Mi ero dato una scadenza. Prima dell'ultimo giorno di gennaio dovevo dirlo ai miei genitori senza rimandare nemmeno di un giorno. Alla fine arrivò il momento, una domenica pomeriggio. Sono il quarto di sei figli e non era facile trovarli soli. Al terzo tentativo sono riuscito a tirar fuori le parole: «Devo parlare con voi». Non avevo finito di parlare e già stavamo piangendo...
del 03 maggio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
Tutto quel che non si dà, si perde            Mi ero dato una scadenza. Prima dell’ultimo giorno di gennaio dovevo dirlo ai miei genitori senza rimandare nemmeno di un giorno. Alla fine arrivò il momento, una domenica pomeriggio. Sono il quarto di sei figli e non era facile trovarli soli. Al terzo tentativo sono riuscito a tirar fuori le parole: «Devo parlare con voi». Il tono doveva essere molto solenne a giudicare dalla faccia che fecero. «Credo che Dio mi chiami a essere sacerdote e voglio entrare in seminario». Non avevo finito di parlare e già stavamo piangendo tutti e tre di commozione.            L’inattesa notizia aveva un sapore agrodolce: credo che li riempisse di gioia e di orgoglio però allo stesso tempo era pesante per loro pensare che sarei andato via di casa così presto. Avevo 17 anni. Dirlo ai miei genitori era stato il passo definitivo. Ormai avevo deciso.           Ero un ragazzo come gli altri e facevo una vita normale e felice a Monteclaro, alla periferia di Madrid. Sin da quando avevo 8 anni avevo studiato nella scuola Everest, diretta dai legionari di Cristo e già era arrivata l’ora di “rompere il guscio”. Avevo una famiglia stupenda, molti amici, progetti e sogni nel cassetto, come un ragazzo qualsiasi che sta per iscriversi all’università. Mi piaceva uscire con gli amici e andare alle feste. A scuola andavo bene, mi piaceva leggere, imparare lingue nuove, giocare a basket e andare a sciare.           Che cosa mi mancava? Perché essere sacerdote? Come ho scoperto la mia vocazione? Spesso si paragona la storia di una vocazione con la storia di un seme. Il seminatore cerca la buona terra, vi getta i semi, la innaffia e vede le piante crescere e portare frutti abbondanti. Anche nel mio caso è stato così.La terra buona           La terra buona in cui è germinata la mia vocazione è stata una famiglia cristiana e numerosa. Mio padre è un  uomo di principi saldi e di volontà ferrea, fervoroso e santo. Mia madre è una donna gioiosa e divertente, che vive con abnegazione una vita santa. Essendo sei fratelli abbiamo imparato fin da piccoli a convivere, condividere e stare bene in famiglia. Libri, giochi, vestiti… ereditavamo tutto dai nostri fratelli maggiori. Non avevamo lussi né capricci, pero non ci è mai mancato niente. Mio padre ha lavorato molto per darci la migliore educazione possibile. Le vacanze preferite erano quelle in famiglia, i migliori amici erano i miei fratelli, le feste più divertenti erano le riunioni familiari con zii e cugini.           Nella mia famiglia la fede non era ereditata ma vissuta: normalmente benedicevamo i cibi; quando eravamo piccoli recitavamo insieme, prima di addormentarci, tre Avemaria e un: “Jesusito de mi vida, eres niño como yo…”; correvamo a messa la domenica (perché nonostante l’insistenza di mio padre non riuscivamo mai a uscire in tempo) e tutto questo si svolgeva con molta semplicità e  naturalezza.           Questa è stata la buona terra. È passato un giorno il Seminatore e… ha gettato tre semi! Prima ha chiamato me e poi le mie due sorelle Marta e Gloria che oggi sono consacrate nel Regnum Christi, felici e sante. E ha chiamato a essere felici e santi anche il resto dei miei fratelli con le loro famiglie e il lavoro: Nicolás come avvocato, Begoña come docente universitaria e Blanca come infermiera. Ci vogliamo molto bene tutti e sei.Il seminatoreNon basta la buona terra. È necessario che il Seminatore (con la maiuscola) getti la semente.           Com’è successo? «All´inizio dell´essere cristiano non c´è una decisione etica o una grande idea, bensì l´incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus Caritas est n.1). Io sono convinto che la vocazione non sia un’idea buona o una decisione altruistica; non è nemmeno una carriera universitaria. È un incontro. Una chiamata e una risposta.La mia vita ruotava intorno alla scuola, ai campi estivi e alle attività dell’ECYD, il gruppo giovanile del Regnum Christi.           Non so da quando è entrata in me l’idea che volevo essere come i sacerdoti della mia scuola. Erano tutti simpatici e affettuosi con me, potevo fidarmi di loro in tutto. Ricordo tutti gli incontri, le escursioni, i tornei le opere di carità cristiana…           Alfonso Triviño, il responsabile del nostro gruppo, era un giovane universitario pieno di entusiasmo e con una pazienza quasi infinita, con la sua bici sempre in spalla e la sua maglia gialla. Abbiamo percorso insieme il cammino di Santiago, siamo andati sui Pirenei a sciare, a Lourdes con il furgone, a Peñalara in tende da campeggio…           Nel 1992 mi hanno invitato a  trascorrere la settimana santa nel noviziato dei Legionari di Cristo a Salamanca. Sin dal primo momento sono rimasto molto colpito al vedere 200 giovani in talare, l’ambiente di silenzio e preghiera, la povertà… ma soprattutto la gioia e la carità. Ero impressionato da come si trattavano l’un l’altro. Durante la veglia pasquale ho sperimentato con molta forza che Gesù Cristo mi chiamava a lasciare tutto e a seguirlo. È difficile spiegarlo. Non era la logica conclusione di un sillogismo né era frutto di un discorso razionale. Era un’intuizione del cuore, reale come l’amore stesso, accompagnata da molta pace e gioia.           