Una mamma in pena

Il dolore che non mi abbandona... Il dramma dell'aborto è ancora vivo e nemmeno il perdono del Signore, tanto cercato e desiderato, è riuscito a rasserenarla. «Ma io non riesco a perdonare me stessa. Si dice che a tutto c'è rimedio, ma quando tu togli la vita a qualcuno, come puoi rimediare?».

Una mamma in pena

da Quaderni Cannibali

del 26 agosto 2009

Sono moglie e madre, e 15 anni fa ho abortito. Non mi dilungo sul perché: non posso dire nulla a mia discolpa. Ho sbagliato, e da allora non passa giorno senza che il ricordo di questo bambino mai nato mi tormenti. Dopo i primi momenti di sollievo per non avere una bocca in più da sfamare, sono subentrati i sensi di colpa, il dolore quasi fisico per quello che avevo fatto, lo choc psicologico che mi toglieva lucidità e capacità di guardare negli occhi i figli che già avevo. È stata una scelta mia. E solo mia è la colpa, che dovrò scontare fino a quando avrò gli occhi aperti.

Dopo un lungo periodo di sconforto, quando la mia coscienza urlava di disperazione, ho chiesto aiuto a un sacerdote, non della mia parrocchia, perché mi vergognavo troppo. Mi ha ascoltata, ha raccolto la mia confessione e le mie lacrime, mi ha incoraggiata e, attraverso i poteri conferitigli da Dio, mi ha concesso il perdono. Ho potuto così, dopo anni, fare la Comunione. E con Gesù nel cuore, ho davvero sentito che lui mi aveva perdonata.

Ma io non riesco a perdonare me stessa. Si dice che a tutto c’è rimedio, ma quando tu togli la vita a qualcuno, come puoi rimediare? Quando mia figlia, ventenne, guardando un servizio in Tv sull’aborto, se n’è uscita con questa affermazione: «Ma quanto can can fanno questi antiabortisti... se una donna non vuole quel figlio, lasciatela libera, no!?», mi sono sentita morire per l’ennesima volta. Avrei voluto urlarle tutto il dolore e l’angoscia, che ancora non mi abbandonano, per farle capire che questa 'libertà' la si paga, prima o poi la devi scontare, e non sai che ti rende schiava per sempre.

Ma non potevo farlo. Con il cuore e le viscere in subbuglio, ho cercato di farle capire che a ogni azione corrisponde sempre una conseguenza; e che prima di decidere di fare una cosa così grande, bisogna essere consapevoli che c’è poi da convivere con questa decisione. Non sono riuscita a dirle altro, perché la mia coscienza mi diceva: «Senti da che pulpito viene la predica!».

 

Una mamma in pena

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