Zingaro e Santo 2Vita e Virtù del servo di Dio

P. Fandos riferisce che il Pelé si guadagnò la fiducia e l'ammirazione degli abitanti di Barbastro per il suo spirito di servizio e, soprattutto, per aver soccorso una volta don Rafael Jord√°n...

Zingaro e Santo 2Vita e Virt√π del servo di Dio

da Quaderni Cannibali

del 02 novembre 2009

 

I. Vita e Virt√π del servo di Dio (2)

 

 

4. Commerciante di cavalli

 

P. Fandos afferma che nel suo biglietto da visita il servo di Dio si presentava come 'commerciante di cavalli'17.

Grazie alla sua onestà e al suo spirito intraprendente, conobbe tempi di grande prosperità in questo commercio. P. Fandos riferisce che il Pelé si guadagnò la fiducia e l'ammirazione degli abitanti di Barbastro per il suo spirito di servizio e, soprattutto, per aver soccorso una volta don Rafael Jordán, ex sindaco, che soffriva di tubercolosi e che un giorno per la strada ebbe un improvviso vomito di sangue.

 

Il servo di Dio lo soccorse senza paura di essere contagiato, e lo portò a casa. Come riconoscimento a tale gesto eroico, don Simón, uomo ricco e fratello di don Rafael, offrì al Pelé una grande quantità di denaro consigliandolo di recarsi in Francia per comprare un vagone di mule che il governo francese aveva messo in vendita alla fine della guerra mondiale. Il Pelé, che aveva parenti stretti a Dax e a Olorón, si recò nella nazione vicina e acquistò un gran numero di mule che vendette in poco tempo per i villaggi del Somontano. Secondo il testimone Nicolás Santos de Otto, 'ripeté l'operazione in varie occasioni, ottenendo grande beneficio ... fino a quel momento si poteva considerare ricco e lo rimase per molti anni' (Summ., p. 42).

 

Grazie a questo buon commercio, il Pelé potè comprare ed abbellire la casa nel rione Sant'Ippolito dove viveva come inquilino18. Mise su inoltre una scuderia di cavalli che teneva sempre ben assortita. Tutto questo accadeva sicuramente verso il 1919, immediatamente dopo la fine della prima guerra mondiale.

Alcuni testimoni fanno allusione alla scuderia del Pelé, cui accorrevano payos e gitani in cerca di cavalli (Cf. Summ., Test. 4, Summ., p. 14, 9; Test. 6, Summ., p. 20, 12; Test. 9, Summ., p. 27, 9; Test. 22, Summ., p. 48, 9).

 

La fortuna però non gli sorrise sempre. Una serie di circostanze e la sua eccessiva prodigalità a poco a poco lo portarono quasi alla rovina.

 

Racconta P. Fandos che mentre era alla fiera di Vedrell per cercare di vendere alcune mule, uno dei fieranti ne riconobbe due che gli avevano rubato a Valls e denunciò il caso alla Guardia Civile. Il Pelé fu condotto in carcere. Il caso fu portato in tribunale. Sicuramente le mule erano state rubate a Valls, come sosteneva il derubato, però il Pelé, con regolari ricevute, potè dimostrare che le aveva comperate ignorandone la provenienza. Il giudice, dopo la lettura della sentenza assolutoria, si permise di aggiungere: 'Il Pelé non è un ladro né un imbroglione, è San Ceferino Jiménez Malla, il patrono dei gitani'19.

 

Il caso è riferito anche dalla testimone María Carlota de Otto, che lo udì dal padre, il quale lo aiutò nella difesa (Cf. Summ., p. 44, 13).

Don Mario Riboldi raccolse le confidenze di vari gitani anziani che furono testimoni del caso. Uno di questi, “El Bomba”, sostiene che il Pelé fu denunciato a Barbastro e che il giudizio ebbe luogo a Vedrell. Aggiunge che vari testimoni videro più tardi il Pelé salire in ginocchio con due grosse candele nelle mani da via Sant'Ippolito verso la Cattedrale per ringraziare Dio di essere stato assolto in giudizio20. Il testimone Alejandro Mora, benché ne ignori il motivo, ricorda di aver visto partire in ginocchio il Pelé 'da casa sua verso la cattedrale' (Summ., p. 32, 8).

