Toccando ho capito che non ero io che toccavo, ma ero io che venivo toccato e sedotto. Il tocco di un Dio che ti assedia, un tocco a volte dolce, a volte ruvido, un “carico leggero”, come le mani degli amanti...
“O Amor, divino Amore, perché m’hai assediato?
Da cinque parti vedo che tu m’hai assediato:
audito, viso, gusto, tatto e odorato”
Così il mistico e poeta Iacopone da Todi si lamenta con un Dio opprimente. Assedia i suoi cinque sensi, che percepiscono in ogni luogo e momento il Dio geloso dell’Antico Testamento e lo Sposo del Nuovo. Se questo è spiritualmente vero ovunque, diventa materialmente vero in Terra Santa, che ho visitato per una settimana con un gruppo di studenti del mio liceo. Il viaggio delle Quinte della mia scuola si svolge ogni anno lì ed è un assedio dei sensi da parte di Dio, tanto che anche i ragazzi più lontani e distratti si sentono “oppressi”. Uno di loro mi confidava: “se le persone qui si comportano così ci deve essere qualcosa di non umano dietro” e un altro “mi rendo conto di quanto poco io conosca il Vangelo, mi è venuta voglia di leggerlo”.
Un senso si è aggiunto alla mia fede: quello del tatto. Quando sono arrivato sul lago di Tiberiade e la natura, pur essendo febbraio, era già in fiore, i colori tenui e la luce impazzava, ho esclamato “io qui ci sono già stato”, avevo consuetudine con colori, volti, pietre, piante, luce, acqua, cantilene, parabole, parole, del Vangelo letto e riletto. Tutto era incarnato e quindi carnale.
Le mie dita, sedotte, volevano toccare.
Hanno toccato l’acqua del lago di Tiberiade, feconda in una terra così arida, scintillante di luce, solcata dal legno ruvido delle barche. Hanno toccato le palme sul monte delle Beatitudini, una collinetta poco sopra il lago, dove Gesù si appartava quando ancora tutti dormivano per parlare con suo Padre, per vedere il sole sorgere inesorabile e scintillare su quel lago verde, azzurro e rosa. Ho toccato la pietra su cui il risorto ha mangiato il pesce di quel lago dopo la resurrezione e sulla quale Pietro è stato confermato capo della Chiesa. Ho capito quale grande follia d’amore sia affidare ad un semplice pescatore la più grande rivoluzione avvenuta nel cuore dell’uomo di tutti i tempi venuti e a venire: il massimo del progresso raggiunto e raggiungibile è affidato a quel pescatore. Ho toccato la pietra del deserto che non diventa pane e con essa le tentazioni di Cristo e poi ho toccato l’acqua fredda e battesimale del Giordano. Ho toccato le pareti della grotta dell’Annunciazione, le scale che portavano alla casa di Maria, l’acqua della fonte a cui attingeva per Gesù e Giuseppe, e di Giuseppe ho toccato il pavimento della casa dove Gesù è cresciuto. Ho toccato anche il pavimento della grotta di Betlemme. Tutto è così piccolo e quotidiano da diventare lampante che è anche vero, non ci può essere niente di mitico in un posto così, solo un Dio senza miti si innamora dell’ordinario. Tra quei luoghi e gli affreschi della cappella Sistina ci può essere solo un Dio che ama la Bellezza, che è la Bellezza, che causa la Bellezza, a partire dal minuscolo “sì” di una ragazza di 15 anni. Ho toccato le pareti della casa di Pietro e l’attracco del porticciolo di Cafarnao e ho capito perché Gesù ha scelto quel quartier generale: perché è il posto più bello di tutti. Ho toccato l’aria fresca e pulita del Tabor e il panorama ininterrotto, degna platea per una Trasfigurazione. Ho toccato gli ulivi del Getsemani e la pietra su cui Cristo sudò il sangue della paura, dell’amore e dell’abbandono. Ho toccato il suolo del percorso della Via Crucis immersa nelle vie caotiche del suq arabo e ho capito che la strada, qualsiasi strada, è teatro adatto alla storia della salvezza. Ho toccato la pietra malinconica dell’Ascensione. E poi la pietra dove Maria si è addormentata e quella dalla quale è stata assunta e ho capito perché la invoco per “l’ora della nostra morte”. Ho toccato le pareti del cenacolo, dell’amore “sino alla fine” e del fuoco dello Spirito. Ho toccato la pietra scabra del Golgota e il buco in cui era conficcato il legno escogitato dalla nostra violenza. Ho toccato la pietra nuda della resurrezione e lì con la fronte appiccicata ho saputo che dipende tutto dalla nudità di quella pietra.
Le mie dita si sono fatte spirituali pur rimanendo le mie dita. Toccando ho capito che non ero io che toccavo, ma ero io che venivo toccato e sedotto. Il tocco di un Dio che ti assedia, un tocco a volte dolce, a volte ruvido, un “carico leggero”, come le mani degli amanti. Adesso quando ascolto una pagina del Vangelo mi pare di toccarla come accade nel bellissimo e recente libro che mi fa compagnia in questi giorni “Sorpresi dall’amore” di A. Mardegan, capace di far vivere le pagine del Vangelo rendendole permeabili al quotidiano di ciascuno, in uno scambio che va da lì a qui e viceversa. Solo così la terra che calpestiamo tutti i giorni in qualunque luogo del mondo diventa santa, perché è la terra del Vangelo, la terra di un Dio che assedia i nostri sensi addormentati, fino a sedurci.
Alessandro D'Avenia
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