Mi mancavano due anni per iniziare l’università che era il momento naturale per intraprendere questo cammino, così che decisi di attendere. E mentre passava il tempo, l’idea della vocazione sacerdotale cominciava a pesare. Mi attraevano altre cose, come i ragazzi di quest’età, voleva stare bene e divertirmi, subivo l’influsso delle mode e dell’ambiente, avevo la testa piena di sogni e progetti. Iniziai a pensare che potevo fare molto bene alla Chiesa da buon cristiano, il che non è poco. Dio mi aveva dato tanto nella vita… non smettevo di comprendere né di accettare perché mi chiedeva che lasciassi tutto. Quando mi veniva in mente l’idea della vocazione, la mettevo da parte per dopo. Non ci volevo pensare. Andavo avanti dicendo: “Non voglio”.L’acqua           Non basta nemmeno la terra buona e la semente. Quest’idea poteva essere dimenticata come tante altre. In effetti la semente rischiava di marcire…
          Nel 1993, in agosto, andai come istruttore a un campo di Mano Amiga, un’organizzazione promossa dal Regnum Christi che offre aiuto ed educazione a persone con scarse risorse. Avevamo un gruppo di 60 bambini di 9 e 15 anni. All’inizio non è stato facile. Abbiamo faticato tanto per formare un buon ambiente di vita di equipe e di spirito di campo. Abbiamo scoperto che sotto la “scorza” della ribellione c’erano ragazzi molto bravi, che facevano una vita molto dura: famiglie separate, problemi di delinquenza, droga… pian piano prendevano coraggio e si aprivano. Io smisi di vivere chiuso in una bolla e cominciai a occuparmi degli altri.           Tra gli istruttori regnava un ambiente immemorabile. Era con noi Alberto Reyes, un seminarista cubano, studente della Pontificio Collegio Internazionale Maria Mater Ecclesiae. Aveva una forza speciale, che gli veniva dalla vita di preghiera. Dava tutto se stesso a tutti, con gioia. L’ultimo giorno avevamo un nodo in gola al pensiero di separarci. Credo che abbiamo pianto tutti un po’. Nessuno voleva andar via.           Questa esperienza è stata come irrigare con fiumi di acqua la mia vocazione. Ho provato quel che ha detto Gesù e che si trova nel libro degli Atti degli Apostoli: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere». Ho scoperto che l’uomo più felice è quello che dà di più; che tutto ciò che non si dà, si perde. Non potevo tornare a vivere pensando solo a me stesso e a come trionfare nella vita e divertirmi. In quei quindici giorno ero stato la persona più felice del mondo. Perché donare quindici giorni e non un mese o un anno? Perché un anno e non tutta la vita?           Io volevo cambiare il mondo. Ero diventato molto sensibile ai problemi e alle sofferenza degli altri. Mi rendevo conto che non era nelle mie mani cambiare le strutture, però potevo cambiare i cuori, a cominciare dal mio. Alla fine dei conti, il mondo non si cambia dall’alto ma da dentro. Cristo ci chiede di essere lievito che fa fermentare la massa per instaurare il suo Regno. Non vedevo più la vocazione come un peso. Il messaggio d’amore di Gesù Cristo è la risposta a tutti i problemi del mondo e degli uomini.E diede molto frutto           Sono passati quasi quindici anni da quella domenica pomeriggio in cui dissi ai miei genitori che volevo andare in seminario. Mi rivolgo con gratitudine verso Dio che mi ha dato la grazia di perseverare fino a oggi. Affronto l’avvenire pieno di gioia con il desiderio di condividere il mio “granello di sabbia”, grande o piccolo, perché sempre più uomini e donne conoscano Gesù Cristo e si amino gli uni gli altri. So che la vita è una sola e il tempo sarà breve, molto breve, a confronto con le necessità della Chiesa e degli uomini. Io ho alcune qualità. Gli altri ne hanno altre. La Legione di Cristo e il Regnum Christi sono solo una parte di un Corpo più grande che è la Chiesa, ricco di vocazioni e di carismi. Tutti noi suoi membri ci completiamo a vicenda, uniti nella comune missione di portare la gioia del Vangelo a tutti gli uomini.
P. Jaime Rodríguez è nato a Madrid (Spagna) il 15 ottobre del 1976. Ha studiato presso la scuola Everest dei Legionari di Cristo. Il 14 settembre del 1994 è entrato nel noviziato della Legione di Cristo a Salamanca (Spagna) in cui ha anche frequentato gli studi umanistici. Ha lavorato per tre anni con gruppi di giovani a Valencia (Spagna) come incaricato del Club FARO e docente di formazione cattolica nella scuola Cumbres. Dal 1995 al 2011 è stato direttore del Campo estivo di Santa María del Monte en Burgohondo, Ávila (Spagna). È laureato in filosofia all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Il 3 ottobre 2011 è stato nominato Segretario Generale della Legione di Cristo e del Regnum Christi.
P. Jaime Rodríguez
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