Valori non negoziabili e politica

Non si media sui valori ma sulle loro applicazioni storiche in un contesto di pluralismo. Una sintesi, sempre “in itinere”, tra convinzione e testimonianza personale e responsabilità politica.

Valori non negoziabili e politica

da Quaderni Cannibali

del 29 marzo 2008

Di fronte alla questione dei valori non negoziabili il cristiano impegnato in politica si trova davanti a due questioni: a livello personale certamente si riconosce nella visione cristiana dell’uomo e crede che essa sia profondamente umana e quindi argomentabile, sostenibile e condivisibile; a livello del confronto politico si trova a fare i conti con altre posizioni e con la necessità di contribuire all’elaborazione di scelte legislative.

Da una parte, è convinto delle sue idee e non teme di presentarle, argomentarle e difenderle, ma a livello pratico si trova davanti a un bivio quando sono in gioco i valori non negoziabili: ritirarsi dal confronto e dalle decisioni per non cedere a compromessi con quello in cui crede; oppure accettare di stare dentro il confronto per difendere alcune posizioni ma disponibile, alla fine, ad accettare ciò che è possibile in una realtà segnata dal pluralismo. Accettare il confronto sapendo che, in ogni caso, alla fine il suo voto sarà negativo renderebbe superfluo lo stesso confronto politico emarginando di fatto il cristiano.

La prima scelta è certamente profetica ma, a livello operativo, la sua uscita dai luoghi decisionali potrebbe lasciare campo libero alle posizioni più radicali in senso contrario. La stessa astensione o voto contrario potrebbe non avere nessun effetto pratico ma certamente di forte testimonianza profetica. Il suo rimanere nell’agone politico, da una parte, potrebbe portare frutti pratici a livello legislativo, anche se non perfetti rispetto al suo modo di pensare, dall’altra, potrebbe però dare l’impressione di un cedimento sui valori.

Moralmente non siamo solo responsabili della coerenza con la nostra coscienza ma anche delle conseguenze delle nostre scelte. Affermare che i cristiani rappresentano nella società l’utopia è certamente una bella frase ma potrebbe aprire la strada a una chiesa che indica principi e valori ma poi lascia agli altri le scelte politiche per non dover scendere a compromessi. È importante imparare a pensare non solo in termini di principi e ideali, ma anche “politicamente” nel senso di provare a calare i principi nella storia per costruire una società sempre più giusta pur tra realizzazioni parziali.

 

Alcune distinzioni importanti

1. Distinguiamo il piano morale da quello legislativo. Il primo rimanda alla “sanzione” della coscienza, il secondo a quella della legge positiva. Dobbiamo dire con chiarezza che non si media sui valori e che tutti i valori morali sono “non negoziabili”, mentre si media sulle loro applicazioni storiche in un contesto di pluralismo etico e politico. Non si tratta di rinunciare ai valori o di cedere a una specie di relativismo pratico, ma di riconoscere che c’è un piano morale e un contesto storico dove entra la legge positiva.

Il piano morale e quello legislativo sono distinti anche se non separati. Molti cattolici, per la loro cultura e formazione, tendono a identificarli e a vedere nella regolamentazione giuridica una legittimazione morale (per esempio, si potrebbe dire che, se l’aborto è legittimato dalla legge, è anche un bene morale; se la convivenza è protetta dalla legge, allora è anche un bene morale). Questo rischio c’è ma, di fatto, nella realtà italiana ci sono coppie, per esempio, che rifiutano per diversi motivi il matrimonio e ci si può trovare nella condizione di dover prendere atto di questo. La politica non può tirarsi indietro né far finta di niente perché il suo compito è rispondere ai problemi dei cittadini. Il caso più evidente è quello della procreazione assistita: nel momento in cui si discute per regolamentare la questione ecco che emerge il pluralismo delle posizioni e la necessità di una decisione legislativa che tenga conto delle diverse posizioni. Il risultato legislativo può non coincidere con la visione morale dei soggetti che discutono e del politico credente.

 

2. Una seconda distinzione va fatta ed è quella tra compromesso e mediazioni politiche. La questione potrebbe sembrare solo terminologica e assume rilevanza a seconda del significato che vogliamo dare ai termini. Nel compromesso io concedo qualcosa all’altro e viceversa, ma non c’è dialogo e comunicazione perché ognuno rimane sulle sue posizioni senza lavorare per una sintesi nuova. Nella mediazione io rimango fedele alle mie posizioni ma cerco un consenso e una sintesi nuova valida, o almeno accettabile, per entrambi. Nel primo caso il risultato è al ribasso, nel secondo cerco il punto più alto per incontrarmi con posizioni diverse.

Questi due termini in ogni caso non hanno un senso negativo. La complessità in cui viviamo ci chiede ogni giorno di operare delle mediazioni. Lo facciamo in famiglia, al lavoro e, a volte, lo dobbiamo fare anche in situazioni difficili come, per esempio, votare quello schieramento anche se non mi riconosco pienamente; oppure quando so che sarebbe giusto dire tutta la verità ma prendo atto che le conseguenze di questo sarebbero molto problematiche.

