Il Papa ce l'ha proprio con l'Italia, non c'è che dire... Ma la realtà è ben diversa. A cominciare dall'ultimo 'intervento' di Benedetto XVI finito sulle prime pagine di mercoledì. Passi che di un documento di 130 pagine si prenda una frase ad effetto, ma forse si dovrebbe spiegare che quella frase è parte di una Esortazione Apostolica, ovvero un documento del Magistero pontificio che è indirizzato alla Chiesa universale e non soltanto alla Chiesa in Italia o, più genericamente, all'Italia.
del 17 marzo 2007
Il Papa ce l'ha proprio con l'Italia, non c'è che dire. A sentire i politici, infatti, ogni suo intervento è un'intollerabile ingerenza nelle cose dello Stato italiano. Del resto, gli echi sulla stampa degli interventi del Santo Padre e delle stizzite risposte di alcuni politici sembrano confermare nell'opinione pubblica questa visione. Ma la realtà è ben diversa. A cominciare dall'ultimo 'intervento' di Benedetto XVI finito sulle prime pagine di mercoledì. Passi che di un documento di 130 pagine si prenda una frase ad effetto, ma forse si dovrebbe spiegare che quella frase è parte di una Esortazione Apostolica, ovvero un documento del Magistero pontificio che è indirizzato alla Chiesa universale e non soltanto alla Chiesa in Italia o, più genericamente, all'Italia.
 
Allo stesso modo, molti altri interventi del Papa sulla famiglia sono stati svolti in contesti non riservati a rappresentanti italiani, fossero essi membri di organismi ecclesiali o istituzionali, e avevano, quindi, una valenza ben più ampia. Ma chi se n'è accorto? Chi lo ha sottolineato? Ritenere che tutto riguardi sempre e solo il proprio ristretto orizzonte non è solo segno di grettezza e di provincialismo, ma anche di ignoranza, perché molti dei politici che parlano di cose di Chiesa, della Chiesa non sanno nulla, o quasi. E questa è una grave lacuna. Se si vuole criticare, bisogna conoscere, cioè leggere i testi. Ma è anche chiaro che, a volte, ignorare può far comodo. Non mancano, tuttavia, commentatori più attenti, che conoscono prassi e terminologia ecclesiali. Ciononostante qualcuno di essi avanza dubbi sul fatto che il documento di Benedetto XVI rispecchi effettivamente le posizioni espresse nell'XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-23 ottobre 2005).
 
Forse è bene ricordare che il Papa ha presenziato a tutte le riunioni (congregazioni), ascoltando le relazioni introduttive, gli interventi di tutti i padri sinodali e le conclusioni. Tutto questo materiale è stato peraltro diffuso ampiamente dalla Sala Stampa della Santa Sede e pubblicato su L'Osservatore Romano. Per verificare, dunque, se l'Esortazione Apostolica rispecchi i contenuti dei lavori basta andare a leggere questo imponente materiale.
 
Affermare che il documento non sia altro che un elenco di comportamenti censurati, ovvero di sole proibizioni, è questione di prospettiva, oltre che frutto di una lettura evidentemente frettolosa o parziale. Basterebbe trasformare quei 'no' in 'sì all'amore autentico', come suggerì lo stesso Benedetto XVI a Verona, per accorgersene. Ma questo esercizio può risultare scomodo e così è più facile vedere nel documento un 'rafforzamento della funzione conservatrice' della Chiesa, addirittura una 'introduzione di germi di dissoluzione' del corpo ecclesiale, di cui non si sarebbero avveduti i 'consiglieri del Santo Padre'.
 
Se per conservazione si intende la difesa di quei valori di fondo talora eticamente condivisi anche dai 'lontani', allora sì, si tratta di un documento conservatore. Del resto, non tutto ciò che è nuovo è per definizione un bene, soprattutto in campo etico. Meno facile è comprendere perché un simile documento potrebbe introdurre germi di dissoluzione nel corpo ecclesiale. È vero, si tratta di un documento esigente, al pari di altri: ma l'invocata 'trasparenza evangelica' non passa forse attraverso una testimonianza coerente e, per questo, esigente, di ciascuno dei credenti secondo i propri carismi e responsabilità? A meno che la logica del compromesso, che poi finisce per essere la giustificazione del male minore, non debba diventare prassi pastorale. Allora tutto diventa relativo, anche i valori. Persino la fede. Ciò detto, riteniamo che l'impatto pastorale di questo importante documento - una delle preoccupazioni sottolineate nei rilievi - sarà determinato dalla maturità e dalla libertà interiore di quanti lo leggeranno e lo vivranno, non certo dai condizionamenti di questo o di quell'ambiente.
 
Un'ultima notazione. Sorprende vedere come oggi, quando la Chiesa, attraverso il Papa o i Vescovi, parla di quelli che considera valori non negoziabili, qualcuno riproponga puntualmente le stesse reazioni da trent'anni. La critica, quella sì, appare in parte pietrificata in schemi del passato, arroccata su posizioni già note. Allo stesso modo, c'è chi continua ancora a ritenere che talune 'cattedre' possano farsi maestre verso la 'Cattedra', che in questo caso ha raccolto, approfondito e rilanciato autorevolmente le voci dei Pastori del mondo intero. Prima di continuare semplicisticamente a definire conservatrice la Chiesa - e sarebbe anche il caso di chiedersi una volta per tutte perché a tale termine debba sempre essere data un'accezione negativa - forse bisognerebbe provare a rinnovare anche la dialettica della critica.
 
La realtà è che siamo di fronte ad un alto atto del Magistero teso ad indirizzare e ad illuminare il cammino futuro della Chiesa universale. Un documento ricchissimo, un dono prezioso, un atto di amore. Solo chi ha pregiudizi riesce a leggerlo - ammesso che lo abbia letto e non si sia fidato solo delle notizie di agenzia - come un freddo elenco di proibizioni.
 
(©L'Osservatore Romano - 16 Marzo 2007)
Gaetano Vallini
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