Da 50 anni sulle montagne vicino ad Atene quattro suore si sono prese cura di oltre 300 bambini abbandonati, generando qualcosa di inaspettato. Intervista alla regista (atea) Valerie Kontakos.
La premessa è doverosa e Valerie Kontakos ci tiene a precisarlo: «Prima di incontrare Maria, Dorothea, Parthenia e Kalinki non avevo mai conosciuto delle suore. Diciamo che non è il mio genere, io non ho un retroterra religioso, non sono cresciuta in quel tipo di ambiente, insomma, le suore non rientravano tra le mie frequentazioni». Eppure la regista greco-americana a fine anno farà uscire il film Mana, che racconta la storia di come sei amiche tra i 18 e 20 anni siano scappate di casa per «dedicare la vita a Dio», facendosi suore e fondando un monastero in Grecia, sulle montagne vicino ad Atene, che da 50 anni è di fatto un orfanotrofio che ha accolto e cresciuto oltre 300 bambini che nessuno voleva. Il tutto senza un soldo, vivendo delle donazioni volontarie dei greci che con il passaparola sono venuti a conoscere la loro opera e che ancora oggi sostengono nonostante la crisi. Mana in greco significa “mamma” ed è un titolo azzeccato perché «sono una famiglia, anche se non in senso canonico e con una struttura un po’ diversa da quelle classiche». Valerie (nella foto a destra) ha raccontato a tempi.it la storia delle suore e del loro “Villaggio per bambini Lyrio”, «dove oggi, a 70 anni, si occupano di circa 60 bambini. Io non so come fanno, mi stanco solo a guardarle».
Come ha conosciuto le suore?
Prima di tornare a vivere in Grecia 10 anni fa, conoscevo degli amici che avevano visitato l’orfanotrofio e io ero andata a vederlo con loro un po’ di volte. Quando mi sono trasferita in Grecia, sono andata più spesso, anche perché la scuola dei miei figli raccoglieva fondi o altre cose per il villaggio. E così le ho conosciute meglio.
Perché ha deciso di girare questo film?
Per le suore. Sono dei personaggi davvero interessanti e inusuali: sono donne indipendenti, davvero ben organizzate e determinate. In un paese come la Grecia, dove oggi è tutto caotico, sono rimasta affascinata da loro per quello che sono riuscite a fare per ben 50 anni. E poi mantengono un profilo basso, sono tranquille, eppure sono riuscite a fare così tanto.
Ha passato due anni a riprendere la loro vita quotidiana. Cosa l’ha colpita di più?
Io ho due bambini e già non ci sto dietro, loro ne hanno 60 e sembra sempre che abbiano tutto sotto controllo. La loro forza è incredibile e sono affezionate, tenere e ferme allo stesso tempo. Ad avermi affascinato è anche la loro personalità e abilità: hanno realizzato qualcosa di incredibile senza lamentarsi mai, e questo è inusuale perché in Grecia tutti si lamentano, ma loro no. E poi il modo in cui guardano alla vita. Adesso hanno 70 anni e non è facile correre dietro ai bambini piccoli. Certo, quelli più grandi le aiutano ma non è facile.
In questi anni si è fatta un’idea del perché sono così?
Oddio, questa è una domanda davvero complessa. Loro hanno dovuto combattere per cominciare quest’opera, non era facile, hanno lottato con le loro famiglie. Penso che siano riuscite a formare l’ambiente in cui volevano vivere, questo è importante e le ha tenute insieme. Hanno davvero creato quello che volevano e questo è pazzesco, oltre al fatto che sono molto unite. L’unità tra loro e l’amore per i bambini dà loro una forza incredibile.
In che senso hanno dovuto combattere con le loro famiglie?
Erano molto determinate: intorno ai 18 anni hanno scoperto di avere lo stesso desiderio, diventare suore e aiutare gli altri, così sono scappate di casa, lasciando una lettera ai genitori. Avevano degli amici che le sostenevano e le hanno aiutate a nascondersi, intanto hanno fatto dei lavoretti per racimolare soldi per il loro progetto. Ma siccome la polizia chiamata dai genitori le cercava, hanno passato tre anni a nascondersi da un posto all’altro.
E poi?
