Un canto per Haiti

Padre Bernard è rimasto sepolto per ore sotto le macerie. I suoi ragazzi non ce l'hanno fatta. Lui combatte lo shock suonando la chitarra: compone testi che sono preghiere.

Un canto per Haiti

da Attualità

del 11 febbraio 2010

 

          Prende la chitarra e suona dentro un'auto piena di libri, tutto quello che è riuscito a salvare dalle macerie. Padre Harold Bernard ha 39 anni ed è salesiano. Canta in creolo. Intona un motivo struggente che lui stesso ha composto dopo aver convissuto sei ore con la morte: “O Dio, dove sei? Non vedi che stiamo per morire?”.

 

          È rimasto sepolto vivo sotto due piani dell'Enam, l'Ècole nationale des arts et metièrs, la Scuola nazionale delle arti e dei mestieri, che i seguaci di don Bosco hanno a Port-au-Prince e che lui dirige. Il buio l'ha inghiottito alle 16.45 del 12 gennaio, quando le scosse telluriche si sono messe a frustare l'isola. L'hanno strappato da quel nero sudario quand'erano ormai le 23.

          Con padre Bernard, là sotto, sono finiti i suoi studenti. Lui ce l'ha fatta, loro no. “Sopravvivere, forse, è peggio che morire”, racconta. “Sei bloccato, respirare diventa un'impresa e ogni volta tiri su aria mista a polvere. Ma soprattutto pensi, cercando di imbrigliare la paura. Pensi che puoi farcela, anzi pensi che devi sperare, poi pensi che devi essere razionale, che non devi illuderti, che è finita. Poi cambi ancora, ti fai forza e pensi che sia giusto non arrenderti, pensi che Dio, a cui ti affidi, vuole che tu faccia la tua parte fino in fondo e pensi che qualcosa starà accadendo lì fuori, oltre il buio, pensi che qualcuno stia lavorando per liberare te e gli altri”.

          “Già, gli altri”, sospira Bernard. “L'istinto di sopravvivenza non cancella altruismo e carità. Mentre sto là sotto, richiamo alla mente i nomi e i volti dei miei ragazzi. Uno a uno. Mi chiedo che ne è di loro. E prego. Prego per loro e per me. Penso anche ai miei studi, a quanto ho faticato per arrivare all'università. In un attimo tutto diventa inutile. Il valore della vita porta in sè il valore della morte. A un certo punto sento dei rumori. Non immagino che siano passate tante ore. Con la mano cerco di fare un buco nei detriti. Vedo una piccola luce e sento una voce che mi chiede qualcosa, poi braccia forti mi tirano fuori e mi ridanno la vita”.

          Il 12 gennaio sono andate praticamente distrutte 6 delle 9 case salesiane di Haiti. Presenti nell'isola caraibica dagli anni Trenta, per circa 80 anni i Salesiani sono stati l'unico punto di riferimento per la popolazione più disagiata. Padre Jacques Charles, 65 anni, ispettore di Haiti, cioè superiore provinciale, mostra un vassoio di panini ormai induriti, che, grazie a un piccolo forno, sfamavano quotidianamente circa 25 mila ragazzi di strada del poverissimo quartiere di Dessalines. I ragazzi sono stati i più colpiti in questo pezzo d'Africa radicato nel Centro America. Una generazione è sparita sotto le macerie. E lo sanno bene i Salesiani, preti di frontiera, che per i 'loro' ragazzi spendono la vita.

La strage dei ragazzi di strada

          E lo sa bene padre Attilio Stra, un sacerdote italiano (ha 74 anni, è nato a Cuneo) che ad Haiti ha dato, senza risparmiarsi. Fa parte dei sopravvissuti a quel drammatico minuto del 12 gennaio. Ci accoglie nell'ospedale di Santo Domingo dov'è ricoverato. Ci racconta di quei tragici frangenti e di quei 300 ragazzi di strada che hanno incontrato la morte nella struttura scolastica dei Salesiani, a Port-au-Prince.

          Il numero è incerto, perchè sulla strada il gruppo non si conta. E il terremoto non s'è fermato per fare l'appello. Qui, i ragazzi avevano un riparo e la possibilità di osare un futuro migliore: allontanarsi dalle insidie della strada, studiare, imparare un mestiere, insomma avere le stesse chance che si hanno nelle scuole salesiane sparse nei cinque continenti.

