"Uccidere"

Nel frattempo i lupi con i loro ululati vagano avanti e indietro per quella desolazione, tessendo nell'aria un velo di minaccia. Nel suo tragitto l'uomo incrocia le tracce di un altro uomo. Poi vede un mucchio di ossa...

'Uccidere'

da Quaderni Cannibali

del 04 novembre 2009

 

Un uomo, un cercatore d’oro, cammina con il suo compagno, Bill, per l’immensità di una distesa di ghiaccio. Sono entrambi deboli e stanchi, col loro carico di masserizie e di metallo prezioso sulle spalle. L’uomo si sloga una caviglia e chiede aiuto all’altro che invece se ne va per la sua strada, come in una sorta di parabola invertita del buon samaritano. Davanti all’uomo ferito resta l’immensità della paurosa e terribile desolazione pronta a schiacciarlo.

 

 

L’uomo comincia a tremare ma non si ferma né si lascia vincere dal pensiero dell’abbandono. Si convince che Bill lo avrebbe atteso più avanti: era costretto ad aggrapparsi a questa convinzione, altrimenti non avrebbe avuto senso tutta quella fatica, e si sarebbe lasciato cadere per morire. Se l’uomo perde la “compagnia” si lascia morire.

 

Nel frattempo i lupi con i loro ululati vagano avanti e indietro per quella desolazione, tessendo nell’aria un velo di minaccia. Nel suo tragitto l’uomo incrocia le tracce di un altro uomo. Poi vede un mucchio di ossa. Era ciò che era rimasto di Bill dopo il passaggio dei lupi. L’uomo prosegue come un fantasma, guidato dalla visione di un miraggio irraggiungibile: il mare che si intravede alla fine dei ghiacci e una nave. L’ultimo atto è la lotta con un lupo, stremato tanto quanto l’uomo: una lotta estrema, lenta, affannata di due corpi senza più energie. L’uomo l’avrà vinta ma senza alcun trionfo.

 

In questa storia di Jack London dal titolo Love of life si parla della vita parlando della morte. Bill lascia l’uomo ferito al suo destino, che sarà però di salvezza, mentre va incontro al suo destino di morte. In realtà qui nessuno uccide nessuno: Bill muore, e forse sarebbe meglio dire, “s-finisce” divorato dai lupi; l’uomo ferito invece uccide il lupo in una lotta tra stremati la cui descrizione lascia solamente l’amarezza di una sconfitta necessaria. Alla fine vince l’amore per la vita inteso come istinto sottile ma tenace. Questo racconto ci fa capire, in realtà, una cosa: che la morte è il contrario dell’uccisione, il suo opposto speculare.

 

Perchè? In che senso? In questo racconto di Jack London si muore, non si è uccisi. Persino il lupo non è ucciso: lo è apparentemente, ma in realtà è sopraffatto dalla propria debolezza. L’uomo che vive uccide un lupo già morto. Questa percezione di vanità e di sfaldamento è data dal fatto che non è possibile uccidere: si può solo morire. Questa percezione è tanto spaventosa quanto maestosa: a ben pensarci la maestà della vita trionfa là dove essa appare vulnerabile. Non “deperibile”, dico, ma “vulnerabile”. Si può ferire solamente la vita, si può uccidere solamente la vita. In questo senso il gesto potenziale dell’uccidere allude al trionfo della vita. Per questo il contrario dell’uccidere è la morte, non il vivere.

 

In Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu il narratore sta per uccidere un soldato austriaco: è un nemico e dunque da uccidere senza pensarci, automaticamente. Ma qualcosa accade. Scrive Lussu: la «certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! Ne distinguevo gli occhi e i tratti del viso. […] Condurre all’assalto cento uomini, o mille, contro cento altri o altri mille è una cosa. Prendere un uomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire: “Ecco, sta’ fermo, io ti sparo, io t’uccido” è un’altra. È assolutamente un’altra cosa». In queste parole, quando il narratore percepisce che può uccidere quell’uomo, allora la vita dell’altra persona grida tutta la sua vitalità e la sua inviolabilità. E’ allora che si afferma e che si impone sulla morte. Il volto dell’altro uomo è appello e grida, senza rumore di parole, il comandamento: «Tu non ucciderai».

 

Antonio Spadaro S.I.

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