 

Tutto ciò, che Don Mario Riboldi raccolse dal testimone Constancio Rámiz Ballabriga, accadeva nel 192121.

 

Le sventure del servo di Dio non finirono qui. Alcuni mesi più tardi, Dio lo provò nuovamente togliendoli l'amata sposa Teresa che, secondo il libro dei defunti dell'archivio della curia vescovile, morì improvvisamente il 4 dicembre 1922. Il servo di Dio chiamò immediatamente il sacerdote, il quale amministrò alla defunta i sacramenti della penitenza e dell'estrema unzione 'sub condicione' (Cf. Summ., p. 89; Doc. 12).

 

Morta la moglie, restò solo con la figlia adottiva Pepita, che aveva appena 16 anni. Forse per evitare pettegolezzi o per il desiderio di creare un nuovo nucleo familiare, pensò di sistemare la figlia mandandola in sposa a Juan Alfredo Jiménez “El Lisardo”, suo nipote diretto in quanto figlio del fratello Felipe.

 

Come è consuetudine radicata tra i gitani, Alfredo e Pepita si sposarono prima alla maniera gitana, celebrando una grande festa con parenti e amici. Il matrimonio deve aver avuto una tale risonanza che i gitani anziani ancora lo ricordano. Don Mario Riboldi trae il ricordo da uno di loro, il quale 'pur sbagliando il nome dello sposo, ricorda che la festa fu grande e che vennero buttate monete da cinque e da dieci centesimi: lui raccolse 35 centesimi (sua madre allora guadagnava una peseta e venticinque centesimi al giorno). Anche la novantenne Maria Ardanuy, ancora viva e in buona salute oggi, dice che c'è stata un festa molto grande'22.

 

Il matrimonio religioso ebbe luogo nella chiesa parrocchiale di San Francesco d'Assisi il 5 agosto 1923 (Cf. Doc. 13, Summ., p. 90).

 

Gli sposini restarono a vivere nella casa del servo di Dio che presto venne allietata dalla nascita di una bambina, María de los Milagros, “La Maruja” nata il 25 maggio 1924. Seguirono sei bambine e un bambino: Clotilde “La Teliné”, il 15 giugno 1926; Trinidad, il 15 maggio 1927; Arturo “El Keti” l'8 gennaio 1928; Alegría y Salud “La Chone”, il 28 maggio 1930; Nuri nel 1934? e Laura il 34 maggio 194223.

 

Il vecchio Pelé poté godere della compagnia delle nipoti che amava con amore paterno. Aveva un debole per la maggiore, la Maruja, come confessa ella stessa. Nel 1934 soffrì certamente per la morte di una delle nipotine, la Nuri, che fu sepolta il 7 giugno nella tomba di sua proprietà (Cf. Summ., p. 90, Doc. 12).

 

5. Ultimi anni del Pelé

 

Dopo aver sposato la figlia adottiva, a quanto sembra visse per un certo tempo con lei e con il genero. Più tardi, quando nacquero le nipoti e la famiglia cominciò a crescere, cedette la casa agli sposi e lui andò a vivere in una casa dell' 'Intramuro' il cui affitto gli veniva pagato da don Nicolás Santos de Otto.

 

Ogni notte portava a dormire con sé una delle nipotine maggiori, Maruja o Teliné. La Teliné, più piccola, era gelosa della sorella Maruja e voleva sempre andare con lo zio Pelé. In una dichiarazione fatta di fronte al P. Gabriel Campo, il postulatore di Barbastro, la Teliné racconta i litigi con sua sorella Maruja:

 

'Ogni giorno veniva da una di noi. Io ero gelosa della Maruja. Volevo stare con il Pelé. Venite bambine - diceva - oggi questa, domani tu, un altro giorno ... e io contavo i giorni che mancavano perché mi portasse a casa sua'

(Summ., pp. 55-56).

