Maestre e maestri, continuate a gettarli i vostri semi, perché vi accorgerete che germoglieranno...
Una maestra così te la porti dentro per sempre: un insegnante ha effetto sull’eternità!
Settembre 2004: iniziava l’ultimo anno delle elementari per una classe in cui, tra gli schiamazzi gioiosi di quei bambini vestiti di blu, cresceva la curiosità nell’attesa dell’incontro con la nuova maestra.
Al suono della campanella varcò la soglia lei, con lo sguardo caldo e il sorriso di chi ama il suo lavoro. Quelle due bambine, sedute negli ultimi banchi, sapevano chi era ma non chi sarebbe diventata per loro. Dondolando con la sedia e il capo per cercare di inserirsi negli spazi vuoti tra le teste dei loro compagni seduti davanti, cercavano di osservarla senza incrociare il suo sguardo. Il rossore delle loro guance avrebbe tradito quegli occhi che volevano guardare senza essere visti. Fu quello il nostro primo incontro con la maestra Rosanna.
Un incontro che rese possibile la trasmissione di un sapere vivo e mai assolutistico. Un desiderio di conoscere ci pervase l’anima, i libri che studiavamo si fecero carne; imparammo a leggere ad alta voce perché in tal modo riuscivamo a sentirci in compagnia. Le parole che pronunciavamo non si limitavano ad uscire dal nostro corpo, ma ne avevano uno proprio. Fu per noi uno straordinario sconvolgimento di cui solo ora ravvisiamo la forza motrice in lei, l’unica maestra che riuscì a conquistare la nostra attenzione senza imporre la stessa, senza autorità ma con autorevolezza, l’unica che riuscì a trasportarci emotivamente. La maestra Rosanna ci insegnò a pensare, non a cosa pensare.
Perché solo lei ci era riuscita? Lei non si limitava ad introdurre il sapere in noi, era in grado di far sì che noi ci muovessimo verso nuovi mondi; animava il nostro desiderio di affacciarci ad orizzonti lontani e vicini attraverso la musica, ma anche attraverso giornate di studio all’aria aperta, nel cortile della scuola; faceva respirare i suoi piccoli alunni.
Era la maestra di storia e geografia, una maestra di vita che insegnava a ridere, ad imparare vivendo. Ci volle poco per farsi largo nel cuore di quelle due bambine, ma ecco che quei giorni che prima sembravano interminabili, cominciarono a susseguirsi a ritmo incalzante, concatenandosi in una pura corrispondenza di amorosi sensi.
Le scrivevamo per esternare i nostri sentimenti. Era riuscita a farci uscire dal nostro guscio ed ora la nostra anima era distesa al sole. Letterine su letterine, nelle quali ripetevamo con insistenza quanto ci sarebbe mancata.
L’ultimo giorno di scuola portammo con noi una rosa, raccolta in una siepe che non era la nostra, ci eravamo spinte concretamente oltre, ma quella appassì, e rimase nello zainetto tra libri e quaderni. Il nostro rapporto doveva essere custodito con cura ed attenzione: sarebbe stato il segreto che ci avrebbe cambiate per sempre. Non lo sapevamo.
Intanto, finita la scuola, lei andò via. Gli anni passavano ma, nei nostri pensieri, eravamo sempre in tre. La pensavamo quando cercavamo una capitale o le cause della prima guerra mondiale; la pensavamo quando, riflettendo sul nostro futuro, ci immaginavamo così, proprio come lei. Agli occhi di quelle due bambine era speciale. Sapevamo che aveva contribuito alla nostra crescita e alla nostra formazione. L’avevamo cercata troppo tra gli sguardi di persone che non erano lei e avevamo cercato le tenerezze dei piccoli gesti che non erano i suoi.
Negli anni universitari abbiamo cercato di seguire sue impronte così profonde da essere evidenti anche quando lei aveva lasciato la nostra mano. Spesso leggevamo frasi con il tono con cui le avrebbe lette lei, perché nella voce appare il corpo, e a noi mancava tanto. Crescendo, abbiamo sentito il bisogno di ritrovarla.
Così un giorno, il 17 dicembre del 2015, dopo ben dieci anni di silenzio apparente e, dopo aver scoperto che era ritornata ad insegnare proprio nella nostra vecchia scuola, siamo andate a cercarla. È stato un incontro d’anime, tutto era rimasto immutato. Era lì ad accoglierci con lo sguardo pieno di gioia e le letterine in mano, quelle letterine in cui le chiedevamo di non dimenticarci: non lo aveva fatto.
Maestre e maestri, continuate a gettarli i vostri semi, perché vi accorgerete che germoglieranno. Prendete esempio dalla fenice: rinascete dalle ceneri di un sistema social – politico che non è più in grado di restituire la giusta immagine del lavoro dell’insegnante, forse perché è solo il più difficile tra tutti.
Tutti i fenomeni cognitivi sono anche fenomeni emozionali – affettivi, e allora amate sempre il vostro mestiere, osate amare i vostri bambini vestiti di blu! Non immaginate, forse, quanto gli adulti di domani, vi saranno riconoscenti.
Quanto a noi, siamo tornate da lei con una rosa in mano: “avremmo dovuto dartela dieci anni fa”. Il profumo non era più lo stesso, eppur l’odore della sua pelle era rimasto immutato, le abbiamo accarezzato i capelli come per sfiorarle l’anima, poi ci siamo voltate verso i suoi alunni e lei, con gli occhi lucidi pieni di orgoglio, ha chiesto: “Sapete chi sono loro?” – “Oriana e Valentina!” hanno urlato in coro. Ora è qui con noi, fa parte della nostra vita, condivide i nostri successi dei quali è artefice e vedrà diventare le sue due ” ridoline ” un’insegnante e una psicologa.
Oriana e Valentina
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