Tonino Bello, Parola Giovane

Amate la vita, perché lì è perfetta letizia: non tanto nell'essere amati ma nell'amare. Ricordate che non essere amati non è una tragedia; è il non amare la tragedia. E perfetta letizia sta nel servire, non nell'essere serviti. Questa è la sapienza: da "sapere", sapore, gusto, sale. Questo è il sale della vita: amare!

Tonino Bello, Parola Giovane

da L'autore

del 01 gennaio 2002  (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = "//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1"; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs); }(document, 'script', 'facebook-jssdk'));  

SALE, SOLE, SPERANZA.

Sale.

Amate la vita, perché lì è perfetta letizia: non tanto nell'essere amati ma nell'amare. Ricordate che non essere amati non è una tragedia; è il non amare la tragedia. E perfetta letizia sta nel servire, non nell'essere serviti. Questa è la sapienza: da "sapere", sapore, gusto, sale. Questo è il sale della vita: amare!

Sole.

La strada vi venga sempre dinanzi e il vento vi soffi alle spalle e la rugiada bagni sempre l'erba su cui poggiate i passi. E il sorriso brilli sul vostro volto. E il pianto che spunta sui vostri occhi sia solo pianto di felicità. E qualora dovesse trattarsi di lacrime di amarezza e di dolore, ci sia sempre qualcuno o qualcuna pronto ad asciugarvele.

Il sole entri a brillare prepotente nella vostra casa a portare tanta luce, tanta speranza e tanto calore.

Speranza.

Oggi si equivoca parecchio sulla speranza. Si pensa che sia una specie di ripostiglio dei desideri mancati. Una rivalsa del nostro limite che, mortificato sugli spazi percorribili dai piedi per terra, cerca compensazioni allungando la testa tra le nuvole o indugiando sulla zona pericolosa dei sogni ad occhi aperti. Una forma di "tiramisù" psicologico, insomma, utile per non lasciarsi travolgere dalle tristezze della vita.

Niente di più deleterio. Bisogna far capire, invece, che la speranza è parente stretta del realismo. E' la tensione di chi, incamminatosi su una strada, ne ha già percorso un tratto e orienta i suoi passi, con amore e trepidazione, verso il traguardo non ancora raggiunto. E' impegno robusto, insomma, che non ha da spartire nulla con la fuga.

 

Servizio, sogno, sorriso.

Servizio.

Amici miei, ragazzi miei, conta più un gesto di servizio che tutte le prediche, tutte le omelie che, se non sono sorrette da una esemplarità forte, non producono nulla.

Vorrei accendere il vostro cuore ed il vostro impegno per il volontariato, per il servizio nelle comunità parrocchiali a favore dei poveri, oggi in modo particolare a favore dei terzomondiali, che sono nostri fratelli.

Servizio gratuito, senza lusinghe.

Se laviamo loro i piedi, se apriamo le case di accoglienza, se facciamo scuole per loro, se difendiamo i loro diritti non è perché abbiamo smanie di accaparramento, così che, quando abbiamo finito di lavare i piedi possiamo dire: "Mohamed, che hai in tasca? Il Corano? Dammi il Corano che io ti dò il Vangelo". No, non così.

Capite qual è il nostro servizio? Lava i piedi e poi non dare la cartina stradale dell'itinerario che devono percorrere, perché ci penserà lo Spirito a farli andare dove lui sa.

Così ha fatto Francesco: non si è interessato di andare a convertire il Sultano, è andato soltanto ad annunciargli parole di liberazione per i fratelli.

Sogno.

No, ragazzi, non abbiate paura di riscaldarvi adesso. Papini lo diceva: "Quando sarete vecchi vi scalderete alla cenere della brace che è divampata nella vostra giovinezza".

Allora, quando sarete vecchi, andrete a trovare qualche pezzo di carbone rovente dell'incendio che è divampato alla vostra età. Vi rimarrà solo quel carboncino e vi scalderete a quello.

Non abbiate paura quindi di innamorarvi adesso, di incantarvi adesso, di essere stupiti adesso, di entusiasmarvi adesso. Non abbiate paura di guardare troppo in alto, di sognare per paura che poi la realtà vi metta tragicamente di fronte a ciò che è.

Sorriso.

Chiediamo il clono dell'eleganza.

Eleganza che significa buon gusto, che significa rispetto dell'altro, che significa accoglienza, che significa sorriso, che significa fare posto all'altro perchè passi per primo, perchè salga per primo sull'autobus, perchè trovi per primo il posto sul treno, perchè si serva prima al bar, perchè davanti ai mercati possa essere servito prima e faccia per primo la sua richiesta.