 

Andare a dormire con il Pelé aveva i suoi vantaggi perché la mattina lo zio, accompagnato dalla nipote di turno, dopo aver sentito la messa nella chiesa dei claretiani, comprava alla bambina 'un panino di Vienna e un'oncia di cioccolato' (Cf. Summ., Testimonianza 2, p. 56).

 

Durante gli ultimi anni della sua vita, il servo di Dio divideva il tempo tra la casa di campagna che gli Otto avevano a San Esteban de Litera e Barbastro. Praticamente era al servizio degli Otto, che lo consideravano come uno di famiglia e, per arrotondare le sue entrate, si dedicava anche alla vendita di tessuti (Cf. Summ., Test. 19, Summ., p. 42).

 

6. La vita quotidiana

 

Non è difficile immaginare la vita abituale che il Pelé conduceva a Barbastro né quali fossero i suoi impegni quotidiani. Ci risulta che assisteva tutti i giorni alla prima messa nella chiesa dei claretiani (Summ., pp. 8, 3; 56, 2) e poi si dedicava agli impegni giornalieri. Come tutti quelli della sua razza, ed essendo soprattutto commerciante di cavalli, curava la scuderia che aveva messo su a Barbastro; raccoglieva erba per i cavalli, li portava all'abbeveratoio, puliva la stalla, combinava affari, si recava alle fiere dei villaggi vicini e non mancava alle feste che i suoi fratelli gitani organizzavano per un motivo o l'altro.

 

Bisogna considerare che fino al 1930 nel rione di Sant'Ippolito, dove il servo di Dio viveva, non c'era acqua corrente. Pertanto, tutti i giorni bisognava trasportare l'acqua dalla fonte di San Francisco alle pozze per i cavalli o portare i cavalli almeno una volta al giorno all'abbeveratoio.

 

Un'altra delle occupazioni del Pelé era ferrare i cavalli. Per questo disponeva di uno strumento speciale che i gitani chiamano “puhamante” e i payos “tajavante”. Tale strumento è stato donato al museo dei martiri claretiani di Barbastro, ove è conservato, da José Castellón, figlio del 'Ferruchón' che lo aveva ereditato24.

 

P. Fandos, che conosceva bene l'ambiente e che raccolse notizie tra i gitani di Barbastro per scrivere la piccola biografia del Pelé, in un articolo pubblicato su di un periodico, scriveva:

 

'Come quasi tutti quelli della sua razza, dedicò le sue occupazioni quotidiane all'allevamento e al commercio di cavalli: raccogliere erba, comprare cavalli, venderli e cambiarli...Con la sua presenza animava le fiere e i mercati; sapeva elogiare la sua merce con dialoghi pittoreschi, agili corse, considerazioni iperboliche…senza andare a discapito della giustizia e della buona amicizia. Gli piacevano le feste gitane, batteva le mani, agitava le nacchere e lanciava sonori olé...La sua presenza in simili feste era garanzia assoluta di rispetto e di moderazione'25.

 

Oltre ai lavori ed alle occupazioni come commerciante di cavalli e oltre al fatto di frequentare le feste organizzate dai gitani, il Pelé coltivava l'amicizia con don Nicolás Santos de Otto. Lo accompagnava nei numerosi viaggi che questi doveva fare in Spagna, sia per ragioni relative alla sua professione di professore, sia per ragioni politiche. Afferma al riguardo Nicolás Santos de Otto figlio:

 

'Con mio padre fece molti viaggi attraverso la nostra provincia e al di fuori di essa. Lo accompagnò ad Oviedo quando, avendo problemi di salute, andò a prendere possesso della cattedra in quella università. Varie volte si recò a Madrid. Tutti questi viaggi ci venivano riferiti dal Pelé, che raccontava in maniera molto divertente, con profusione di dettagli e riferimenti a persone che aveva conosciuto'

(Summ., p. 41).

