Una croce che ci custodisce

Alcune anticipazioni della Via Crucis al Colosseo, scritta da Monsignor Renato Corti, ex vescovo di Novara...

Una croce che ci custodisce

 

Per chi abita a Roma, il Colosseo è una presenza familiare. Tappa obbligatoria per turisti e pellegrini, chiassoso incrocio di venditori ambulanti e figuranti mascherati da centurioni, luogo di ritrovo per i sit-in più disparati, sta al centro di un panorama invidiato da tutto il pianeta. Difficile ricordarsi che il monumento più famoso al mondo fu teatro di esecuzioni non meno sanguinarie e spettacolarizzate di quelle oggi diffuse dall’Isis. Vi sono una targa e una croce marmorei a commemorarle, è vero, ma solo il Venerdì santo – quando il Papa vi si reca per celebrare la Via Crucis – il clamore circense di ieri e di oggi si placa, e sul Colosseo scende la pacata discrezione della preghiera.

 

“Via Crucis”: non solo il devoto ricordo dell’ultimo cammino del Crocifisso, ma una meditazione sulla “strada” scelta da Dio per mostrare il suo amore. «Viene spontaneo ricordare che metà del Vangelo di Marco è dedicato agli ultimi giorni della vita di Gesù. E pure l’evangelista Luca dedica circa dieci capitoli all’ultimo viaggio di Gesù a Gerusalemme. Viene così posta in evidenza la paradossalità della via scelta da Dio per rivelarsi all’uomo, quella che troviamo nei Carmi del Servo di Jahvè del profeta Isaia, in particolare nell’ultimo, al capitolo 53».

 

A spiegarcelo è monsignor Renato Corti, vescovo emerito di Novara, incaricato da papa Francesco di scrivere le meditazioni per il prossimo Venerdì santo. Già chiamato a tenere gli esercizi spirituali alla Curia vaticana nel 2005, gli ultimi a cui partecipò san Giovanni Paolo II, monsignor Corti ha tra i suoi autori di riferimento due predicatori schietti e appassionati come il beato Antonio Rosmini e il beato John Henry Newman, del quale ha fatto proprio il motto cardinalizio: Cor ad cor loquitur («Il cuore parla al cuore»).

 

La Via Crucis è una delle devozioni più amate in Occidente. Interroga ancora l’uomo di oggi?

 

«Quanto all’attualità della croce di Cristo, è notizia di questi giorni che nell’antica valle di Ninive – oggi Mosul – è stata abbattuta la croce sulla cupola del monastero di San Giorgio, rimpiazzata con la bandiera nera dello Stato Islamico. Vengono alla mente le parole di Paolo ai Corinti, là dove dice che Cristo crocifisso è “stoltezza per i giudei e follia per i pagani”. Ma per i discepoli è “sapienza” e “potenza” di Dio. È il segno più alto dell’amore di Dio per noi».

 

Qual è il modo più corretto per accostarsi a questo antico esercizio di preghiera?

 

«Vi è modo e modo di fare la Via Crucis. Va certamente escluso uno stile superficiale, formale, veloce, freddino. Ben altro è la Via Crucis quando la si affronta con “empatia” profonda e sincera, “con” Gesù. È ciò che veniva raccomandato da sant’Ignazio di Loyola nelle contemplazioni che troviamo nei suoi Esercizi. L’invito è quello a entrare nella scena, di farsi parte dei personaggi, di guardare a Gesù, cogliendo i suoi sentimenti e i suoi pensieri».

 

Non c’è il rischio di entrare in una contemplazione che mette tra parentesi il presente, con le sue difficoltà e contraddizioni?

 

«L’empatia va intesa anche come risonanza offerta a Gesù, pensando alla condizione dell’uomo di oggi, ai crocifissi di oggi, e a coloro che crocifiggono l’uomo. “Empatia” significa vicinanza all’uomo. E anche richiesta di conversione».

 

Ci sarà un particolare filo rosso a unire le meditazioni che sta scrivendo per il prossimo Venerdì Santo?

 

«Sì e si racchiude in un verbo: “Custodire”. Lo ha messo in evidenza papa Francesco nella sua prima omelia. Era la festa di san Giuseppe, il Custos. “La croce – disse papa Francesco in quel 19 marzo di due anni fa – è il segno più alto dell’amore di Dio che ci custodisce”».

 

Il “custodire” è un atteggiamento con il quale abbiamo poca o nessuna confidenza. La mentalità del consumismo ce lo fa apparire come qualcosa di passivo, addirittura che puzza di chiusura.

 

«Eppure proprio la contemplazione di questo amore di Dio, che ci custodisce, conduce i discepoli a essere a loro volta i custodi dell’uomo, imitando il loro Maestro. Le varie “stazioni” della Via Crucis che ho elaborato permettono di declinare il verbo “custodire”. È un verbo che chiama in causa ciascuno di noi; è significativo in famiglia; lo è anche nei vari ambiti della società. Peraltro, invece di custodire, possiamo scegliere altri atteggiamenti, molto negativi, che dimenticano o disprezzano la dignità di ogni uomo. In vari passaggi della Via Crucis ho reso espliciti questi riferimenti».

 

La Via Crucis che lei propone, dunque, spinge ad assumere un atteggiamento positivo e reattivo rispetto al nostro posto nel mondo...

 

«Ritengo che vadano meditati soprattutto i segni del Regno di Dio che viene. Ce ne sono molti nel mondo. Danno gloria a Dio e difendono l’uomo. Per tutti gli uomini e le donne che cercano anzitutto il Regno di Dio, non lasciandosi condizionare dal male che li circonda, è giusto, da parte nostra, esprimere molta gratitudine e il desiderio di imitarli. Come già suggeriva san Paolo: “Vinci il male con il bene”».

 

 

Paolo Pegoraro

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