"Volete ascoltare?": giovani voci da zone di conflitto

Si parla spesso (anche se non è mai abbastanza) di situazioni di guerra, ma pochissime volte (forse quasi mai) si dà voce a chi vive in prima persona queste realtà di conflitto. Ascoltiamo dunque le parole di alcuni giovani che hanno deciso di condividere con noi le loro vite.

'Volete ascoltare?': giovani voci da zone di conflitto

da Un Mondo Possibile

del 28 ottobre 2008

“Noi tutti abbiamo perso una parte della nostra vita, e non potrà mai tornare indietro”

 “Non abbiamo perso tutta la nostra speranza. Abbiamo ancora voglia di andare a scuola e giocare con i nostri amici. Vogliamo contribuire a costruire la pace nelle nostre società e rendere questo mondo un posto migliore. Abbiamo ancora dei grandi sogni”  “Parlare delle nostre esperienze non sarà sufficiente. Riusciremo a vedere un cambiamento?” “Alcuni di noi sono nati nel mezzo di questa violenza. È diventato uno stile di vita” “Molti di noi sono costretti ad unirsi alle forze armate, e poi ci fanno il lavaggio del cervello e ci fanno credere che stiamo lottando per difendere i nostri diritti e quelli della nostra comunità” “La violenza è intorno a noi ogni giorno, non solo nei campi di battaglia. A volte coloro che si prendono cura di noi ci trattano male e senza rispetto. Noi sappiamo che la guerra è stata difficile per tutti, ma dobbiamo essere trattati in questa maniera?Anche quando la guerra finisce, la violenza non si ferma” “Alcuni di noi restano intrappolati in questa cultura delle armi e della droga che ha trasformato le nostre comunità” “Va ricordato che alcuni di noi vengono coinvolti nel crimine e nella violenza per aiutare le proprie famiglie. Non ci sono soluzioni alternative per noi” “Molti nostri amici sono diventati tossicodipendenti e spacciatori per sopravvivere. Tutto questo diventa una fuga da quella che si è vissuto” “Al rientro dalla guerra la nostra comunità ci tratta come emarginati. Ci trattano male e non vogliono che gli altri giovani stiano con noi. A scuola ci prendono in giro. Nessuno si preoccupa di come ci sentiamo o di quello che vogliamo” “Viviamo in una grande prigione, privi dei più semplici diritti che qualsiasi individuo dovrebbe avere” “Riuscite ad immaginare che cosa vuol dire perdere tutto improvvisamente? Essere sradicati dalla propria casa, dalla propria famiglia, dagli amici? “A volte sono ossessionato dai ricordi delle atrocità che ho commesso. Non siamo ancora diventati adulti, ma la nostra infanzia è finita bruscamente. Dobbiamo imparare a difenderci da soli senza averne i mezzi” “A volte perdiamo la speranza e ci chiediamo perché il mondo non riesce a capirci e ad accettarci” “Veniamo violentate continuamente e poi portiamo in grembo i figli dei “killer”. È un trauma dentro ad un altro trauma. Spesso la brutalità dell’attacco, nei nostri corpi non ancora sviluppati, porta a devastanti lesioni fisiche” “A causa della piaga dell’HIV/AIDS, se sei una ragazza pensi che è meglio morire colpita da una pallottola piuttosto che avere l’AIDS” “Ma come si può guarire se si deve soffrire in silenzio? Come possiamo impedire che accada ad altri giovani, se dobbiamo fare finta che il problema non esiste? Non vogliono che se ne parli, non vogliono che raccontiamo, che ci sfoghiamo… credono che non parlandone la guerra sparirà, ma non abbiamo bisogno di “tirar fuori” il nostro dolore” “In alcuni dei nostri paesi la violenza sessuale è così diffusa che è diventata una cosa normale. In che tipo di mondo viviamo se lo stupro viene accettato come una cosa normale?” “Noi crediamo che l’istruzione è fondamentale per il nostro futuro e che abbiamo diritto a sognare una vita migliore. Ma quando si perdono mesi o anni di scuola a causa della guerra, abbiamo paura che i nostri sogni fuggano via da noi” “Facciamo tutti i tipi di lavori per poter avere pochi soldi: vendere sigarette, lucidare le scarpe, fare il cameriere. Non si può immaginare quello che alcuni di noi devono fare per sopravvivere, soprattutto se siamo stati separati dalle nostre famiglie” “Io non mi vergogno di essere un venditore di strada, perché non ho avuto altra scelta” “Perché non ci chiedono di che cosa abbiamo bisogno?” “Hanno fatto di noi orfani, senza casa, alcuni anche sono stati resi disabili, hanno ucciso i nostri parenti. Hanno negato alla maggior parte di noi l’amore” “Solo quando gli adulti saranno disposti ad ascoltarsi e a parlarsi, non ci sarà più la necessità di prendere le armi