Non serve l'ecclesialese per dire di bambini soldato, di donne mutilate, di giovani costretti a morire nel Mediterraneo per fuggire da Paesi affamati da politici corrotti e multinazionali straniere.
del 20 novembre 2009
 
Riconciliazione, giustizia e pace: è alla luce di questi tre grandi valori che i vescovi africani riuniti al Sinodo in Vaticano hanno riletto la vita quotidiana del Continente nero. Si è trattato di un’occasione preziosa per denunciare a voce alta i mali e le sofferenze delle loro nazioni, ma anche per annunciare la 'buona novella' di interi popoli che – pur tra mille contraddizioni – con l’aiuto delle Chiese stanno tentando di alzarsi in piedi per riprendere in mano il proprio destino e il proprio futuro.
 
 
Acqua e terra, sangue e armi, speranza e morte. L’Africa che per tre settimane ha raccontato se stessa nei palazzi vaticani ha usato le parole della vita vera. Non serve l’ecclesialese per dire di bambini soldato, di donne mutilate, di giovani costretti a morire nel Mediterraneo per fuggire da Paesi affamati da politici corrotti e multinazionali straniere. Né occorrono le arti della diplomazia per rivendicare potenzialità di sviluppo, capitale umano e vitalità religiosa. Buona parte dei vescovi riuniti a Roma, dal 4 al 25 ottobre, per la seconda assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, ha scelto di raccontare la storia della sua gente, leggendola attraverso le categorie indicate dal documento preparatorio: riconciliazione, giustizia e pace.
 
Un lavoro intenso in cui gli spazi ristretti per la discussione in aula – cinque minuti di intervento a testa, e i tempi contingentati per i confronti nei circoli linguistici – hanno costretto i 244 padri sinodali a esercitare il dono della sintesi. I contributi elaborati dai circoli sono confluiti in 682 Proposizioni poi sintetizzate nelle 57 presentate al Pontefice per l’elaborazione del documento finale.  Rispetto al primo Sinodo, tenuto 14 anni fa, «quando la tragedia del Rwanda aveva creato un clima di tensione e di sospetto, quest’assise si è svolta in un clima di serenità», ha rilevato uno dei due segretari generali, monsignor Edmond Djitangar, vescovo di Sarh.
 
Eppure l’instabilità e la violenza che segnano alcuni Paesi africani si sono fatte sentire: attraverso l’assenza dell’arcivescovo di Niamey, in Niger, monsignor Michel Christian Cartatéguy, «impegnato in un’opera di mediazione per la riconciliazione in collaborazione con l’imam della moschea di Niamey e il sultano di Agadez, a causa della grave situazione politica tra governo e opposizione», ha spiegato in aula il segretario del Sinodo, monsignor Eterovic; per l’improvvisa partenza dell’arcivescovo di Bukavu, della Repubblica democratica del Congo: il 6 ottobre aveva riferito che si erano ripetute, ai danni di una comunità parrocchiale, le violenze avvenute quattro giorni prima in un’altra chiesa della diocesi, dove «è stato appiccato un incendio, i sacerdoti sono stati maltrattati e presi in ostaggio da uomini in uniforme che hanno preteso un grosso riscatto»; e anche nella lettera di solidarietà inviata dall’assise ai vescovi della zona dei Grandi Laghi, «dove perdurano azioni belliche che producono distruzioni, violenze, morte tra la popolazione innocente e centinaia di migliaia di persone, per salvare la propria vita, sono costrette ad abbandonare le loro case e a rifugiarsi nei Paesi limitrofi in condizioni di estrema precarietà».
 
Ma non è solo l’Africa della disperazione quella che in queste tre settimane è emersa dal Sinodo. Ai cattolici di altre latitudini l’Africa ha mostrato la vivacità di una Chiesa che invia sempre più missionari nel vecchio continente; e alla comunità internazionale ha parlato con i numeri del suo potenziale di sviluppo: a partire dalla forza demografica, con un miliardo e mezzo di abitanti previsto nel 2050 (che, a più corto raggio, vuol dire che quasi una persona su cinque nel 2030 sarà africana) e una popolazione di gran lunga la più giovane del mondo (nel 2005 il 65 per cento della popolazione subsahariana aveva meno di 25 anni, contro il 30 per cento dell’Europa). Cifre, queste, che potrebbero rivelarsi opportunità preziose, se incanalate in progetti di sviluppo rispettosi della vocazione del continente e dei diritti della sua gente.          
 
