La scuola italiana e il duro mestiere intellettuale dello studente
del 03 novembre 2008
“Fenomenologia” dell’Istruzione
Ministri dell’Istruzione, Riforme Scolastiche, Decreti legge: cosa avranno mai a che fare con la “fatica dello studiare”? Ci troviamo di fronte ad una realtà confusa ed ambivalente, illustrata da dati statistici come quelli OCSE-PISA e da fatti di cronaca che enfatizzano il malessere dei giovani e della scuola, attraversata da tutte le contraddizioni della società. In Italia lo studio e la cultura non appaiono più come valori sociali condivisi, mentre un mondo del lavoro, costituito fondamentalmente da piccole imprese, continua a preferire titoli medio-bassi rispetto alle lauree. D’altra parte la stessa scuola sembra indirizzarsi sempre di più verso un modello aziendalistico, che traspare dai termini utilizzati per monitorare le attività scolastiche, come successo formativo, investimento in capitale umano, certificazione di qualità e competenze.
Società e cultura fanno del mondo dello spettacolo il modello più affascinante e promettente da offrire ai giovani: con che forza e con quale alternativa significativa possono reagire al mito del successo? Come porsi di fronte ad un mondo in cui la parola chiave non è più Conoscenza ma Competenza (saper fare)?
 
Prassi o teoria?
Il rischio evidente che corre tutto il sistema-scuola è quello di dar valore solo a ciò che produce un risultato tangibile, di preferire il fare al sapere e all’essere.
Ci sarà ancora spazio per la filosofia, per il pensiero disinteressato e non declinabile immediatamente in tecnica?
Il livello medio degli studenti italiani, nelle rilevazioni internazionali, pone la nostra nazione agli ultimi posti della scala di valutazione europea. Permangono decisive differenze inoltre a favore delle scuole del Nord, allineate sulle medie comunitarie.
 
Crisi fiscale e conduzione aziendalistica
La profonda crisi fiscale in cui versa da tempo lo Stato non ha risparmiato anche la scuola. La stessa ministro in carica Gelmini l’ha ammesso, evidenziando che le attuali riforme o proposte, come quella del “maestro unico” appena approvato, o la prospettata riduzione a quattro anni di scuola superiore, nascono da  esigenze di “tagli” necessari alla spesa scolastica, mentre nessuno ha ancora annunciato una riforma complessiva del sistema, ispirata ad una (qualsiasi) concezione di uomo e di società.
Oltre alle esigenze di bilancio, sulla scuola pare esercitare una notevole influenza anche una concezione aziendalistico-contrattuale che, in modo inavvertito dai più, la sta trasformando da istituzione pubblica ad azienda, come già successo nel mondo della sanità: il patto formativo, proposto dall’ex ministro Fioroni trasforma in obbligo contrattuale ciò che, fino a prova contraria, è un dovere sancito dalla legge, come la frequenza..
E noi giovani dove siamo in tutto questo? Sovente gli stereotipi che passano nei media ci relegano nello stereotipo del bullo, dell’ignorante o del “cliente” che pretende di veder soddisfatte le sue esigenze.
A fronte di ciò la società non ci insegna più ad amare quello che facciamo ma a farlo soltanto per un risultato produttivo e spendibile.
 
Giovani: riappropriamoci dello studio
Dobbiamo riappropriarci – senza tuttavia sollevare crociate o scioperi di massa - del nostro ruolo, rimotivare la fatica quotidiana dello studio, superare le solite accuse al sistema sbagliato, a professori poco coinvolgenti e stanchi del loro lavoro.
Lo studio è un bene inestimabile, in ultima analisi studiamo per noi stessi.
È frequentissimo pensare che lo studio è un dovere verso la propria famiglia, verso gli insegnanti e perché no, anche verso Dio, oppure un semplice trampolino verso un lavoro migliore.
In realtà studiamo per noi stessi, per dare risposta ai nostri mille interrogativi, consapevoli che prima di essere belli o “sfigati”, punk o rock, di destra o di sinistra, siamo soprattutto “una grande domanda”. Consapevoli della nostra fragilità e allo stesso tempo della nostra irripetibilità: il mondo non ha bisogno di noi, eppure non ci sarai mai al mondo uno come noi, con i nostri difetti e i nostri pregi. I filosofi antichi lo traducevano in “perché l’essere e non il nulla?”. La vera conoscenza, vista in questa prospettiva, ha inizio soprattutto dalla conoscenza di noi stessi, come suggerisce la traduzione francese del termine “conoscenza”: connaissance “venire alla luce”, inteso come “rinascere con nuove prospettive, nuovi pareri e nuove idee”.
 
Passione per i “cieli immensi”
La vera conoscenza, costitutiva del nostro stesso essere, è quella che viene alla luce dalla passione, da quel sentimento che porta a fare quello sforzo in più, a lasciarci afferrare da qualcosa di più grande di noi che, tramite la nostra singolarità, prende spazio nell’umanità. Una passione dettata dalla consapevolezza che la realtà che abbiamo di fronte è complessa e misteriosa. Da questo scarto ha origine ogni vera sapienza.
Lo studio, che è certamente anche fatica, è soprattutto un allenamento per vivere, è la crescita della nostra libertà di fronte a chi vorrebbe tenerci nell’ignoranza, è una finestra aperta sul cielo.
Scrive Jean Guitton, filosofo e teologo, in Lettera ad un giovane dei nostri giorni, :«Occupa l’attimo che passa con una piccolissima cosa e rigetta nell’infinito il tuo desiderio […]Ciò che importa è che tu rimanga al di sopra del tuo lavoro intellettuale e che faccia servire tale lavoro alla tua fortezza. Perciò credo che vi sia un solo consiglio da darti, sempre incompreso o mistificato, e che lo sarà fino alla fine: Cerca il vero. Non dire altro che quello che credi di sapere, tacendo sul resto. Esprimiti con sincerità e respingi il verbo dell’orgoglio. Va al puro, al profondo, all’autentico. Se ti accadrà, dopo aver trovato la verità, di doverla comunicare, fallo nella maniera che sarà più conforme alla tua verità interiore» [1]
Studiare è imparare a diventare discepoli di un maestro che non ci insegna solo cosa ma come pensare e vivere. Vista in una prospettiva di passione, di riscoperta di noi stessi, di viaggio con una meta ma senza una fine, la fatica dello studiare non è più un dovere ma un piacere. Questo piacere non va dimenticato ma riscoperto pagina dopo pagina, attraverso tutte le riforme attuate o solo annunciate: nessun progetto “tecnico” può sostituire la passione del vero, del buono, del bello, che dovrebbe costituire sempre la stella polare del sistema di istruzione.
[1] J. Guitton, Il lavoro intellettuale, Paoline, Roma 1951, p. 214.
Emanuela Vizza
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