e fare le guerre” “I giovani e i bambini dovrebbero essere responsabili del proprio futuro. Dobbiamo capire come è possibile cambiare il mondo. Noi giovani abbiamo bisogno di attivarci e coinvolgere il governo e le organizzazioni internazionali sulle questioni che ci affliggono” “Noi bambini dovremmo aumentare la nostra voce in modo che le persone ci ascoltino di più” “Attraverso delle azioni importanti stiamo cercando di creare degli spazi dove noi ragazzi posiamo sentirci al sicuro e giocare assieme, dove ci sosteniamo a vicenda” “Alcuni di noi stanno contribuendo alle politiche governative attraverso i gruppo di bambini, dei giovani e ai consigli. Ci piace essere coinvolti nelle decisioni che ci riguardano. Anche se un buon numero di noi non ha ancora voce” “Noi vogliamo che i nostri diritti vengano rispettati. Abbiamo questi diritti e vi chiediamo di aumentare la consapevolezza di questi diritti e la loro promozione” (da “Will you listen?Young voices from conflict zones – UNICEF) Queste frasi sono solo alcuni esempi di quello che i giovani che vivono la guerra si portano dentro, un’esistenza ormai compromessa, ma con ancora la voglia di sognare e di ricercare un futuro migliore. Certo, molti di loro restano presi dentro al vortice della violenza e non riescono più ad uscirne, ma altri, con coraggio e costanza, lottano per poter vivere in un mondo migliore.Da queste testimonianze emerge chiaramente la maturità di questi giovani che sono consapevoli del vissuto che si portano dietro, un vissuto che li accompagnerà per sempre con le sue atrocità, i suoi lutti, i suoi ricordi, le paure,…ma dall’altro lato sono consapevoli di poter recuperare la vita. Come dice la prima testimonianza “non si può tornare indietro”, il passato non si può cancellare, ma quello che si può fare è guardare avanti e trovare la speranza e la voglia per cambiare.Sicuramente non è facile andare avanti anche perché la violenza della guerra diventa “uno stile di vita” che permea la società anche a guerra finita. Cosa resta infatti dopo la guerra? Cosa provano questi giovani nel ritrovarsi “senza più niente da fare”? In quale mondo si ritrovano? Il senso di abbandono, il dramma della separazione e il sentirsi fuori posto in ogni momento dopo un’esperienza di questo tipo porta i giovani a dover affrontare un ulteriore trauma, e situazioni di vita che apparentemente sembrano facili, si trasformano in un vortice da cui è difficile scappare. La droga, l’emarginazione, la violenza in cui si ritrovano sono soltanto tentativi di fuga dalla realtà. Per molti di questi ragazzi il futuro diventa ancora più difficile, ma altri giovani che condividono con loro le stesse terribili esperienze incontrano persone che possano aiutarli a ritrovare il sorriso con il passare del tempo. E questi giovani si sentono responsabili in comunicare la propria tragedia perché possa non accadere più, sono consapevoli di poter partecipare alla vita della propria società per trasformarla in una società di pace. Quanta forza e quanto coraggio! Dopo tutto quello che hanno vissuto credono ancora nelle persone! Credo che pochi fra di noi possano capire cosa vuole dire vivere un’esperienza di questo tipo, la testimonianza indiretta ci può solo avvicinare a queste realtà. Noi, però, possiamo farci VOCE di questi ragazzi, possiamo mostrare cosa vuol dire vivere la guerra e quali le sue terribili conseguenze. Un mondo di pace non lo creano i politici e i governanti, ma come hanno espresso questi giovani, sono le nostre azioni quotidiane a creare un clima positivo. Pensiamoci due volte prima di litigare con il compagno o con il vicino, pensiamoci due volte prima di essere intolleranti e integralisti, la violenza fa presto a diventare uno stile di vita e a portarci in un vortice da cui è difficile fare ritorno, è la nostra mentalità che diventa un’ “arma” di pace!    Noi siamo bambini sfollati. Noi siamo bambini che sono stati utilizzati dai gruppi armati. Noi siamo orfani. Noi siamo bambini di strada. Noi siamo ragazze che vendono i nostri corpi per sopravvivere. Noi siamo bambini che sono costretti a lavorare Noi siamo bambini che non possono andare a scuola. Noi siamo bambini con disabilità. Noi siamo bambini che vivono con l'HIV. Noi siamo detenuti bambini. Noi siamo ragazze che hanno violentato. Noi siamo bambini che ci prendiamo cura dei nostri fratelli e sorelle. Noi siamo bambini senza infanzia.

Emma Colombatti

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