Inizia una settimana importante per la Chiesa italiana che celebra i suoi stati generali nel convegno ecclesiale nazionale di Verona. Quale progetto per il cammino dei prossimi anni? Una nostra riflessione.
del 16 ottobre 2006
          Fare un bilancio del cammino degli ultimi dieci anni per fissare obiettivi e strumenti per il futuro. Inizia una settimana importante per la Chiesa italiana che celebra i suoi stati generali nel convegno ecclesiale nazionale di Verona: cinque giorni di ascolto e di riflessione a cui partecipano 2700 delegati delle diocesi e anche il papa, atteso nella città scaligera giovedì 19. L’appuntamento, preparato con cura sia a livello nazionale che locale, non è una vetrina né un festival, ma un’occasione di confronto (dopo quelle di Roma del 1976, di Loreto del 1985 e di Palermo del 1995) per orientare i passi e il ruolo della Chiesa nella vita del paese: una questione cruciale in una società che cambia a ritmi vertiginosi, ridisegnando aspettative e priorità.
Per il vaticanista Sandro Magister, a Verona si confronteranno sostanzialmente due modelli: quello di una cosiddetta 'Chiesa di popolo', che continui a ragionare nei termini di un’appartenenza diffusa e quello di una 'Chiesa di elite' che valorizzi la qualità dell’esperienza religiosa, partendo dal presupposto, come spiega il priore di Bose, Enzo Bianchi, che la trasmissione della fede “non significa imporre all’Italia e all’Europa il vangelo e l’appartenenza alla chiesa”. Due approcci apparentemente contrapposti che in realtà riflettono entrambi la delicatezza della fase attuale, in cui, nonostante la stragrande maggioranza degli italiani si dica credente, nel concreto i segnali di crisi non mancano. Sono i problemi e le sfide delle tante chiese locali che vivono di realtà splendide come di deserti, di fede incarnata in testimonianze bellissime come di fede ridotta molto spesso a pratica saltuaria.
La “Chiesa di popolo” continua così ad essere un modo per ribadire la centralità del Vangelo nella vita di tutti, mentre la “Chiesa di elite” evidenzia un aspetto altrettanto importante: e cioè che al di là di tutto, il mondo di oggi ha bisogno non tanto di persone credenti, ma credibili, capaci di testimoniare una fede concreta, legata alla conoscenza di una Persona.
Il convegno di Verona ha davanti a sé sfide decisive e al tempo stesso opportunità preziose: spunti e stimoli per delineare il volto di una Chiesa che non abbia paura di perdere il proprio ruolo socio-politico e le proprie prerogative socio-culturali, consapevole che se è importante parlare alla cultura e alla politica, è molto più urgente parlare alle coscienze. Il volto di una Chiesa che non si nasconda dietro a battaglie legislative per nascondere certe debolezze nella formazione e nella capacità di dare risposte nei contesti locali. Il volto di una Chiesa che creda davvero nelle potenzialità dei giovani e dei laici, portatori di carismi ed esperienze utili per ricoprire anche ruoli di responsabilità. Il volto di una Chiesa che non faccia sconti sui suoi valori, ma abbia il coraggio di dialogare con le tante contraddizioni della vita dell’uomo, consapevole che molte volte non basta dire di avere le porte aperte, ma è importante rispondere a chi le percepisce o le vede chiuse. Il volto di una Chiesa che sia in grado di scardinare le logiche di questo mondo, facendo della trasparenza uno stile (anche – e soprattutto - in campo economico) e della carità una scelta vissuta. Il volto di una Chiesa in cui, ferma restando la dottrina, i vescovi e i fedeli non abbiano paura del pluralismo e del confronto, che passa da opinioni diverse e da una comunicazione interna rispettosa dei ruoli e delle competenze. Il volto di una Chiesa che sappia uscire dalla routine e avvicini ogni uomo non tanto alle cose da fare o ai comportamenti da assumere, ma al mistero da cui tutto nasce e si sviluppa.  Scrive Ernesto Olivero: “La Chiesa non è una struttura che si deve aggiornare, ma una Presenza a cui convertirsi, una Presenza reale da 24 ore su 24, talmente bella, piena e sconvolgente che ti fa venire la voglia di “essere” 24 ore su 24”. E ancora: “La nostra identità di cristiani non è un biglietto da visita, è essere pieni di Dio pur con tutti i nostri difetti, è essere pieni di beatitudini pur con tutti i nostri difetti. Possiamo anche rischiare di perderci nella pasta, ma chi è pieno di Dio e di beatitudini è lievito che fermenta la pasta. Non abbiamo bisogno di dimostrare che Dio esiste, questo è un compito di Dio! A noi tocca solo testimoniarlo, amando perdutamente gli affamati, le vittime dell’ingiustizia e della guerra, i carcerati, i bambini di strada, i giovani, gli stranieri, gli assetati, gli ammalati, i miseri di tutto il mondo”.
Alla Chiesa italiana riunita a Verona gli auguri di un buon lavoro…
 
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