Questo farsi avanti per cedere il posto all'altro significa sorriso, significa rispetto delle cose altrui, significa punteggiare il proprio discorso, le proprie parole, con le espressioni «prego», «chiedo scusa», che non sono una formalità.

Il dono dell'eleganza è anche eleganza nel vestire, che non significa portare gli abiti firmati, ma significa portare abiti che non diano fastidio agli altri, che non inducano gli altri in pensieri turbinosi.

Eleganza significa bellezza, significa cura del proprio corpo, significa amore per la vita, amore per le cose che ci circondano, gioia di sentirsi incastonati in questo paesaggio di tenerezza che amiamo tutti quanti noi.

 

Città, convivialità, coraggio.

Città.

Che cosa significa "andare in città"?

Significa intraprendere la fatica del viaggio meridiano e andare a piantarsi nel centro della piazza, dove ferve la vita, dove passa la gente, dove si costruisce la storia.

Significa piantarsi all'incrocio delle culture non per catturarle o per servirsene ma per orientarle e servirle.

Significa sporcarsi le mani, imbrattarsi il vestito, sperimentare l'inedito.

Significa, in termini concreti, vincere la paura che parlare di poveri, di disoccupati, di marittimi sbarcati e senza lavoro, di sfrattati, di drogati... sia fare sociologismo, sia fare l'orecchiante ai linguaggi di moda, sia fuggire per la tangente della denuncia demagogica e gratuita.

Coraggio, fratelli miei, dobbiamo uscire di più. Dobbiamo innamorarci di più della città. Dobbiamo amare di più le istituzioni. Dobbiamo collaborare di più con tutti coloro che nella cosa pubblica si impegnano perchè le cose vadano meglio, perchè la gente sia più felice, perchè dorma tranquilla, perchè abbia una casa e un lavoro, perchè sia assicurato il futuro dei giovani.

Ecco, Dio non discrimina la gente sulla base delle ideologie o delle provenienze sociali o dei partiti o della ricchezza o del censo o della laurea. Gli steccati li facciamo noi. Non lui.

Convivialità.

Qualche mese fa, a Ruvo, una città della mia diocesi, abbiamo consacrato una nuova chiesa. C'erano tutte le autorità: il sindaco, il prefetto...

Ad un certo momento si firma anche la pergamena che poi viene interrata "ad perpetuam rei memoriam".

Firmano tutti: il sindaco, il vescovo, il parroco...

Ebbene, in fondo alla chiesa c'erano dei marocchini. Era gremitissima, la chiesa.

Ho detto: "Qui ci sono anche dei nostri fratelli di colore: Mohamed, Said, venite".

Sono venuti. Ho detto loro: "Firmate anche voi! Lo so che siete maomettani; forse sarà la prima volta che sotto un altare cristiano si colloca una pergamena firmata da maomettani".

Hanno firmato pure loro. Si è fatto un gran silenzio, incredibile. Io pensavo che alla fine qualcuno avrebbe urlato o si sarebbe dispiaciuto. E invece, quando ha firmato il secondo, si è elevato uno scroscio di applausi: splendido, bellissimo! Io penso che nell'alto dei cieli il Signore nostro Padre avrà gioito tantissimo nel vedere i suoi altari contrassegnati anche da questo sigillo dei suoi figli.

Convivialità delle differenze. La Chiesa, eccola!

Noi facciamo distinzioni: quelli di serie A e quelli di serie B, quello è più povero, quello è più ricco, quello è più forte, quello meno, quello è di destra e quello è di sinistra, quello di una sigla, quello di un'altra... Ragazzi, alleniamoci all'esodo dai nostri recinti particolari verso la terra della comunione. Sappiamo andare al di là, ragazzi: incalziamo l'ulteriorità.

Coraggio.

Sulla bocca del vecchio curato di campagna, Bernanos mette una frase splendida: "Il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste, un popolo di vecchi".

E qui si impone una energica revisione critica circa alcuni nostri atteggiamenti spirituali intrisi di tedio, permeati di rassegnazione, impregnati di fatalismo, corrosi dal tarlo della ineluttabilità.

Per uno strano vizio che sa tanto di computisteria aziendale, siamo portati a contabilizzare le cose che non vanno, più che a decifrare i segni della fecondità silenziosa. Il lamento prevale spesso sullo stupore, lo sconforto, sulla gratitudine. Il calcolo, sulla speranza. E le foglie che cadono ci sgomentano più di quanto non ci facciano trasalire di gioia le gemme che rompono la vecchia corteccia dell'albero.

Coraggio! La spiritualità della gioia non si risolve in un'operazione di "maquillage" fatuo e ingannatore, ma parte dalla considerazione che la faccia scura danneggia l'etica, oltre che l'estetica.