Il compito della mediazione si traduce in molte operazioni pratiche: nell’esprimere in linguaggio antropologico, umano, razionale i principi in cui credo perché siano comprensibili; qui si colloca lo statuto della laicità. Mediare significa anche fare i conti con la realtà nella quale un principio deve essere calato. Significa accettare la logica dei piccoli passi possibili oggi, in attesa domani di farne degli altri. A livello di metodo mediare chiede pazienza argomentativa e non imposizione; maturazione del consenso e non forzatura, azione pedagogica e non rottura, dialogo e non monologo. La mediazione permette ai valori di entrare nella storia per plasmarla dal di dentro. Chi vuole preservarli puri rischia di relegarli al di fuori della storia in un mondo delle idee bello ma disincarnato. Profezia e azione politica debbono entrambi ispirare l’azione.

 

3. Una terza chiarificazione riguarda la politica. Una parte notevole, anche se non tutta, della politica è negotium, cioè contrattazione di interessi diversi in vista di un consenso. Anche la realizzazione a livello legislativo dei valori, poiché siamo nel pluralismo etico, implica un certo negotium. Nel nostro caso si tratta di mettere insieme qualcosa che non è negoziabile con la politica che è mediazione per definizione. Mentre i principi, come dice il termine stesso, sono all’origine, fondativi e perciò assoluti, la politica è attività umana e come tale porta la fragilità, i limiti e la relatività della condizione umana. Si tratta, per il cristiano, di elaborare un rapporto virtuoso tra queste due realtà in modo che la mediazione sia insieme tradizione e traduzione, declinazione e incarnazione dell’assoluto etico nel relativo politico.

Non è solo la politica, in quanto luogo del possibile, che chiede un’opera di mediazione; anche la morale chiede di fare i conti con delle mediazioni. Non possiamo approfondire questo aspetto ma ricordiamo la legge della gradualità, oppure l’antico adagio “ad impossibilia nemo tenetur”, o ancora la distinzione tra il possibile fisico, psichico e morale, tutte questioni che fanno parte di una seria valutazione morale.

Nel nostro tema si tratta di una negoziazione non sui valori in se stessi ma sulla concretizzazione a livello giuridico in un contesto di pluralismo etico e politico. Come ricordava Maritain, si tratta di trovare su alcune verità una convergenza pratica pur restando su punti di vista diversi. Il bene comune si colloca qui: si tratta di trovare una via media tra l’imposizione di una sola visione (la verità a spese della libertà) e la frammentazione di chi ritiene che tutte le posizioni siano valide e quindi ammissibili purché non interferiscano l’una con l’altra (la libertà a spese della verità).

 

Elementi per un discernimento

Ci troviamo così di fronte a dei valori su cui riteniamo che non sia possibile nessun cedimento e la realtà della politica che è per sua natura mediazione. Crediamo che si ponga la necessità di costruire un rapporto dialettico e virtuoso tra i valori non negoziabili e la mediazione politica. Va cercata una sintesi mai perfetta e sempre in itinere tra convinzione e testimonianza personale e responsabilità politica. Crediamo, inoltre, che una parola definitiva non sia possibile ma, di volta in volta, si debba discernere ciò che è più giusto fare.

Il cristiano può far politica mantenendosi fedele ai valori non negoziabili e, nello stesso tempo, cercando e praticando delle buone mediazioni. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori o all’inefficacia politica. L’idea del massimo possibile esclude sia il minimalismo di chi indebolisce i valori in nome dell’urgenza pratica, sia il massimalismo di chi pretende un’applicazione meccanica dei valori.

Nel caso della legge 40 sulla procreazione assistita a molti politici cristiani è sembrato giusto lavorare per una mediazione alta, vista la posta in gioco e la situazione problematica che si era creata nel paese. Nel caso della discussione sulle unioni di fatto a molti, i vescovi in testa, è parso evidente che il problema si poteva risolvere in altro modo e che, dietro la richiesta di un riconoscimento per queste realtà, ci fosse un non detto di matrice ideologica e non un problema reale di cui la politica dovesse farsi carico, cosa che tra l’altro già faceva e che, con qualche aggiustamento legislativo, avrebbe potuto fare meglio. Dopotutto, anche l’indicazione di riconoscere dei diritti alle persone che convivono è pure una mediazione, diversa dal riconoscere un nuovo istituto familiare, ma pur sempre una mediazione. Il fatto che si siano imboccate due strade mostra che è stato esercitato un “giudizio in situazione”, frutto di discernimento e prudenza, un’azione inventiva.

Si tratta di fare il meglio nell’ambito del possibile (F. Brentano), di farsi carico del molteplice della situazione, di ottimizzare le diverse pretese morali, i diversi interessi in gioco, valutare le conseguenze prevedibili a breve e a lungo termine, i mezzi adottati. Al politico è chiesto di esercitare la virtù cardinale della prudenza che sa coniugare i principi con la realtà, il fine con i mezzi. Il bene raggiungibile dalla politica non è certo il bene totale ma è un bene umano e contribuisce a realizzare il bene più grande.[1]

La ricerca della mediazione non esclude ma postula la personale testimonianza dei valori (profezia) che offre ulteriore credibilità ad essi. Non si dà mediazione senza una posizione originaria e non si dà sintesi senza delle tesi chiare. In certi casi un’attenta valutazione della situazione potrebbe chiedere al cristiano di non accettare nessuna mediazione, in altri portarlo a ritenere che questo sia possibile e giusto.

  

  [1] Cf. Ivaldo M., “La chiesa e i politici. Valori non negoziabili e mediazione”, in Il Regno attualità, 52 (2007)4, 75-78.

 

Giampaolo Dianin

http://www.dehoniane.it

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