Zingaro e Santo 3Vita e Virtù del servo di Dio

Il non parlare mai male di nessuno e l'amore verso i nemici sono segni che distinguono i santi, e queste virtù non mancavano al servo di Dio, che alcuni già in vita consideravano un santo...

Zingaro e Santo 3Vita e Virt√π del servo di Dio

da Quaderni Cannibali

del 02 novembre 2009

I. Vita e Virt√π del servo di Dio (3)

 

8.Un cristiano modello. Le sue virt√π

 

Il biografo del servo di Dio, che lo frequentò molto da vicino e che conosceva la sua religiosità, afferma che non sa chi gli diede le prime lezioni di teologia, ma che certamente egli possedeva una profonda spiritualità. Non era un uomo superstizioso o di una religiosità superficiale, bensì aveva 'convinzioni religiose molto radicate' (Test. 19, Summ., p. 41). Come nelle anime sante, possiamo pensare che fosse lo Spirito Santo a guidarlo. E' interessante a questo riguardo quanto afferma il testimone Rufino Vidal, che partecipava con il servo di Dio all'Adorazione Notturna: 'