Carissimo Antonio, Davide, Giandomenico, Massimiliano, Matteo, Roberto, “rendo grazie al mio Dio, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, perché sento parlare della tua carità che hai nel Signore Gesù e verso tutti” (Fm 4-5)...
del 22 settembre 2009
CELEBRAZIONE DI SUFFRAGIO PER I MILITARI ITALIANI
VITTIME DI UN ATTENTATO A KABUL
Una sola famiglia umana
Roma - Basilica di San Paolo fuori le mura
Lunedì 21 settembre 2009
 
 
 
Signor Presidente della Repubblica,
Cari confratelli vescovi e sacerdoti,
Illustri Autorità,
Amate famiglie,
 
Carissimo Antonio, Davide, Giandomenico, Massimiliano, Matteo, Roberto,
“rendo grazie al mio Dio, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, perché sento parlare della tua carità che hai nel Signore Gesù e verso tutti” (Fm 4-5): così ti ho scritto qualche giorno fa per salutarti e dirti che la tua vita al servizio della pace è motivo di consolazione e di gioia per il nostro Paese.
Il grande dolore per la tua tragica scomparsa e il vuoto incolmabile lasciato nel cuore della tua famiglia e di tutti noi hanno portato nell’animo del popolo italiano un senso di umano turbamento e un’ondata di affetto e ammirazione. E’ l’intera Nazione, che ha dimostrato, anche in questa difficile prova, quanto siano saldi i valori della solidarietà e della fraternità che caratterizzano la nostra Italia.
Accanto a noi, cari fratelli e sorelle, c’è il Santo Padre Benedetto XVI che sin dai primi momenti non ha smesso di pregare, e che oggi ha voluto farsi particolarmente vicino con il messaggio che abbiamo ascoltato.
Ci ritroviamo qui per un atto di omaggio e di riconoscenza, ma soprattutto per una preghiera di suffragio. È il mistero della morte che ci riunisce, che ci fa inginocchiare davanti a Dio, che ci immerge nel suo amore eterno nella prospettiva dell’immortalità. Siamo qui per pregare l’Autore della vita, sorretti dall’insegnamento della pagina evangelica ora ascoltata. Gesù, passando davanti all’evangelista Matteo, gli dice: Seguimi... Egli si alzò e lo seguì. Fu una risposta pronta e generosa che spinse il contabile ad abbandonare la logica rassicurante del dare e dell’avere per mettersi sui passi del Signore senza calcolare più nulla. Seguire Cristo è capire quale è il nostro posto, il compito nel mondo. Ogni uomo è chiamato ad aprire il cuore e la mente alla volontà di Dio, ad interrogarsi radicalmente sul significato della vita come dono.
 
Tu, Antonio, considerato già da bambino “gigante buono”, sempre pronto ad aiutare i più piccoli e indifesi, non ti risparmiavi nel donare parole di gioia a chiunque incontravi. Con la tua dedizione ci consegni un’Italia più coraggiosa, più generosa, più libera. Una Patria che può guardare con serenità al passato e non ha paura del futuro. Hai scelto di vivere per una ragione che è più potente della vita stessa; una passione per l’altro uomo, chiunque sia e dovunque si trovi, per il suo valore infinito: ecco la tua vocazione che lasci come fiaccola al tuo piccolo Martin.
 
Tu, Davide, giovane solare e simpatico - così ti ricordano i tuoi amici. Spesso interrogavi don Roseo, il tuo cappellano, sulla certezza dell’aldilà e, scherzando, mettevi alla prova la sua fede. Amo pensare, ora, alla coerenza della tua vita, frutto di una motivazione interiore che ti ha plasmato l’esistenza. La professionalità è la connotazione più bella del servizio che hai reso al bene comune, come custode della concordia civile, messaggero di quella pace radicata nel cuore di chi non ha paura di donare se stesso. Sì, tu resti sempre un pacificatore, che ha creduto nella persuasione della parola rispettosa e nei gesti delicati e fattivi.
 
Giandomenico, tutti ti conoscono come persona discreta, educata e tranquilla, con una fede semplice e sincera. Hai confidato sempre in Dio, che ti ha dato un cuore retto e magnanimo. Con occhi di apprezzamento e crescente simpatia, quotidianamente vicino alla gente afgana, ti sei distinto per l’innato bisogno di aiutare gli altri, con le virtù proprie di ogni cristiano: l’amore ai poveri, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere. La tua è una chiara lezione di pace evangelica nella insanguinata storia dei nostri giorni. Il Vangelo della pace non si dimostra, si mostra pagando di persona.
 
Massimiliano, sensibile e generoso, ti definiscono “un grande” per la tua capacità di conquistare la stima degli altri. Non ti sei mai tirato indietro dinanzi ad ogni urgenza e di fronte al bisogno, così mi ha confidato Padre Vincenzo, il tuo cappellano. Sei stato in Afghanistan per proteggere e incoraggiare chi vuole vivere in pace e migliorare le proprie drammatiche condizioni, per portare stabilità e sviluppo. Nessuno potrà mai dimenticare la tua fede in Dio e una fedeltà senza compromessi all’amore del prossimo. Con la determinazione di cui sei stato capace, ci hai comunicato che è possibile sperare nella convivenza umana per ogni popolo, cultura e religione.
 
Matteo, il tuo amore per la vita ti ha portato lontano dalla tua terra per soccorrere e sostenere chi era nel bisogno. Sognavi un futuro di pace per l’umanità minacciata dal terrorismo globale, dinanzi al quale sono necessarie una compassione, un attaccamento ai valori della giustizia e della concordia. Sei stato sempre accogliente e ti accorgevi ogni giorno di quella parte dell’umanità, lacerata e offesa, dove ci sono persone umiliate a causa della malattia e dell’esclusione. Eri capace di grandi rinunce, convinto che il bene è più forte e più importante del male.
 
Tu, Roberto, sei ricordato come un giovane innamorato della tua famiglia, creativo e ottimista, persona di grandi desideri e slanci positivi. Avevi compreso che una politica di odio, di eliminazione di coloro che si oppongono a noi porta solo ad una sconfitta. Sei stato in Afghanistan, perciò, per gettare le fondamenta, su cui le generazioni future potranno costruire una comunità internazionale pacifica. Difendevi così il tuo piccolo Simone, la tua famiglia, il tuo Paese, l’umanità intera.
 
Come al tempo di Gesù la chiamata dell’evangelista Matteo divenne un germe di speranza per una umanità nuova, così nel nostro tempo, pur carico di non poche contraddizioni, Dio suscita innumerevoli ed eroici uomini che, condividendo la sorte dei più deboli, dei poveri e degli ultimi, dispensano il pane della carità che sana i cuori, apre le menti alla verità, restituisce fiducia e slancio a vite spezzate dalla violenza, dall’ingiustizia, dal peccato.
Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini. Ci apparteniamo tutti e ci siamo necessari: questa verità sviluppa la comune coscienza di essere, per così dire, una “famiglia di nazioni”. La pace, la democrazia e l’amicizia dei popoli sono valori fondamentali per la nostra comune umanità e per la cultura del popolo italiano: una convinzione questa che qualifica e fa condividere largamente nell’opinione pubblica le missioni di pace in vista di una cooperazione serena fra tutte le componenti della famiglia umana.
Le missioni di pace ci stanno aiutando a valutare da protagonisti il fenomeno della globalizzazione, da non intendere solo come processo socio-economico, ma criterio etico di relazionalità, comunione e condivisione tra popoli e persone (cf. Benedetto XVI, Caritas in veritate, 42). Procedendo con ragionevolezza e guidati dalla carità e dalla verità, il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di solidarietà e di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano.
Di qui l’esigenza di una concreta e rinnovata attenzione a quella “responsabilità di proteggere”, un principio divenuto ragione delle missioni di pace. Se uno Stato non è in grado di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo, la comunità internazionale è chiamata ad intervenire, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di democrazia o di desiderio di riconciliazione.
 
Care famiglie, grazie. Avete insegnato ad Antonio, Davide, Giandomenico, Massimiliano, Matteo, Roberto, il lessico della pace, fino all’eroismo della carità, del dono della vita per il bene di altre famiglie. Assieme desideriamo portare il dolore per l’incolmabile assenza dei nostri giovani militari, con una presenza più assidua, fraterna e amichevole presso le vostre famiglie, diventate ancor più le nostre famiglie, nella grande famiglia dei figli di Dio. Nessun militare caduto per il proprio dovere è eroe da solo: lo è inscindibilmente con la sua famiglia e la sua Patria.
Ora rivolgiamo lo sguardo alla bandiera che avvolge i corpi di questi nostri fratelli in un abbraccio colmo di affetto e riconoscenza; essa protegge e custodisce un tesoro, una perla preziosa, il cui valore soprannaturale ed inestimabile Gesù rivela solo a chi ascolta - come l’evangelista Matteo - con cuore mite la parola del Maestro divino: Seguimi.
 
Accogli, Vergine Santa, il nostro dolore,
infondi nei cuori la tua compassione e il tuo conforto,
aumenta in noi la fede, dona a tutti la forza del perdono,
ai popoli della terra, particolarmente a quello afgano, la tua pace. Amen
 
 
 
Vincenzo Pelvi
Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia
 
Vincenzo Pelvi
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