I nodi da sciogliere perché le opportunità si realizzino sono emersi dal dibattito sinodale e confluiti nelle proposizioni finali. Il tema della pace, per esempio, declinato con l’impegno ecologico, fa denunciare che «in complicità con coloro che esercitano la leadership politica ed economica in Africa, alcuni uomini e donne d’affari, di governo, compagnie multinazionali e transnazionali si coinvolgono in operazioni che avvelenano l’ambiente, distruggono la flora e la fauna, causando così un’erosione e una desertificazione di larghe zone di terra coltivabile senza precedenti». Alla Chiesa si chiede di promuovere l’educazione ambientale, di convincere i governi ad adottare regolamenti e politiche vincolanti, di cercare fonti di energie alternative e di incoraggiare tutti i cittadini a piantare alberi.
 
Al grido lanciato dall’arcivescovo di Gulu, in Uganda, monsignor John Baptist Odama – «Non dateci armi, non vendetecele perché non servono mai per la pace» –, risponde la Proposizione 23, che chiede di «fermare il traffico illegale di armi e rendere trasparente qualsiasi commercio», raccomandando al Consiglio Giustizia e pace di aggiornare il suo documento sul commercio di armi, condannando la produzione di armi nucleari e chiedendo che «le armi di distruzione di massa siano bandite dalla faccia della terra». La stretta connessione tra sfruttamento delle risorse naturali, traffico di armi e insicurezza deliberatamente mantenuta ritorna in più proposizioni, sia quando si parla di risorse naturali «le popolazioni gestiscano in proprio le loro», quando si centra il discorso su terra e acqua «tutte le negoziazioni siano condotte in piena trasparenza, gli accordi per l’alienazione delle terre non siano firmati senza il consenso previo libero e cosciente delle comunità coinvolte», sia quando si accenna alla solidarietà internazionale «non sempre raggiunge le persone alle quali è destinata e talvolta arriva con condizioni che non riflettono i bisogni della gente». 
 
Più volte i vescovi si soffermano sul «buon governo», chiamando in causa le responsabilità dei cattolici. «Il Sinodo ha rilevato con tristezza che in molte nazioni africane c’è strisciante violazione dei diritti umani, corruzione e impunità che fomentano colpi di Stato, violenti conflitti e guerre. In questi luoghi i principi della democrazia sono stracciati sin dalle radici» (n.25). Alla Chiesa si chiede di seguire i politici con «una formazione spirituale, dottrinale, pastorale e pratica, come pure un accompagnamento spirituale». Si auspica «la creazione di facoltà di scienze politiche nelle università cattoliche e la promozione di programmi multidimensionali di educazione civica, per favorire la formazione di una coscienza sociale a tutti i livelli».
 
Nella prima parte delle Proposizioni è il tema della riconciliazione a essere coniugato su più fronti: si denunciano le ambiguità con cui talvolta viene celebrata, laddove «un gran numero di cristiani adotta un comportamento di rispetto scrupoloso dei riti ancestrali di riconciliazione, ma concede poca importanza al sacramento della penitenza» mentre, nella proposizione sull’inculturazione, si parla di «un’incoerenza tra alcune pratiche culturali tradizionali africane e quanto richiesto dal vangelo» denunciando «la simonia tra un certo numero di sacerdoti, i quali abusano dei sacramentali per venire incontro alle richieste dei fedeli, a cui piacciono simboli religiosi, come incenso, acqua santa, olio d’oliva, sale, candele».
 
Riconciliazione è anche la chiave con cui guardare al dialogo ecumenico e interreligioso, «necessario», ma che con l’islam «deve superare qualsiasi forma di discriminazione, di intolleranza e di fondamentalismo religioso. Per quanto riguarda la libertà religiosa, il diritto al culto deve essere messo in risalto». Un dialogo che, in relazione alla religione tradizionale africana, aiuti «la distinzione che deve essere fatta tra il culturale e il religioso e specialmente tra il culturale e quei perniciosi programmi di stregoneria che causano la rottura e la rovina delle nostre famiglie e delle nostre società».
 
Nei paragrafi che vanno sotto la voce 'giustizia', tra i vari ambiti va segnalata la denuncia della fuga di cervelli: «L’insicurezza della vita e della proprietà e la mancanza del buon ordine accresce l’emigrazione e la fuga di cervelli e di conseguenza aumenta la povertà». Una fuga che va contrastata con un «miglioramento delle condizioni di vita» e con l’aiuto dei Paesi sviluppati chiamati a sostenere «l’Africa sviluppando centri di eccellenza accademica perché rispondano ai bisogni di uno sviluppo integrale delle società».
 