Sono entrate in un monastero ma i genitori le hanno riportate a casa. Loro sono scappate di nuovo in un altro monastero ma hanno capito che volevano un’altra cosa, cioè stare nella società e aiutare i bambini. Così, grazie all’aiuto di un prete sono state introdotte a un uomo che ha donato loro un pezzo di terra, dove si trova oggi il villaggio Liryo. Lui le ha aiutate e loro hanno fondato un loro monastero, che alla fine è stato riconosciuto dalla Chiesa greca.
Il suo film è stato finanziato da donazioni private dopo che ha aperto un progetto sul sito Kickstarter. Perché una storia così particolare ha spinto tante persone a donarle ben 65 mila dollari?
Questa storia tocca nel profondo le persone. Da un lato perché aiutano dei bambini e la società in un momento come questo in cui la società consumistica sta crollando per la crisi economica. Dall’altro perché le suore hanno fatto tutto con le loro mani e si sono mosse per creare quello che volevano, non hanno aspettato che qualcun altro lo facesse al posto loro. In questo modo hanno dato speranza in un momento in cui la gente non ha speranza. Ecco, per questo, penso che sia una cosa molto semplice, basilare.
Il villaggio va avanti a donazioni, nonostante la crisi abbia impoverito i greci.
Ci sono tantissime persone che aiutano, ora le donazioni sono diminuite ma le suore sono davvero brave a gestire le cose. Una delle suore, ad esempio, è responsabile per le finanze, un’altra si occupa di tenersi in contatto con le persone e cercare di capire quali risorse è possibile ottenere. Per loro è certo molto difficile ma riescono a vivere abbastanza bene davvero con poco. E poi sono aiutate dai volontari, persone che trovano il tempo da dedicare a quest’opera. E anche questo oggi è incredibile.
Che vita si è sviluppata attorno al villaggio?
La gente viene qui grazie al passaparola. Tanti di loro quando vedono questa realtà vorrebbero fare qualcosa per loro e danno quello che hanno. È successo a tutti come a me: sono venuta per degli amici, poi i miei amici l’hanno saputo e i loro amici e così via. La cosa interessante è che nessuno ha progettato questa cosa, le persone vengono qui e rimangono colpite perché si sentono accolte e capiscono che c’è bisogno che loro diano una mano. Ecco come sono nati i volontari.
Nessun tipo di pianificazione?
No, è una cosa che è saltata fuori. E allora se qualcuno ha una tv in più, la porta qui, se c’è un pianoforte che non si usa più, viene portato qui.
Come si svolge la vita nell’orfanotrofio?
È un ambiente molto grande composto da cinque case. Una casa è per i bambini molto piccoli, maschi e femmine insieme. Un’altra per i maschi più grandini e per le femmine. Le ultime due sono per i ragazzi e le ragazze. In ognuna delle case vive una suora, che la gestisce. La mattina i bambini di ogni casa si alzano e si preparano per andare a scuola. Ogni suora si preoccupa che tutti siano pronti e ci sono tanti volontari che aiutano soprattutto quelli che hanno problemi, perché molti bambini hanno degli handicap. I più piccoli, quelli che vanno ai primi tre anni delle elementari, sono educati da una maestra in pensione nel villaggio. I bambini che fanno dal quarto al sesto anno di scuola hanno un’altra maestra. Quando sono pronti per la scuola secondaria vanno nelle scuole locali e le suore si preoccupano che ogni bambino riceva quello di cui davvero ha bisogno o è meglio per lui.
I ragazzi mangiano insieme?
Quando tornano a casa da scuola si mangia tutti insieme, poi i più grandi studiano, i piccoli giocano e ci sono le prove.
Che tipo di prove?
Il villaggio ha un’orchestra: tra poco, a fine giugno, ci sarà un concerto tenuto dai ragazzi e devono provare assieme con gli strumenti.
Dal demo che avete rilasciato, traspare una fede molto semplice delle suore. Da non credente, cosa ne pensa?
È strano, loro tutti i giorni fanno semplicemente un sacco di cose. Mi stupisce l’energia che hanno, a 70 anni, cioè, io mi stanco solo a guardarle. Penso che ci deve essere qualcosa che nutre questa loro energia, deve venire da qualche parte. In parte viene sicuramente dall’amore che provano per questi bambini.
Quando uscirà il film?
Alla fine dell’anno. Spero che riusciremo a portarlo nei festival e a farlo trasmettere in televisione perché credo abbia da dire molto alla società, specie in questo tempo di crisi.
Leone Grotti
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