Vorrei aiutarti nell'educazione alla vita, alla morte, alla felicità. E' questo il pensiero che nasce in me, fragile come un virgulto. Un pensiero che diventa impegno per l'oggi e per il domani. Per prevenire. Per non far sentire soli. Mano che si tende ad afferrare altre mani. Compagnia.
del 01 dicembre 2011(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
 
          Vorrei aiutarti nell’educazione alla vita, alla morte, alla felicità. E’ questo il pensiero che nasce in me, fragile come un virgulto, alla notizia della morte, tragica, di Lucio Magri. Un pensiero che si fa preghiera silenziosa, per lui e per tutti coloro che ad un certo punto della vita sono entrati nel labirinto insidioso della non-speranza: discesa scivolosa verso il baratro, il vuoto, il nulla.
         Un pensiero che diventa impegno per l’oggi e per il domani. Per prevenire. Per non far sentire soli. Mano che si tende ad afferrare altre mani. Compagnia.Vorrei aiutarti nell’educazione alla vita, alla morte, alla felicità. Lo dico a te, figlia e figlio mio: doni ricevuti senza merito alcuno. Non “proprietà mia e sua”, ma solo a me e a vostro padre affidati perché, a nostra volta sostenuti, vi sosteniamo, responsabilmente e con amore, lungo il cammino della vita.
          Lo dico a voi, giovani studenti che questo chiedete, prima ancora che di conoscere chi e come è vissuto prima di noi. Cosa ha scritto, cosa ha fatto, che segno di sé ha lasciato nel mondo.
          Senza educazione alla vita, alla morte, alla felicità, si insinua dentro la testa di tutti, un giorno, il pensiero che in fondo basta un’iniezione di 15 grammi di pentobarbital di sodio, sciolto in 60 centilitri d’acqua. Due-tre minuti di sonno, poi il coma profondo, poi il nulla.Li vedo i vostri occhi velati di lacrime, nei giorni in cui la vita sembra un macigno e ogni problema è una montagna. Vi sento, quando, incapaci di vivere oggi, promettete a voi stessi che quando sarete grandi allora sì farete finalmente ciò che dovete, forse ciò che vi piace. Vi osservo preoccupata, ogni volta che in piazza, la rabbia nel cuore, manifestate, imprecate, scioperate, urlate i vostri “contro”, sprecate energie, e vita, a distruggere perché nessuno sembra abbia più voglia, e pazienza, di testimoniarvi buone ragioni per costruire. Perché, disamorati e disancorati, non siamo credibili quando diciamo che la vita, ogni vita vale la pena.
          Ho letto, oggi, un’intervista a Valentino Parlato, amico fraterno di Lucio Magri, con lui fondatore de “Il Manifesto”. Simonetta Fiori, la giornalista, a proposito del drammatico epilogo alla casa blu di Barzloostrasse, Pfafficon, venti chilometri da Zurigo, gli ha chiesto: “Per uno che ha fatto politica per tutta la vita non è una fuga?” “No”, le ha risposto Parlato, deciso. “E’ un giudizio definitivo sulla propria condizione, e sullo stato più generale delle cose, come se si dicesse: per me, a ottant’anni, non c’è più niente da fare”.
          Vorrei aiutarti nell’educazione alla vita, alla morte, alla felicità. Vorrei dirti che no: la vita non finisce a ottant’anni, perché o quando si crede che nulla sia più possibile “fare”. Non è un “fare”, l’esistenza dell’uomo. Non è questo che indica il suo valore. Altre sono le bilance che registrano il peso e la consistenza della vita, di ogni vita. L’impegno politico, le battaglie, i progetti per un mondo “migliore”; la rabbia e la lotta continua, e la piazza, e l’attivismo, e l’ultimo suo libro: il saggio sul comunismo non sono serviti. Non sono bastati. L’ideologia non salva. Nemmeno la fama, salva. Arriva il momento dei bilanci e si capisce che quel che si credeva “tutto” in realtà era “niente”. Altri sono i desideri di cui è fatto il cuore dell’uomo. E’ Altro a riempire davvero la vita; a dar senso alla gioia e al dolore, alla fatica e alla speranza. “C’è la delusione di chi avrebbe voluto che la realtà fosse diversa”, ha scritto Michela Marzano nel suo articolo pubblicato oggi su Repubblica.
          Vorrei aiutarti nell’educazione alla vita, alla morte, alla felicità. La prima cosa che è necessario impariamo è proprio questa. La realtà, come la vita, ci è data: non la chiediamo e non la scegliamo noi. Possiamo e dobbiamo impegnarci per renderla bella per noi e per tutti, certo. Ma la sfida che muove i passi dell’uomo è imparare ad accogliere e ad amare il presente. Anche quando sa di dolore. Anche se non corrisponde ai nostri progetti. Altrimenti è sconfitta, è baratro, è… nulla. “Libera nos a nihilo”, dunque, Signore. Perché noi adulti sappiamo prendere per mano e guardare negli occhi chi soffre, chi è depresso, chi fa fatica. Perché, fatti a Tua immagine e somiglianza, Te, con le nostre umili vite, ricordiamo; e il Tuo amore paterno, misericordioso e infinito. A chi ci hai affidato. A chi nei nostri occhi guarda, cercando il senso del suo vivere. Cercando… Te.
Luisella Saro
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