La parte finale delle Proposizioni riguarda i protagonisti della vita della Chiesa. Alle donne, al loro ruolo nella società e nella Chiesa, sono stati dedicati molti interventi. Le Proposizioni riconoscono che «non solo la loro dignità e apporto non vengono pienamente riconosciuti e apprezzati, ma i loro stessi diritti sono spesso negati». Alle Chiese si chiede di curare «la formazione umana integrale (intellettuale, professionale, morale, spirituale, teologica ecc.) delle ragazze e delle donne»; di istituire case di accoglienza per ragazze e donne vittime di abusi; di collaborare, tra Conferenze episcopali, per porre fine al traffico delle donne; di promuovere «l’integrazione più ampia delle donne nelle strutture della Chiesa e nei processi decisionali», di istituire una commissione di studio sulla donna a livello diocesano, nazionale e all’interno del pontificio Consiglio per la famiglia.
 
Diversi paragrafi prima, in riferimento al protocollo di Maputo, i vescovi avevano ribadito di ritenere inaccettabile l’articolo in cui si dice di «proteggere i diritti riproduttivi delle donne autorizzando l’aborto terapeutico nei casi di violenza sessuale, stupro, incesto e quando portare avanti la gravidanza comporterebbe la salute mentale e fisica della donna o la vita della donna o del feto». Nelle ultime Proposizioni si parla anche della necessità di un sistema educativo nazionale per i giovani, di un’attenzione privilegiata ai bambini, soprattutto quelli più a rischio, e ai disabili. A proposito dei malati si fa esplicito riferimento all’Aids. La Chiesa denuncia che «i malati di Aids in Africa sono vittime di ingiustizia, poiché non ricevono la stessa qualità di trattamento di altri Paesi» e chiede che «i fondi destinati a loro siano realmente devoluti a questo scopo». Al condom si accenna quando si dice di dare «un sostegno pastorale di aiuto alle coppie di contagiati per informarle e formare la loro coscienza perché facciano scelte giuste, con piena responsabilità per il miglior bene reciproco, la loro unione e la loro famiglia».
 
Verso la fine del testo, subito dopo aver parlato della dignità dei carcerati e della cura pastorale dei prigionieri, «il Sinodo invoca l’abolizione totale e universale della pena di morte». Nel penultimo paragrafo, prima di affidare i lavori del Sinodo a 'Maria, nostra Signora d’Africa', si chiede un aumento della presenza e della qualificazione della Chiesa nel campo dei mass media.
 
Oltre alla proposizioni il Sinodo ha anche prodotto un messaggio rivolto soprattutto all’Africa, al grido «Alzati e cammina». Un testo diviso in sette paragrafi, più un’introduzione e una conclusione, che, con un linguaggio diretto, rivolge tra l’altro numerosi appelli: ai sacerdoti, perché siano fedeli nel celibato, nella castità e nella povertà; ai laici, perché incarnino la loro fede cristiana in tutti gli ambiti della vita; ai cattolici impegnati in politica, perché combattano la corruzione e lavorino al bene comune; ai governi, perché sostengano le famiglie nella lotta alla povertà; alla Comunità internazionale, perché tratti l’Africa con rispetto e dignità, cambiando le regole dell’ordine economico mondiale, e in particolare del debito estero, fermando lo sfruttamento delle multinazionali, e non nascondendo altre minacce dietro l’alibi degli aiuti.
 
Assente dai grandi media – se non per qualche battuta sul 'Papa nero', l’uso del condom tra coppie sposate e la denuncia del dramma dei migranti – il Sinodo ha avuto grande eco a Roma, dove decine di iniziative si sono susseguite per offrire anche contributi da prospettive diverse. I giornalisti africani di Radio Vaticana hanno organizzato una serie di incontri sull’Africa e i media; l’Unione stampa cattolica e la Conferenza degli Istituti missionari hanno realizzato un Osservatorio che ha monitorato i lavori sinodali; Azione cattolica, Focolari e Sant’Egidio hanno promosso momenti di incontro e di preghiera con i vescovi. E non sono mancati gli spettacoli teatrali e musicali con al centro la proposta di riconciliazione offerta attraverso l’arte.
 
«Una nuova Pentecoste»: così Benedetto XVI ha definito questo secondo Sinodo sull’Africa. La definizione è piaciuta ai vescovi e ha trovato una risposta pronta in alcune delle donne chiamate come esperte e uditrici. Dopo il pranzo conclusivo con il Pontefice, salutandosi dinanzi all’aula Nervi, si sono guardate negli occhi e, intesa immediata, hanno deciso di rivedersi presto. Non c’è da sorprendersi: la storia racconta che le buone notizie corrono, prima di tutto, sulle loro gambe.
 
Vittoria Prisciandaro
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