Se pensiamo che la nostra vita sia la tranquillità noiosa, in cui non c'è mai niente di nuovo, tutto tranquillo, tutto secondo lo schema, credo che ci troveremo presto delusi. Forse qualcuno vive ancora nell'incoscienza o si nasconde dietro un dito. A che cosa è dovuto l'uso crescente di spinelli e di coca, gli sballi e le continue bevute di birra, chiamate elegantemente feste della birra?
del 18 settembre 2009
In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: “Passiamo all’altra riva”.
E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca.
C’erano anche altre barche con lui.
Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento
e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena.
Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva.
Allora lo svegliarono e gli dissero:
“Maestro, non t’importa che moriamo?”.
Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”.
Il vento cessò e vi fu grande bonaccia.
Poi disse loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”.
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro:
“Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”.
(Mc 4, 35-41)
 
Se pensiamo che la nostra vita sia la tranquillità noiosa, in cui non c’è mai niente di nuovo, tutto tranquillo, tutto secondo lo schema, credo che ci troveremo presto delusi. Forse qualcuno vive ancora nell’incoscienza o si nasconde dietro un dito. A che cosa è dovuto l’uso crescente di spinelli e di coca, gli sballi e le continue bevute di birra, chiamate elegantemente feste della birra? Perché dei ragazzi tranquilli, di punto in bianco ( si fa per dire, perché nelle loro teste già sono prefigurati tutti i passi dell’assurdo), si scatenano a distruggere e a buttare all’aria tutto?
C’è tutti i giorni una tempesta nel cuore; la consapevolezza di un male o di un vuoto che ti crea nel cervello un mulinello di pazzia, una voragine di non senso, che si beve la vita. Qualche altra volta è anche una disgrazia, una ingiustizia subita, un male di cui non sei responsabile, ma che ti cade addosso e non ti senti pronto ad affrontare.
Era così anche la vita dei dodici; sempre assieme a Gesù, sempre tranquilli, ormai distesi e arrivati. Ma un giorno il mare di Galilea che sembra sempre liscio come l’olio, si scatena. La barca viene sbattuta da ogni parte, la paura è grande. Nessuno capisce più niente e si dà da fare per parare il colpo, come può. Ma quello che fa più fastidio, che balza agli occhi degli apostoli impauriti è il sonno tranquillo di Gesù, la sua assenza totale dallo sconquasso della vita.
Ma Dio dove è? Perché ci ha abbandonato? Perchè deve capitare tutto questo a gente inerme, senza colpa né pena. Tu Gesù ci lasceresti morire così? Ti inabisseresti anche tu senza accorgerti, mentre noi siamo pieni di spavento. Apri gli occhi. Renditi conto del nostro terrore. Che tu dorma, non solo ci fa sentire ignorati, abbandonati, ma anche condannati. La nostra vita non può finire così. Non ti importa che moriamo? Dove è il tuo amore per noi che in questi anni ci ha affascinato, ci ha fatto crescere, ci ha aiutato a guardare in faccia ogni pericolo?
Non è una supplica soltanto, ma una accusa, come tante siamo capaci di rivolgere a Dio nella nostra vita. Quando ci capita qualcosa di male il primo da mettere alla sbarra è sempre e solo Dio, anche quando siamo noi stessi che firmiamo la nostra condanna.
A te alla fin fine non importa niente di noi. Sapevamo di essere sfortunati, abbiamo sperato di aver trovato qualche riferimento sicuro, invece siamo ancora e sempre soli. Di tempesta in tempesta si prepara la fine di ogni speranza. Saranno così anche i due discepoli di Emmaus pieni di tutti quei verbi all’imperfetto e di “ormai”, pronti a gettare la spugna e a perdere la fiducia.
E Lui, sempre dopo aver fatto sperimentare che la fiducia in Lui deve essere più vera, più forte, incrollabile, a misura di ogni tempesta, si erge solenne e dice: Taci, calmati, qui ci sono i miei amici, qui ci sono dei giovani che tendono l’orecchio ad ogni sussurro di speranza e tu non puoi prevalere sulle loro fragilità, sulle debolezze in cui stanno sempre a crogiolarsi. Non ci sarà nessuna tempesta che l’avrà vinta su chi si affida a me, su chi è capace di buttarsi nelle braccia del Padre.
 Ma la vostra fede deve crescere, è troppo interessata, autocentrata, miope, legata alle vostre paure. Occorre un colpo d’ala, un volo libero che sa rischiare. Dentro ogni tempesta io ci sono e non vi lascio soli. Ma voi cominciate a crescere e non state sempre a guardarvi addosso, perché dovrete aiutare tanti altri a superare le tempeste della vita nel mio nome.
 
mons. Domenico Sigalini
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