 

P. Fandos, che si informò bene per scrivere il suo opuscolo, afferma:

 

'Molte volte accompagnò il cattedratico nei suoi viaggi in lungo e largo nella Spagna.

Una volta, ad esempio, come persona di fiducia nella presa di possesso della Cattedra di Oviedo (1923).

Altre, come figura rappresentativa del popolo semplice e modesto, nelle campagne di politica idraulica intraprese dal poliedrico don Joaquín Costa 'el Léon de Graus'.

Altre per eventi nazionali di grande rilievo, come ad esempio la consacrazione ufficiale della Spagna al Santissimo Cuore di Ges√π (1919), da parte di S.M. il Re, D. Alfonso XIII, circondato da tutti i suoi ministri, da una numerosa rappresentanza dell'episcopato e dai pi√π alti esponenti dell'esercito e della magistratura'26.

 

La Maruja, nipote del servo di Dio, ha dichiarato che suo zio il Pelé passeggiava con il suo cavallo “Calderas”, portando a spasso la figlia Pepita. Era capace di andare e tornare lo stesso giorno da Barbastro a Huesca, che distano 50 chilometri (Cf. Summ., pp. 18-19 e 54).

 

Nei suoi ultimi anni di vita lasciò il lavoro di commerciante e si dedicò quasi interamente alla famiglia del suo amico Otto. Andava di frequente al podere degli Otto a San Esteban, o si prendeva cura della casa di Barbastro, dove dormiva spesso, fino al punto che il testimone Rev. Santiago Mompel Querol, scolopio, interrogato nel processo del Vescovo Florentino Asensio, afferma che il servo di Dio 'era il portinaio della casa di Santos de Otto' (Summ., p. 52, 7). Se bisogna credere a Nicolás Santos de Otto, oltre ai lavori che faceva per la sua famiglia, si guadagnava la vita vendendo tessuti nei villaggi (Summ., p. 40).

 

In mezzo alle sue occupazioni, come affermano i testimoni, non tralasciava assolutamente la messa e la comunione quotidiane. Assisteva inoltre con fedeltà alle processioni, alle manifestazioni di culto e agli obblighi contratti nelle diverse associazioni religiose cui apparteneva, come l'Adorazione Notturna e i Giovedì Eucaristici, le Conferenze di San Vincenzo de' Paoli e le riunioni della Confraternita dei Terziari Francescani, di cui era consigliere.

 

Una vita quindi di gitano e contemporaneamente di cristiano fervente, testimonianza viva tanto per i gitani quanto per i payos.

 

7. Personalità del Pelé

 

Disponiamo di dati sufficienti per poter descrivere la personalità del servo di Dio, tanto per quanto riguarda l'aspetto fisico che morale. Tutto contribuiva a fare di lui un uomo con una forte personalità.

 

a) Aspetto fisico

 

Oltre alle fotografie che si conservano, diversi testimoni oculari ci hanno descritto la figura fisica del servo di Dio.

Nicolás Santos de Otto, nato nel 1915, che praticamente visse con lui fino alla sua morte, ci dice che 'era alto, slanciato, di buona salute, di costituzione forte ed elegante' (Summ., p. 40, 3). Così lo videro anche alcuni seminaristi di Barbastro nell'anno 1926, quando fu costituito il Terz'Ordine Francescano: 'attirò particolarmente l'attenzione mia e dei miei compagni - afferma il Rev. Santos Lalueza - il fatto di trovare lì un gitano alto, scuro, che nelle mani teneva la bandiera dei terziari. Lo commentammo molto favorevolmente' (Summ., p. 13, 4).

 

María de los Dolores, nata nel 1911, conobbe il servo di Dio fin da bambina e lo ricorda come un uomo 'alto e asciutto' (Summ., p. 37, 3). E i ragazzini del rione, tra i quali c'era Román Celaya, lo vedevano 'come un gran signore dalla personalità travolgente, alto, magro, distinto' (Summ., p. 10, 9).

