Un piatto di minestra calda!

«Cosa devo dire ai vostri genitori?». Si è alzata una ragazza, non la più intelligente secondo gli insegnanti, e non la più bella, secondo i compagni: «Dica a mia mamma che quando torno a casa da scuola, vorrei un piatto di minestra calda!».

Un piatto di minestra calda!

da L'autore

del 09 gennaio 2008

Glielo dica a mia mamma Ero in una delle tante classi di terza media della scuola statale di una cittadina dell’Emilia. Strano, avevano chiamato un prete per tenere lezioni di educazione all’amore, che gli insegnanti avevano chiamato: «Lezioni di sessualità». Alla sera, avrei dovuto parlare ai genitori di questa classe che mi avevano dipinto difficile, ma che a me sembrava tanto uguale alle altre classi, incontrate in quell’anno. «Cosa devo dire ai vostri genitori?».

Si è alzata una ragazza, non la più intelligente secondo gli insegnanti, e non la più bella, secondo i compagni: «Dica a mia mamma che quando torno a casa da scuola, vorrei un piatto di minestra calda!».

A lei si sono uniti i tre quarti della classe. «Un piatto di minestra calda!», non mi sembrava per niente strana l’affermazione di C. di anni 14, – «quasi quattordici!» – perché oggi molti, troppi nostri ragazzi e ragazze, tornando da scuola, non trovano nessuno ad attenderli: non sanno a chi raccontare la mattinata, le cose belle o brutte avvenute in classe.

Quello che è drammatico è che spesso non trovano neppure qualcuno con il quale condividere il proprio pasto, mai caldo, perché consumato da soli. Non si mangia più insieme, alla stessa ora, come un tempo, quando non si iniziava il pranzo se non si era presenti tutti.

Romanticismo? No, una constatazione sulla quale riflettere, se è vero che la tavola è il luogo della comunicazione, dei sentimenti, delle discussioni, dei silenzi e delle riconciliazioni, lo spazio dove si scambiano le notizie e i ragazzi e le ragazze leggono negli sguardi dei genitori, nelle loro parole, quell’amore che rende la casa «casa» e non gabbia o frigorifero.

Come è possibile parlare di «Eucaristia» se viene a mancare l’Eucaristia familiare, dove a tavola ci si ritrova insieme? L’Eucaristia è la mensa del Signore, specialissima perché ad essa sono tutti invitati e non esiste primo o ultimo, vicino o lontano. E se esiste il lontano, quello è il prediletto, il primo da servire. Gesù ha passato molto tempo a tavola con i suoi: mangiava anche con i peccatori, scandalizzando gli ipocriti e quelli che si sentivano in pari con Dio.

Quando poi volle congedarsi prima dei giorni della Passione, ha invitato i suoi a cena, l’Ultima ma non la definitiva... I suoi amici mangeranno del buon pesce, cucinato alla brace da Cristo stesso sulla spiaggia, dopo la risurrezione.

Detto delle «cene del Vangelo», tornando a noi, non è forse vero che alcune separazioni e divisioni tra moglie e marito, tra genitori e figli, sono iniziate là dove non si mangia più insieme? Colpa degli impegni, del lavoro?

Può darsi, ma se ci si vuole bene e si vuole il bene dei figli, il tempo lo si ricava e, quando proprio non si riesce, e questo non è per mancanza d’amore o fuga dalla famiglia, i ragazzi lo capiscono e pur, avendone nostalgia, sanno comprendere.

Ritorniamo a tavola: è forse il primo luogo educativo, se non lo si trasforma in un fast-food, in self-service, breakfast, dove consumare in fretta perché c’è la TV, la chiamata al cellulare, gli amici che aspettano.

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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