Un Re che dà la sua vita

La sua regalità, però, non è di questo mondo, non è interpretabile con argomenti di potere e di dominio umano.

Un Re che dà la sua vita

da Teologo Borèl

del 20 novembre 2009

 

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Giovanni (18,33-37)

 

 

«Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Oggi la Chiesa celebra la solennità di Cristo re, il trionfo del re dei re, il Signore della storia che ha fatto di ogni uomo una creatura nuova e ha preparato per tutti il regno della pace definitiva. «Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» (Ap 1,5). La sua regalità, però, non è di questo mondo, non è interpretabile con argomenti di potere e di dominio umano.

 

La regalità di Cristo ci travolge: il trono della sua croce, la corona di spine raccontano di quale grande amore egli ci ha amati. Non scettro nelle sue mani, ma chiodi che le trapassano, ferro freddo di dolore; non corona, non quella di Cesare, sul suo capo, ma corona di spine che lo trafiggono. Una regalità difficile da comprendere, fatta di martirio e di dolore: «Ecce homo!» (Gv 19,5).

 

Come fidarsi, come pensare che il gregge si possa salvare se il suo pastore è condannato a morte? Un solo Signore, un solo Dio, Padre di tutti, che unisce un nuovo popolo in un solo Battesimo è comprensibile solo se si riesce a partire da questa verità: un Dio che si fa carne e carne sofferente, può essere scandalo per gli ebrei, stoltezza per i pagani ma per chi crede è la salvezza.

 

Una nuova visione della potenza che sconvolge le vie degli uomini, che sorpassa i regni della terra, una nuova visione per chi vuole fare un percorso di verità. Il vero re, il vero capo è il buon pastore, non un mercenario, che approfitta del comando per sfruttare il suo popolo. Il Signore, come un buon pastore, conosce e «chiama le sue pecore una per una» (Gv 10,3), sta dinanzi al suo gregge per fare strada, pronto a dare la propria vita per difenderlo. La corona di spine, la croce sono il segno della sua partecipazione al dolore del mondo: il re è posto dinanzi, sta prima degli altri per dichiarare il proprio amore.

 

Non così i re della terra che il più delle volte nel momento del pericolo abbandonano alla sofferenza e alla violenza il loro popolo. Egli «dà la vita» (Gv 5,21). Il nostro re non è solo un eroe, è il Figlio di Dio che dà la vita: se Dio in Cristo ci fa da guida, potremmo avere più fiducia, potremmo avere più entusiasmo rispetto all’esistenza. Se abbiamo un re come il Maestro di Galilea, che non ignora la nostra sofferenza ma la prende sulle sue spalle, la fa sua, dovremmo fidarci della vita stessa.

 

Che cosa significa che Cristo è il nostro re, se non sentirsi parte del suo popolo? Che cosa significa poter dire: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla» (Sal 22,1), se non credere che «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché è con me?» (Sal 22,4). Egli è venuto per dare testimonianza alla Verità, non è un re menzognero: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,37).

 

Nella verità il dolore non è nascosto ma noi possiamo sciogliere la nostra sofferenza, la nostra solitudine, possiamo aprire i nostri orizzonti dicendo a noi stessi: Cristo è il nostro re, la nostra guida e «il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7,14).

 

La nostra gioventù, e spesso anche noi, vive sulla frontiera della speranza, in preda a un atteggiamento di pessimismo e disfattismo. Ritornare a Cristo, re dell’universo, non è soltanto tornare all’osservanza della pratica religiosa, per l’uomo di fede è una necessità salvifica che non riguarda solo il tempo futuro ma il presente. È una ricerca di significato da consegnare alla vita.

 

don Gennaro Matino

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