Andrés Jiménez, gitano, ci fornisce un quadro completo della figura del Pelé: 'era alto, magro, un bell'uomo. Vestiva in modo elegante con abito e gilé. Aveva una catenella per l'orologio che partiva dal gilè per terminare in un taschino. Girava con un bastone' (Testimone 1, Summ., p. 53, 3).

 

In effetti, in una fotografia di gruppo in cui appare con il professor Nicolás Santos de Otto, i figli ed alcuni amici di quest'ultimo, il Pelé spicca tra gli altri. Appare vestito con abito e gilè, come ha dichiarato il testimone Andrés Jiménez, sebbene non si riconosca la catena dell'orologio in quanto la foto è sfocata.

P. Fandos ci informa nella sua biografia di come si vestiva il Pelé. Dice che nei giorni di lavoro andava 'in giro con la blusa, con in testa il basco, con ai piedi le ciabatte, con la frusta al collo o arrotolata tra le mani'. E aggiunge:

 

'Diverso era il suo modo di vestire quando prendeva parte alle carovane per andare

alle fiere. Seduto a cavallo o alla guida del carretto coperto, sosteneva animate conversazioni con i compagni e vigilava attentamente il branco di muli o di asini

che conduceva. Allora portava la giacca, la cravatta, il cappello flessibile e calzava gli stivaletti...'27.

 

b) Qualità morali

 

Il servo di Dio si distingueva soprattutto per le sue qualità morali. Benché fosse analfabeta e non sapesse far di conto, era dotato di una straordinaria intelligenza naturale, di un gran buon senso, di un'onestà a tutta prova e di un dono speciale per regolare le contese che sorgevano tra i gitani o tra questi e i payos. A tutto ciò va aggiunta la sua grande generosità prossima a volte alla prodigalità.

 

Nicolás Santos de Otto afferma che, benché non avesse formazione intellettuale, era 'di grande intelligenza naturale e di criterio retto e equanime' (Summ., p. 41).

Era però anzitutto un gitano e un commerciante profondamente onesto, virtù abbastanza rara nel settore. Su questo concordano tutti i testimoni, tanto payos che gitani. Riportiamo alcune loro dichiarazioni.

José Cortes, gitano, afferma:

 

'Aveva fama di uomo onesto (...) Svolgeva il suo lavoro di commerciante con onestà, non comprava cavalli con difetti e non amava ingannare i payos. Era un gitano onesto'

(Summ., pp. 5-6).

 

Román Celaya, vicino di casa, che lo frequentò fin da prima degli anni 20, dichiara:

 

'Il Pelé aveva fama di essere uomo onesto. Come commerciante di cavalli non amava ingannare e questo stesso fatto gli conferiva prestigio e gli faceva guadagnare denaro. Avvisava perfino se qualche cavallo aveva difetti.

Alcune volte si poteva udire questa espressione fra la gente: “Fidati del Pelé che ti consiglierà bene”'

 (Summ., p. 11, 10).

 

Adela Jiménez, gitana, ha sentito raccontare da sua madre che il Pelé 'era onesto nel suo lavoro di commerciante e non amava ingannare né payos né gitani' (Summ., p. 31, 10). La sua onestà era tale che per non ingannare la gente, nelle fiere metteva da una parte i cavalli che non erano stati ben domati. Così riferisce sua nipote Maruja:

 

'Lo zio Pelé era un uomo onesto nella sua professione di commerciante di cavalli e ho sentito dire che quando aveva cavalli “non docili” e andava alle fiere, li metteva da una parte e coloro che andavano a comprare sapevano e potevano distinguerli. In questo modo non ingannava'

(Summ., p. 20, 10).

 

Lo stesso afferma la testimone Trinidad Jiménez, nipote del servo di Dio:

 

'Il Pelé era onesto nel suo lavoro di commerciante,

non ingannava e se i cavalli avevano qualche difetto, lo diceva prima. L'ho sentito dire molte volte da mio nonno

 (dice Trinidad) che era fratello dello zio Pelé'

(Summ., p. 47).

