Vivere a Tibhirine oggi

La questione di oggi è quella di dare un futuro a questo monastero, segnato dalla memoria dei monaci che vi riposano e che hanno trasmesso al mondo lo spirito di Tibhirine.

Vivere a Tibhirine oggi

da Un Mondo Possibile

del 21 ottobre 2010

         

         

          Da dieci anni vivo a Tibhirine quattro giorni la settimana, per continuare la produzione agricola con Youcef e Samir, perché questo monastero abbia sempre la porta aperta a tutti gli ospiti e per mantenere questo luogo di preghiera cristiana in mezzo ai fratelli musulmani.

 

          'Uomini di Dio' è per me un grande film autentico, che sottolinea l'umanità e la fraternità dei monaci, attraverso una convivialità condivisa nel quotidiano. Attraverso questi legami molto forti di vicinanza e di lavoro, i monaci hanno dischiuso per me e per la Chiesa d'Algeria un solco che resta aperto al dialogo e all'incontro.

          Ancora oggi continuiamo a vivere queste relazioni molto fraterne attraverso lo scambio, i servizi reciproci, il vivere insieme, le gioie condivise delle feste musulmane e cristiane.

          Certamente, non si parla più di 'fratelli della pianura' e di 'fratelli della montagna'; il terrorismo si è allontanato e la vita pacifica ha ripreso. È il ritmo delle stagioni, piacevoli in estate e dure in inverno, che scandisce i lavori, così come le preghiere dei monaci danno il ritmo alle giornate nel film.

          Questo rinviarsi dei tempi di preghiera e degli orari di lavoro manuale àncora la vita monastica nel tempo e nello spazio, così come la voce del muezzin che echeggia dinanzi al monastero scandisce la giornata e fa sì che le nostre umili occupazioni abbiano un respiro più alto.

          L'interrogazione di fondo dei monaci nel 1996 riguardava il restare o il partire; la questione di oggi è quella di dare un futuro a questo monastero, segnato dalla memoria dei monaci che vi riposano e che hanno trasmesso al mondo lo spirito di Tibhirine.

          Questo Spirito non appartiene solo alla Chiesa, ma al mondo che riconosce questo valore immenso del vivere insieme in armonia tra credenti di diverse religioni e culture.

          È in questo modo che il film interroga molti nostri contemporanei che vivono a nord del Mediterraneo, nei quartieri di periferia delle nostre città, ed è un invito a non disertare questi luoghi di incontro che possono diventare luoghi di frattura.

          Bel film, dove i paesaggi (benché girati in Marocco) ritrovano i colori ocra e i verdi dell'inverno, delle alture di Medea, punteggiate dalle greggi di pecore fanno parte del quotidiano della gente; bel film, dove la direttrice della fotografia tratta la luce in modo tale da insinuare il desiderio di riscoprire un Caravaggio o un Fontana...

          Quante volte ho pensato, varcando il cancello del monastero, che entravo in un'oasi, in un anticamera del paradiso, dove il silenzio permea gli edifici centenari; nel film, la ricerca dei monaci è molto legata alla terra fertile, agli alberi, al levarsi del sole, al suo tramontare, insomma è iscritta nella natura che rivela qualcosa di Dio.

          Ancora oggi, i monaci accompagnano le genti di Tibhirine, che evocano molto spesso le loro memorie condivise, con grande rispetto per monaci come Luc o Christophe, ma anche per Amédée e Jean Pierre: essi amavano profondamente la gente e oggi ancora la popolazione di qui è loro riconoscente. Il villaggio è cresciuto insieme con il monastero e la gente è come gli uccelli che si riposano sui rami rappresentati dai monaci. Se dovessero partire, dove 'ci poseremo'?

          Per me, il problema di restare o partire non si pone. Tibhirine fa parte dell'eredità della Chiesa universale. Sta a noi inventare un seguito, che possa raccogliere quest'eredità e che le rende viva.

Jean Marie Lassausse

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