Lasciamo da parte l'anima del funzionario e rivestiamoci stabilmente di letizia, consapevoli che, a chi indugia nel lavare i piedi di Cristo, i conti non si chiudono mai in rosso.

 

Tende, tenerezza, transizione.

Tende.

Allestire la tenda per Elia, considerato nell'antico testamento il massimo dei profeti, significa coltivare i sogni. Progettare rivolte. Accarezzare le calde utopie del rinnovamento. Prendere atto dei nostri pesantissimi deficit in fatto di giustizia con la certezza di poterli risanare. Non rassegnarsi all'ineluttabilità delle cose. Battersi per la pace. Andare controcorrente. Contestare i moduli correnti che privilegiano il denaro sull'uomo. Essere spina dell'inappagamento conficcata nel fianco della città.

Allestire la tenda per Mosé, considerato il massimo condottiero e legislatore del popolo ebreo lungo i tornanti dell'esodo, l'uomo dei fatti che sa parlare così poco da dover ricorrere all'eloquenza di suo fratello Aronne... significa privilegiare la prassi sulle chiacchiere. Significa rimuovere il nostro inconcludente bizantinismo. Condannarci al silenzio delle parole e all'eloquenza dei fatti.

E che cosa significa, infine, allestire la tenda per Gesù?

Mettere il Vangelo al centro della nostra vita personale e comunitaria. Lasciarsi contaminare inguaribilmente dalla speranza della risurrezione. Sostenere il peso quotidiano della vita e le croci dell'esistenza, con la certezza che il Signore stesso sarà il nostro Cireneo. Affrontare le tribolazioni, il dolore e perfino la morte, sapendo che verranno giorni in cui non ci sarà né lutto né pianto, e tutte le lacrime saranno asciugate dal volto degli uomini. Essere convinti che non si vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Anzi, come ci ha suggerito San Pietro, guardare alla Parola "come a lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori".

Tenerezza

Vorrei chiudere con una bellissima suggestione di Emmanuel Lévinas: "L'altro - dice - è un volto da scoprire, contemplare e accarezzare".

C'è tutta la nostra teoria morale: "Ama il prossimo tuo come te stesso".

Rivolti verso l'altro. Volti rivolti.

Voi tutti siete insegnanti, dal liceo alle scuole materne: avete di fronte l'altro, sapete come bisogna rapportarsi.

Io vorrei rievocare la figura del mio maestro delle scuole elementari. Lo ricordo come una delle persone importanti che hanno segnato la mia vita.

Una persona molto semplice, molto discreta e anche molto umile: ogni volta che tornavo in paese andavo a trovarlo.

Ultimamente si era incurvato e gli tremavano le mani.

Tornavo da lui per dovere di gratitudine, ma soprattutto condotto dalla speranza che avesse, come nelle fiabe che egli stesso ci raccontava in quarta elementare, una noce misteriosa da farmi schiacciare nei momenti difficili.

Guardavo con stupore infinito nell'armadietto di sempre i pochi libri foderati con la carta velina: Le avventure di Pinocchio, Cuore, L'isola misteriosa.

Quella biblioteca per me conteneva più segreti della biblioteca vaticana.

Di tutti gli insegnanti che ho avuto, era l'unico a provare soggezione per me. Me ne accorgevo dall'imbarazzo con cui, nel discorso, passava dal "lei" al "to".

Mi hanno detto che era anche fiero di avermi avuto come discepolo. Forse, però, non ha mai saputo che se ancora tornavo da lui era perché avevo il presentimento che mi avrebbe aiutato a risolvere, come un tempo, qualche altro complicato problema, per il quale non mi bastavano più le quattro operazioni dell'aritmetica che egli mi aveva insegnato.

Ogni volta che lo lasciavo, sentivo di avergli rubato spezzoni di mistero, quegli spezzoni che a scuola ci sottraeva volutamente, senza che noi ce ne accorgessimo.

Sì, perché lui aveva l'incredibile capacità di non spiegarci mai tutto e per ogni cosa lasciava un ampio margine d'arcano, non so se per stimolare la nostra ricerca o per alimentare il nostro stupore.

Perché l'arcobaleno dura così poco nel cielo? Che cosa fa Dio tutto il giorno? Perché le farfalle lasciano l'argento sulle dita? Perché Gesù ha fatto nascere così il povero Nico che veniva a scuola sulla carrozzella spinta dalla nonna? Perché si muore anche a dieci anni, come è stato per la sua bambina?

