Un'Italia meticcia

Il nostro patrimonio culturale ha una marcata identità multietnica perché l'Italia è il frutto orgoglioso di mescolanze etniche che la Storia ci ha portato naturalmente a valorizzare nel corso dei secoli. E ora dovremmo rinnegare il nostro passato storico?

Un'Italia meticcia

da Quaderni Cannibali

del 31 agosto 2011

 

          Il nostro Paese conserva nelle sue viscere e nelle sue più profonde radici un’identità multietnica, anzi interetnica, maturata nel solco dei secoli, così ricca di molteplici tradizioni e culture diverse, più di quanto si possa contemplare e documentare presso altri popoli, Stati e nazioni nella Storia dell’umanità.Qualsiasi cosa possa obiettare in proposito chiunque nutra sentimenti di sapore razzista o quanto meno discriminatorio resterà esterrefatto e ammutolito nel constatare che la nostra penisola, dalle Alpi alla Sicilia, per millenni, è stata terra ospite fertile dei più multiformi humus culturali di provenienza la più diversa.

Una miscela incredibile di culture diverse

          In Italia, più che in altri Paesi, si sono verificate miscele incredibili e inaudite, crogioli significativi e sostanziosi tra popoli e culture e tradizioni di altre zone del mondo con le genti locali risiedenti nelle varie regioni italiane.Basta sfogliare un libro di storia per comprendere dunque che Fenici, Greci, Etruschi, Celti, Latini, Romani, Siculi, Sicani, Sardi, Veneti, Longobardi, Arabi, Normanni, Slavi, Ebrei, Borboni e Savoia e tanti altri ancora, per ben 3.500 anni, dal 1500 a.C. sino al 1861, anno dell’Unità d’Italia, si sono passati, per così dire, la staffetta, e si sono mescolati fra loro.Se ne dedurrebbe, pertanto, che il nostro Paese costituisca il risultato di un minestrone meticciato, sia una penisola dal substrato multietnico e multiculturale rilevante, grazie alla presenza millenaria nel territorio di genti provenienti dall’Asia Minore, dal Medio Oriente, dall’Arabia, dall’Africa, dall’Europa settentrionale e orientale, dalla Spagna, dalla Francia, dalla Germania e dai Balcani.

Non solo di passaggio

          Dire che gli italiani siano bianchi e mediterranei ed europei al cento per cento sarebbe pure un’affermazione esatta. Ma fino a un certo punto. Il nostro Paese è stato a più riprese attraversato, dominato, occupato, composto, abitato da tanti altri popoli, che non si erano trovati nei nostri confini soltanto di passaggio, ma piuttosto con la ferma intenzione di stabilirvisi e risiedere in maniera sistematica e organizzata, dando sfogo e vita a culture, lingue, tradizioni, usi, abitudini, costumi, che si sono radicati nel territorio della penisola divenendo propriamente italiani.Arte, architettura, gastronomia, lingua e vari altri aspetti della vita e della cultura italiane sono il risultato di una sintesi fra popoli diversi, che si può considerare a tutti gli effetti non solo straordinaria, ma anche unica nel suo genere, se si confronta con le esperienze di incroci culturali, che hanno avuto luogo in altri parti del mondo antico e/o moderno.

Uomini e donne alla ricerca di una patria

          Il nostro patrimonio culturale ha una marcata identità multietnica indubbia. Ma come mai non ce ne rendiamo conto? E ci facciamo prendere da fobie e prevenzioni, quando, ancora oggi, giungono in Italia, dall’Africa, dall’Asia, dal Medio Oriente, dall’America Latina e dall’Europa dell’Est, uomini e donne alla ricerca di una patria?La nostra Italia è il frutto orgoglioso di mescolanze etniche che la Storia ci ha portato naturalmente a valorizzare nel corso dei secoli. E ora dovremmo rinnegare il nostro passato storico, per cosa? Per giustificare un particolarismo di facciata, che cela solo un egoismo gretto e sfrontato, un modo di fare politica miope e fuori luogo, e una eterofobia ad alta tensione, predisposta a dimostrare un razzismo controproducente.L’accoglienza degli immigrati dovrebbe costituire un fiore all’occhiello di quella sana cultura identitaria squisitamente italiana, che non ha dimenticato il suo passato di migranti tra il primo e il secondo dopoguerra, e durante le migrazioni che si svolsero dal Sud al Nord della Penisola quando le fabbriche lombarde o piemontesi chiamavano a raccolta operai calabresi, pugliesi, siciliani o campani.  Proviamo a vedere la cosa da un punto di vista disinvoltamente utilitaristico, economico, di mercato. L’Italia sino a ora avrebbe resistito, restando a galla, alle crisi internazionali grazie all’impegno e allo sforzo di tantissimi italiani di origini straniere.

Il lavoro degli stranieri  

          Il lavoro che gli italiani non fanno più, lo fanno gli stranieri che noi tacciamo di essere sporchi, brutti e cattivi: l’assistenza familiare, il soccorso negli ospedali, il lavoro nei campi, nel settore dell’edilizia, all’interno delle piccole fabbriche, nel contesto dell’industria turistica, nel servizio della ristorazione, nell’ambito delle pulizie e della manutenzione, ecc. E sono persone che si sacrificano pur facendo un lavoro non regolarizzato e sottopagato. Hanno un colore, una statura, una lingua e una cultura diverse, una religione diversa, ma sognano un avvenire per sé e per i propri figli. Un avvenire da Italiani.

          Romeni, albanesi, marocchini, cinesi, filippini ucraini, colombiani e via di questo passo… vogliono sentirsi ed essere cittadini italiani.In questo contesto si fa riferimento naturalmente a quegli stranieri o immigrati che non delinquono, o non cadono vittime nelle maglie del crimine organizzato. Quest’ultimo è un discorso di ordine pubblico e di prevenzione, che rientra in altri parametri, in cui la cifra e la cultura dell’accoglienza non devono ridursi a fare all’opposto, come si suol dire, di tutta l’erba un fascio. Badanti, colf, camerieri, lavapiatti, cuochi, manovali, commercianti, venditori ambulanti, artigiani, operai, autisti, infermieri, pastori, allevatori, lavoranti a giornata, medici, insegnanti, imprenditori, ma anche calciatori, atleti, sacerdoti, militari e così via… che non hanno la pelle bianca e non hanno un accento che suona familiare, masticando un italiano ancora approssimativo. Essi vivono in Italia e hanno intenzione di restarci. Per fare l’Italia. Per diventare italiani. Orgogliosi di esserlo.

 

Nicola Di Mauro

http://www.dimensioni.org

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