          Lo spazio rimasto, ancora segnato dalle tracce dei corpi senza vita, seppelliti in una fossa comune vicino alla scuola, ricorda gli schiamazzi e le urla di chi non c'è più. E il silenzio spettrale diventa assordante. La scuola Enam è completamente distrutta e tra le macerie il vento sfoglia libri e quaderni strappati, coperti di terra. Approfittando del crollo delle mura di recinzione, la scuola è alla facile portata di persone che rubano tutto ciò che trovano: sedie rotte, matite colorate, e le scarpe, scarpe troppo piccole per trovarsi là. I furti, il saccheggio sono diventati a Port-au-Prince, la colonna sonora del terremoto.

          Nelle vie della capitale la polizia spara in aria per evitare che le persone si accalchino davanti ai resti dei supermercati, tirando fuori qualunque cosa, ma la paura è vinta dalla povertà endemica di Haiti, che precede il sisma.

          Tragedia nella tragedia, il terremoto ha acuito e peggiorato una situazione difficile non solo per la catastrofe umanitaria, ma anche per l'assenza di indirizzo politico e per la mancanza di un Governo. Il Palazzo presidenziale e molti ministeri sono crollati, il Parlamento non c'è più e il presidente Renè Preval ha parlato solo cinque giorni dopo la tragedia. Una popolazione allo sbando, dunque, abbandonata a sè stessa.

          Il traffico delle strade di Port-au-Prince si confonde con il traffico del cielo. Aerei ed elicotteri militari sorvolano continuamente la disgrazia. Le Nazioni Unite hanno preso in mano la situazione, ma qui tutto è complicato. Le vie di comunicazione sono ostruite da macerie e da abitazioni di fortuna, baracche improvvisate, fatte per lo più di stoffa.

          Fino a qualche giorno fa i cadaveri erano dappertutto e l'odore forte di morte impregnava narici, vestiti, capelli. I Salesiani non hanno mai smesso di lavorare (per aiutarli: Vis, Volontariato internazionale per lo sviluppo, telefono 800.12.34.56, www.volint.it). Dove è possibile hanno allestito campi di accoglienza. Il più grande è al Centre de formation et de rècrèation Don Bosco a Carrefour Thorland, a circa 17 chilometri da Port-au-Prince. Lo coordina il direttore dell'istituto, l'haitiano padre Bonhomme Morachel. Lì vengono ospitate 700 famiglie, circa 3.500 persone: funziona anche un piccolo ambulatorio che ha assistito i primi parti.

          I Salesiani si occupano anche degli orfanotrofi, sempre più affollati. E un sacerdote olandese racconta una storia che sta seguendo personalmente. Padre, madre e figlioletto erano venuti a Port-au-Prince dall'Olanda per adottare un bambino haitiano. Il terremoto li ha sorpresi all'interno di un hotel, uccidendo i genitori e il bimbo adottato, e rendendo orfano il figlio naturale.

          La mattina qui ad Haiti si presenta spesso accompagnata da un acquazzone e da altre nuove scosse di terremoto. Si tratta di pochi secondi, ma sembrano un'eternità. Il temporale tropicale accende i colori di questa splendida natura, ma la paura impedisce di gustarne la bellezza. Si è deciso di interrompere le ricerche, ma qui si continuano a trovare persone vive, che hanno resistito per giorni, anche quindici, sotto le macerie.

          Padre Bernard continua il suo blues. I confratelli e gli amici dicono che ha cominciato a riprendersi dallo shock quando ha ritrovato la chitarra. Prima s'è rimesso a cantare e poi ha parlato.

          La luce del sole arancione che taglia le nuvole scure pronte per il prossimo temporale, l'atmosfera tropicale che induce al sogno e all'allegria stridono con i colori e i suoni cupi di questo regno di morte (le vittime sarebbero almeno 170 mila), ma al tempo stesso rendono più lievi questi giorni intensi e tragici nell'angolo più povero del pianeta.

Alessandra d'Asaro e Gabriele Salari

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