'espressione che non figurava nell'intervento di Albanese ospitato giovedì da Avvenire, ma faceva invece capolino in un lancio d'agenzia che sintetizzava in modo fin troppo stringato l'analogo ragionamento che il sacerdote aveva svolto durante un convegno romano.
A telecamere spente, però, Bonolis ammette di non conoscere Albanese: non sa nulla del suo lavoro al confine tra Uganda e Sudan, non ha mai sentito parlare di Misna, l'agenzia di stampa sul Sud del mondo fondata dal sacerdote. Mentre fioccano le ultime domande, provo a cercare padre Giulio al telefono, gli chiedo se per caso era davanti al televisore mentre il presentatore se la prendeva con lui. In quel momento incrocio Bonolis: «È Albanese - gli spiego allungando il cellulare -, volete parlarvi?». Si parlano, infatti.
«Padre Giulio mi ha spiegato che le sue accuse non era rivolte a me - racconta Bonolis -, ma più in generale al rischio che le raccolte di fondi si trasformino in un alibi per le coscienze. E su questo sono perfettamente d'accordo con lui, tant'è vero che, per realizzare il progetto di «Avamposto 55», ho preferito che le offerte venissero non dai telespettatori, ma da noi, i privilegiati sotto i riflettori del Festival. Condivido anche un'altra delle osservazioni di Albanese, e cioè la necessità di non fermarsi alla beneficenza e di costruire tutti insieme un mondo più giusto. Sono le ragioni per cui l'ho subito invitato a partecipare alla serata conclusiva del Festival: mi sarebbe piaciuto che ripetesse davanti alle telecamere un appello così appassionato, sarebbe stato un grande aiuto per la nostra iniziativa».
Albanese ci ha riflettuto, poi ha deciso di declinare l'invito: «Ma in Bonolis ho trovato un interlocutore molto ricettivo - ci tiene a sottolineare -. Nei miei confronti è stato un po' brusco, è vero, ma la pressione a cui è sottoposto in questi giorni mi sembra un motivo più che sufficiente per lasciarsi pendere dall'irritazione. Per me, insomma, non c'è mai stato alcun incidente e, quindi, alcun bisogno di una mia presenza a Sanremo. A questo punto, come gli ho detto, sarebbe meglio dare spazio ai volontari che operano in Darfur. Senza nulla togliere al lavoro che in quella regione sta svolgendo il governo italiano, sia chiaro». Nessun appunto da rivolgere a Bonolis, allora? «Uno solo - risponde Albanese -, ma anche questa volta non si tratta di una questione personale. E' senz'altro un bene che un personaggio pubblico si assuma il ruolo di testimonial nei confronti di un'emergenza internazionale, ma quando lo fa deve documentarsi in modo approfondito. Quella del Darfur è una questione complessa, che non può essere eccessivamente semplificata».
Bonolis sta passando dal trotto al galoppo. «Parole sante - ammette -, ma lo scibile è vasto, padroneggiarlo è difficile. Scherzi a parte, anche se padre Giulio non sarà nostro ospite, durante la diretta troverò il modo di fare chiarezza su quanto è successo al «Question Time». Potete contarci, sul serio».
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