Non aveva l'ansia di rivelarci tutto, non era malato di onnipotenza culturale e neppure ci imponeva le sue spiegazioni. Qualche volta sembrava anzi che fosse lui a chiederle a noi.

Ma quando, dopo gli acquazzoni di primavera, spuntava l'arcobaleno, ci conduceva fuori per contemplarne la tenerezza. 

          Transizione.

Le costanti su cui corre il cambiamento mi pare si possano riassumere con quattro espressioni.

Anzitutto la dilatazione del tempo. Occorre essere consapevoli che il tempo è diventato un recipiente elastico che contiene un numero sempre più ampio di fatti che per giunta si realizzano sempre più velocemente. Nell'arco di un anno se ne condensano più di quanti, prima, non se ne concentrassero in un secolo. Non si fa in tempo a comprare una carta geografica, che subito bisogna cambiarla. Quando, fra non molti anni, entreremo nel terzo millennio, forse avremo l'impressione di transitare in una nuova era geologica, che speriamo non sia di glaciazione. Di qui la necessità di improntare ad urgenza il cambiamento, per non trovarci fuori fase.

In secondo luogo, la concentrazione dello spazio. Non a caso ha fatto tanta fortuna l'espressione "villaggio globale". Oggi, proprio come se stessimo in un villaggio, siamo messi al corrente in tempi reali di quanto accade anche nella zona più remota del mondo. Dovremmo trarne motivo perché la nostra inerzia subisca continui scossoni.

In terzo luogo, l'allungarsi della strada che porta all'altro. Sembra paradossale, ma mentre il mondo si è rimpicciolito alle dimensioni di «Rio Go», le vie, all'interno del villaggio, sono diventate lunghissime: ci vuole una vita per andare a bussare alla porta del fratello ed incontrarsi finalmente con lui. Questi percorsi dovremmo accorciarli: c'è un'umanità sofferente e povera di dignità che chiede di essere incrociata, conosciuta, rispettata, accolta.

In quarto luogo, la presa d'atto dell'interdipendenza che ci lega gli uni agli altri. Nel bene e nel male. Si va sempre più riconoscendo il legame che stringe in un'unica sorte gli uomini e i popoli tra di loro. Si afferra meglio di prima il riverbero positivo che la felicità degli altri può avere sulla nostra vita-, così come si comprende, con maggiore lucidità di ieri, che un sistema di violenza e di oppressione scatena, sia pure a distanza, nefaste conseguenze a catena su tutti.

La transizione si gioca in larga misura su questi passaggi.

 

Lettera aperta a... don Tonino.

Siamo le ragazze della V C. dell'Istituto Professionale per i Servizi Commerciali di Molfetta. Vi abbiamo scritto poco tempo fa in occasione di una nostra iniziativa a favore degli studenti di Durazzo e Voi ci avevate risposto che proprio in quei giorni era necessaria la Vostra presenza a Sarajevo ma che auspicavate 10, 100 iniziative come la nostra, che sta a dimostrare soprattutto come i giovani siano vivi e interessati ai problemi.

Era una lettera dalla semplicità disarmante ma di estremo impatto comunicativo, che andava dritto al problema, proprio come nel Vostro stile, quello stile e quella semplicità che ha sempre lasciati incantati noi giovani dinanzi a Voi perchè capivamo così, epidermicamente, che ciò che dicevate veniva dal profondo del vostro cuore.

E' difficile esprimere certi sentimenti, forse potremmo farlo meglio attraverso un passo della Bibbia:

"Accetta quanto ti capita

Sii paziente nelle vicende dolorose

Perchè con il fuoco si prova l'oro

e gli uomini ben accetti nel crogiolo del dolore.

Affidati a Lui ed Egli ti aiuterà ".

(Siracide 2, 4)

Le ragazze della V C.

 

Nell'ottobre del 1994 il Rotaract Club di Molfetta, per ricordare la figura e l'impegno sociale di don Tonino Bello, bandì la seconda edizione di un concorso letterario a Lui dedicato, riservato a giovani frequentanti le Scuole Medie superiori della Diocesi.

I partecipanti si confrontarono con riflessioni riferite ad un brano dell'amato Vescovo che disse così:

"Carissimo Giuseppe,

la domanda la giro a te che te ne intendi!

Se cioè la razza dei sognatori sia utile all'umanità oppure vada combattuta, proprio per quella carica di fuga che il sogno sembra favorire".

Tra gli elaborati presentati dagli alunni allora frequentanti l'Istituto Professionale di Stato per i Servizi Commerciali e Turistici di Molfetta, risultarono degni di segnalazione gli elaborati delle studentesse Angela Bavaro (frequentante la classe 3" A) e Romina Cirillo (frequentante la classe quinta A); quello di Mariangela Scìancalepore fu premiato e lo riproponiamo di seguito.