 

Un altro testimone, Rufino Bruno Vidal, aggiunge che non soltanto non ingannava, ma che riprendeva i gitani che lo facevano:

 

'Il Pelé era un uomo molto onesto; nel suo lavoro di commerciante di cavalli non si permetteva mai di ingannare qualcuno, anzi riprendeva quei gitani che cercavano di ingannare i payos dicendo che questo non si doveva fare ed era molto amato ed apprezzato dai payos'

(Summ., p. 23, 10).

 

Testimoni dell'onestà a tutta prova del servo di Dio furono i membri della famiglia Otto. Afferma María Carlota, figlia di Nicolás Otto:

 

'Il Pelé aveva fama di uomo onesto e lo dimostrava con i fatti;

tale era la fiducia che mio padre riponeva in lui che lo mise a curare

la nostra casa di San Esteban de Litera, dove molte volte rimaneva lui solo come responsabile.

C'è di più: la combinazione della cassaforte di mio padre era Pelé.

Noi desideravamo che venisse a casa nostra e gli andavamo incontro'

(Summ., p. 43, 10).

 

Un altro testimone dell'integrità morale del servo di Dio, forse un poco esagerato, è Alejandro Moca Sesé, amico della famiglia Otto e quindi anche del Pelé. In una dichiarazione dell'11.XII.1993 fatta di fronte a P. Gabriel Campo, afferma:

 

'Era uomo tanto buono che era difficile pensare ad un qualche suo peccato,

menzogna, o mancanza. Sembrava come se fosse preservato dalla grazia,

come a volte immagino la Vergine Maria, tutta pura' (Proc. f. 176).

 

Può ben scrivere il biografo del servo di Dio:

 

'Anche per i payos (il Pelé) raggiunse una notevole importanza. Mai i villaggi della

regione avevano conosciuto un uomo pi√π onesto, pi√π cavaliere,

pi√π leale e pi√π cristiano. In pubblico e in privato si mostrava rispettoso,

umile, allegro, pacifico, servizievole e generoso. Per tutti aveva un saluto, un sorriso, disponibilità per una conversazione amena, deferenti inviti, promesse.

Nelle ricerche effettuate per comporre questo schizzo storico,

non ho udito nulla di deplorevole. Egli trattava gli altri gitani con molta cordialità (rivolgendosi a loro) di solito, se non erano superiori a lui, con l'appellativo di “tato”, vocabolo di affetto con cui si chiamano i gitani'28.

 

La sua prestanza fisica e le sue qualità morali ne facevano un uomo con una personalità forte, rispettata da tutti e ammirata da payos e gitani. Román Celaya, che faceva parte di un gruppo di bambini del rione di Sant'Ippolito, dove viveva il Pelé, fferma che 'tutta la cricca vedeva nel Pelé un gran signore dalla personalità travolgente' (Summ., p. 10, 9). E aggiunge:

 

'Il Pelé godeva di grande prestigio tra i gitani e anche tra i payos. Accettavano i suoi consigli e i gitani lo consideravano loro “capo”. In tutta la via Sant'Ippolito i vicini avevano fiducia in lui ed erano suoi amici; lo consideravano l'avvocato dei poveri cui ricorrevano molte volte per chiedere consiglio'

(Ibid., p. 11, 12).

 

María Dolores Esteban aggiunge che 'tra i gitani si distingueva per la sua grande personalità' (Summ., p. 34, 3). La stessa cosa afferma Lucía Martín: 'Ho sentito dire che aveva molta autorevolezza tra i gitani, come se fosse il “capo” ' (Summ., 36, 12).

Per la sua grande personalità, era amico delle persone più illustri della città e tra i gitani era 'come il capo'. Così afferma María Carlota de Otto, che lo considerava un membro della famiglia:

 

'Il Pelé aveva amici in città, tra cui la mia famiglia, i Jordán, i Jeseu, Carmen Sichar, Pablo Jordán de Urriés e Azara.

Tra i gitani godeva di molta autorità ed era come il “capo”. E noi eravamo amati dai gitani per i rapporti che avevamo con il Pelé'

 (Summ., p. 44, 12).

