Don Bosco, con il suo umorismo, cercava di ridimensionare sempre la stima, l'ammirazione e la fama di santo di cui la gente lo circondava. Era un santo alla buona, sempre affabile, indulgente e gioviale, mai bonomo!
del 21 gennaio 2011
           La festa di San Giovanni Battista, che cade il 24 giugno, fu scelta a Vadocco per celebrare l’onomastico di Don Bosco, anche se il suo nome era quello dell’Evangelista. Un settimanale torinese, “La Stella Consolatrice” il 30 giugno 1883, descrivendo quella festa fatta per l’occasione, espresse le meraviglie nel vedere in quel giorno tanta moltitudine di persone a Valdocco: nobili e popolani, studenti e operai, giovani e vecchi, per vedere Don Bosco!            Tutti erano giunti lì a festeggiare quell’uomo così popolare, tale da far dire a qualche impertinente: – A Torino di veramente popolari ce ne sono solo due: Gianduja e D. Bosco. Gianduja si sa, è la maschera del teatro popolare piemontese. Di fatto una delle singolarità di Don Bosco fu il contrasto in lui tra la grandezza della sua opera e la semplicità dei suoi gesti e del suo linguaggio, tanto che le battute di spirito fiorivano spontaneamente sulle sue labbra.   “Quando abbiano i vostri meriti!”            Nel luglio del 1887, a Valsalice, i discepoli più anziani dell’Oratorio venivano a ricordare a Don Bosco chi una chi un’altra cosa da loro testimoniata negli anni passati. Una sera a cena don G. Garino ricordò che al tempo delle perquisizioni della polizia all’Oratorio, si vendeva per la strada un giornale al grido: “Don Bosco in prigione!... Un soldo alla copia!” e che Don Bosco, andando con lui per quella strada cittadina, gli diede un soldo per acquistare il foglio.            Don Garino contava poi che un altro giorno, passando con Don Bosco per piazza Savoia, s’imbatté in due donnacce che dissero: – Questi preti bisognerebbe impiccarli tutti. E Don Bosco pronto a rispondere: – Quando abbiano i vostri meriti! (cf MB 18,364).   “lo me li tingo i capelli!”            Ma Don Bosco, con il suo umorismo, cercava anche di ridimensionare la stima, l’ammirazione e la fama di santo di cui la gente lo circondava. Nel 1879 si recava a Farigliano (CN) con Don Celestino Durando. Gli fu preparato un pranzo con la partecipazione di preti della parrocchia e dei paesi vicini che desideravano conoscerlo e vedere chi mai fosse quel sacerdote di cui tanto si parlava.            A tavola qualcuno fece osservare che Don Bosco, già oltre i sessant’anni, aveva ancora tutti i capelli neri, mentre Don Durando, non ancora quarantenne, li aveva già brizzolati. Don Piacenza, l’antico maestro di Don Durando, suggerì a un certo Don Arnaldi, di chiedere a Don Bosco come mai. Quando questi udì la curiosa domanda, disse con tutta semplicità ed arguzia in piemontese: – Mi im jë tenzo ij cavèj (Io me li tingo i capelli).            E con la sua bonarietà mise a loro agio tutti i commensali (cf G. B. Francesia, Memorie Biografiche del Sac. Celestino Durando. San Benigno Canavese, Scuola Tipografica Salesiana 1908, p. 39-40).   L’Abate Bonomo             Nel suo viaggio a Nizza Marittima del 1880, un giorno Don Bosco prese una vettura in piazza, ma quando arrivò il momento di pagare s’accorse di essere senza un soldo in tasca. Perciò disse al vetturino di aver lasciato il portafoglio a casa e quindi facesse il favore di passare al “Patronage Saint- Pierre” dove lo avrebbe pagato. – Di chi debbo chiedere? – gli domandò il vetturino. – Di me! – Ma lei come si chiama? – L’abbé Bonhomme! (il prete bonomo!), – gli rispose Don Bosco. Verso sera il vetturino giunse alla casa salesiana. Don Bosco si era dimenticato di avvertirne in anticipo il portinaio.  Questi chiese al brav’uomo chi volesse vedere e lui rispose: – L’abbé Bonhomme. – Qui non c’è nessun bonomo! – rispose bruscamente il portinaio. Ma l’uomo alzò la voce, tanto che Don Bosco, dal piano di sopra, udito l’alterco e compresone il perché, si affacciò. – Voilà, l’abbé Bonhomme! – gridò trionfalmente il vetturino. E Don Bosco, ridendo, scese e lo pagò (cf MB 14,435). Era un santo alla buona, sempre affabile, indulgente e gioviale, mai bonomo!   “Ai miei ragazzi piacciono le pagnotte”            Durante il suo viaggio in Francia del 1883 Don Bosco era salito arditamente sul pulpito di famose chiese di Parigi, quali Notre-Dame des Victoires, la Maddalena, San Lazzaro. I suoi erano discorsi familiari, i cosiddetti sermons de charité, nei quali faceva appello alla carità dell’uditorio, esponendo lo scopo e le necessità delle sue opere benefiche. Possedeva il francese tanto da farsi intendere e lo parlava con una certa disinvoltura, passando facilmente sopra al dizionario ed alla grammatica.            Ma in lui parlava il cuore e, nonostante le difficoltà della lingua, riusciva a tenere sospeso dal suo labbro il folto uditorio. Ma ci fu tra i suoi chi gli chiese come si togliesse d’impiccio quando non gli veniva l’espressione francese. E lui bonariamente: – Allora dico in piemontese ai miei ascoltatori: Ai mè masnà a-j piaso le pagnòte! (Ai miei ragazzi piacciono le pagnotte), e tutti mi capiscono (G. Angrisani).  “Il bastone di Adamo”            Don Bosco sapeva essere faceto nella conversazione con chiunque. Un giorno, accompagnato da un suo domestico di Valdocco; viaggiava in treno da Varazze a Genova-Sampierdarena. Nel vagone di seconda classe in cui si trovava c’era pure tra i passeggeri un certo Mons. Bianchi, uomo di Curia, seduto di fronte a lui.            Don Bosco, che teneva tra le mani un nodoso bastone, per rompere il ghiaccio, disse sorridendo ai compagni di viaggio: – Questo è il bastone di Adamo! Monsignore, fingendo meraviglia, esclamò: – Caspita! Deve essere ben tarlato questo bastone antidiluviano! Ma Don Bosco assicurò tutti i presenti: – Questo bastone è del mio domestico che si chiama Adamo ed è qui con me! – suscitando tra tutti una bella risata! Giovanni Battista Adamo era stato accolto come famiglio nell’Oratorio e poi nel collegio di Alassio (cf MB 10,1258).Natale Cerrato
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