 

Una razza di sognatori: cioè di uomini liberi.

Carissimo don Tonino, mi ha incuriosito la tua domanda a Giuseppe, esponente di una razza di sognatori, contestata, invidiata, considerata pericolosa dall'umanità pratica e concreta che lo circonda.

Ho provato allora a risponderti io e ti confesso che in un primo momento quella domanda mi è sembrata difficile e incomprensibile, ma poi ripensandoci ho visto chiara la risposta come il volto di un amico.

Chi è in fondo un sognatore? E' un uomo che si sente ricco e felice, ma soprattutto diverso. Non ha bisogno della luce per vedere dove gli altri non vedrebbero neanche con il sole di mezzogiorno, non ha assoluto bisogno di tre pasti al giorno e anche se le sue giornate vanno una bene e una male, non gli importa, in fondo è un uomo libero e di tempo ne ha quanto ne vuole; forse il punto è proprio questo: "per sognare ci vuole tempo", per fare tutto ci vuole tempo e buona volontà per trovarlo.

Certo, rispetto agli altri, non si dà un gran da fare: almeno così sembra in una società come la nostra dove il tempo ben utilizzato è quello degli affari e del successo, quello dei sogni è solo tempo sprecato.

Tu, invece, tu lo trovi il tempo per sognare?

Tu sei un uomo di Chiesa, tieni fede al tuo impegno con costanza e serietà, sei disponibile e comprensivo anche se a volte qualcuno se ne approfitta; ma tu non ti scoraggi, ti hanno insultato, ti hanno picchiato, ma tu non ti sei mai arreso, e per questo io ti ammiro; ma ti sei mai soffermato a sognare o ad immaginare di essere ad esempio un tassista, un gelataio, o perché no, un barbone?

Io non ho certo tutti i tuoi impegni, anzi non ho molto da pianificare, la mia vita è un susseguirsi di eventi. Non so dove sarò fra quattro anni, e sono felice di non saperlo.

Una delle cose più entusiasmanti che la vita ci offre è la sua sorprendente imprevedibilità. Io vivo bene in questa dimensione, ma la gente in gran parte non la pensa così.

Purtroppo tu sai bene che oggi il metro di valutazione non si basa su ciò che sei, ma su ciò che appari o su ciò che hai, e per tanta gente, in una scala da uno a dieci, chi non ha assolutamente nulla vale zero.

Sono tutti convinti del fatto che senza una casa, senza un lavoro, una famiglia, un uomo non è nessuno e non vale nulla.

La razza dei sognatori, caro don Tonino, non si è estinta, ma è senz'altro in via di estinzione. Eppure qualcosa si può ancora fare, se tutti lo vogliamo: non si paga, non si rischia, con l'immaginazione si può ottenere tutto, senza rubare niente a nessuno. Non è difficile sognare, come qualcuno pensa.

Se tutta quella gente così ricca di soldi e così povera di sogni scegliesse di passare solo un giorno diverso, di sprecare il tempo di un giorno, da uomo libero, dormire sulla panchina di un parco, mangiare ciò che trova, senza doversi preoccupare di ciò che hanno da dire i benpensanti, si riempirebbe il cuore di una ricchezza che nessun ladro potrebbe mai rubare e nessun fallimento potrebbe diminuire.

Quella dei sogni è una fonte alla quale tutti possiamo attingere, se solo abbiamo la pazienza di metterci in fila. Quanti sanno cosa significhi vedere un'alba?

Alle cinque del mattino tutti dormono e si riposano per dare il meglio nel lavoro, rinunciando a dare il meglio alla loro vita.

La vita è dura da vivere e gli uomini sono pigri: non vogliono neppure sforzarsi di vedere le bellezze che essa offre gratuitamente, perchè oggi vale solo ciò che si compra e costa tanto. Di giorno non si ha tempo per sognare ad occhi aperti, e di notte si è troppo stanchi per poterlo fare.

Allora, caro don Tonino, se vuoi sapere la mia opinione, non penso che la razza dei sognatori sia inutile. Inutile e arido mi sembrerebbe un mondo senza fantasia, dove i giorni e gli anni scorressero tutti uguali, senza colore, dove non esistessero più le "improduttive" fabbriche dei sogni.

Mariangela Sciancalepore.

classe 5° sez. A

anno scolastico 1994-95.

Fine libro.

Tonino Bello

  • articolo
  • testo
  • Tonino Bello
  • sognare
  • Mariangela Sciancalepore
  • giovani
  • adulto
  • educatori
  • animatori

Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)