 

Tale prestigio e il suo spirito conciliatore gli conferivano l'autorità necessaria per fare da mediatore nei conflitti che sorgevano tra i componenti della sua razza o tra questi e i payos. Era considerato come una specie di arbitro e di pacificatore, ed i suoi interventi erano sempre coronati da successo. I litiganti finivano per darsi la mano e diventare amici. Così affermano vari testimoni.

 

Román Celaya, che era vicino di casa del Pelé, dopo aver parlato della sua grande onestà e del prestigio di cui godeva tra payos e gitani, afferma: 'Se qualche volta c'erano liti tra i gitani, egli era il pacificatore, lo si cercava perfino perché fosse lui a risolvere la lite' (Summ., p. 11, 12). E José Castellón Jiménez, gitano, afferma che faceva da 'pacificatore nei matrimoni o in qualsiasi altro problema esistente tra i gitani' (Summ., p. 48, 9).

 

Angel Tornés, che raccolse quel che si diceva del servo di Dio subito dopo la sua morte, afferma: 'Tra la razza gitana era l'uomo che dirimeva i conflitti tra i suoi compagni di razza, servendo da giudice e pacificatore degli stessi' (Summ., p. 25, 3).

 

P. Fandos ci riferisce quel che dicevano di lui, per quanto riguarda questo aspetto, i suoi familiari e gli amici.

 

'I suoi familiari e gli amici elogiavano la capacità speciale che possedeva nell'intervenire nei piccoli conflitti che sorgevano tra quelli della sua razza. Dava un po' di ragione ad ognuno dei litiganti, smorzando i motivi di reciproca offesa. Generalmente il suo intervento veniva ritenuto giusto ed accettato'29.

 

 

 

 

 

 

17 FANDOS, p.17

 

18 Nel catasto di Barbastro, proprietà n. 2301, corrispondente alla casa n. 31 di via di Sant'Ippolito, si dice che detta casa è di proprietà di Zefferino Jiménez, il quale la comprò da un tal Gregorio Sehum.

 

19 FANDOS, pp. 20-21

 

20 RIBOLDI, p. 89

 

21 RIBOLDI, p. 87. Lo stesso gitano Constancio Rámiz, nato nel 1909, in una dichiarazione fatta di fronte a P. Gabriel Campo, diceva: 'Ricordo che il giorno del processo del Pelé (non ricordo se fosse processo o interrogatorio) la strada di Huesca, da El Coso fino quasi a El Pueyo, era piena di carovane di gitani accorsi con i loro carretti per il giudizio del Pelé. Noi andammo a vederlo' (Proc., f. 181). Non c'è da meravigliarsi del fatto che accorsero tanti gitani se si tiene conto del grande prestigio di cui il Pelé godeva tra la suagente e soprattutto della solidarietà dei gitani. E' sufficiente che uno si ammali o che abbia un problema grave perché decine di loro accorrano a trovarlo e a prestare il loro aiuto.

 

22 RIBOLDI, p. 95.

 

23 RIBOLDI, presentando l'albero genealogico alle pagine 36-37 del suo libro, parlando del matrimonio di Pepita, la figlia adottiva del Pelé, indica soltanto quattro bambine e un bambino. Dimentica Trinidad, nata nel 1927 tra La Teliné e il Keti, e anche Nuri, il cui corpo fu deposto nella tomba di proprietà del Pelé. Cf. Summ., pp. 89-90, doc. 12. Non si conosce la data di nascita di Nuri, si sa solo che morì il 6 giugno 1934.

 

24 RIBOLDI, p. 25.

 

25 'El Cruzado Aragonés', Num. 2.474 del 18.II.1967.

 

26 FANDOS, p. 16; Summ., p. 67.

 

27 FANDOS, p. 16; Summ., p. 66.

 

28 FANDOS, pp. 16-17, Summ., p. 66. 

 

29 FANDOS, p. 15; Summ., p. 66

 

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Romualdo Rodrigo

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