Ban Ki-moon - Segretario generale delle Nazioni Unite: Oggi, lentamente ma con certezza, siamo testimoni della nascita di una nuova "età della responsabilità". Forse il dibattito più controverso s'incentrerà sull'equilibrio tra pace e giustizia. Francamente, non vedo alternativa tra loro.
del 09 giugno 2010
 
            Dodici anni fa, i leader mondiali si sono riuniti a Roma per istituire il Tribunale Penale Internazionale (poi Corte penale internazionale, Cpi). Raramente dalla fondazione delle Nazioni Unite stesse un colpo così clamoroso è stato portato a segno in materia di pace, giustizia e diritti umani. Il 31 maggio, i Paesi si sono riuniti ancora, stavolta a Kampala in Uganda, per la prima revisione formale del Trattato di Roma.
 
            È un’occasione non solo per fare il punto del nostro progresso, ma per costruire il futuro. Inoltre, è un’occasione per rafforzare la nostra determinazione collettiva secondo la quale i crimini contro l’umanità non possono restare impuniti, meglio, impedire che si verifichino in futuro.
            Come Segretario generale delle Nazioni Unite, sono giunto a capire quanto può essere efficace la Cpi e quanta strada abbiamo percorso fin qua. Dieci anni fa, pochi credevano che la Corte sarebbe stato pienamente operativa, che avrebbe investigato e cercato gli esecutori di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Si tratta di una rottura fondamentale con la storia, è finito il tempo dell’impunità. Oggi, lentamente ma con certezza, siamo testimoni della nascita di una nuova 'età della responsabilità'. È iniziata con l’istituzione dei tribunali speciali per il Ruanda e l’ex-Yugoslavia; oggi, la Corte rappresenta la chiave di volta di un sistema crescente di giustizia globale che include i tribunali internazionali, le corti miste nazionali-internazionali e le azioni giudiziarie locali.
            Finora, la Cpi ha avviato cinque indagini. Due processi sono in corso, di un terzo è previsto l’inizio a luglio. Quattro persone sono in stato di detenzione. Chi pensava che la corte sarebbe stata poco più di una 'tigre di carta' si sono sbagliati, al contrario ora incute timore. La Cpi rimane comunque un tribunale di ultima istanza, che interviene solo quando i tribunali nazionali non agiscono (o non possono agire).
            In marzo, il Bangladesh è diventato il 111esimo firmatario dello Statuto di Roma, mentre altri 37 Stati hanno firmato ma non ancora ratificato. Alcuni dei Paesi più grandi e potenti del mondo, tuttavia, non si sono uniti. Affinché la Cpi abbia la portata che dovrebbe avere, diventando un deterrente effettivo così come una strumento di giustizia, deve avere un sostegno universale: perciò come Segretario generale, mi appello a tutti i Paesi affinché aderiscano.
            La Corte non ha una propria forza di polizia, non può compiere arresti. I sospetti in tre delle cinque inchieste del tribunale sono in libertà, e vivono in uno stato di impunità. Non soltanto la Cpi ma l’intero sistema internazionale di giustizia soffre di questo genere di lacune, mentre chi prevarica i diritti umani è incoraggiato. La conferenza di Kampala cercherà delle strade per rafforzare la Corte. Tra queste: una proposta di ampliarne la sfera di competenza includendo 'i crimini di aggressione', così come misure per creare disponibilità e capacità nei tribunali nazionali per effettuare indagini e perseguire i crimini di guerra.
            Forse il dibattito più controverso s’incentrerà sull’equilibrio tra pace e giustizia. Francamente, non vedo alternativa tra loro. Nei conflitti di oggi, i civili sono troppo spesso le vittime principali. Donne, bambini e anziani sono in balia degli eserciti o delle milizie che violentano, feriscono, uccidono e devastano città, villaggi, raccolti, bestiame e risorse d’acqua, come una strategia di guerra.
            Più il crimine è tremendo, più risulta efficace come arma. Qualsiasi vittima si struggerebbe, comprensibilmente, per porre fine a questo genere di orrori, anche al costo di accettare l’immunità per i responsabili di tali soprusi. Ma questa è una forma di tregua a mano armata, senza dignità, giustizia o speranza per un futuro migliore. È passato il tempo in cui si poteva parlare di pace contro giustizia. Non ci può essere l’una senza l’altra.
            La nostra sfida è di perseguirle entrambe, mano nella mano. Per fare ciò, la Corte Penale Internazionale è la chiave. A Kampala, farò del mio meglio per aiutare il progresso nella lotta contro l’impunità e inaugurare una nuova età della responsabilità. I crimini contro l’umanità sono proprio questo: crimini contro noi tutti. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
Ban Ki-moon
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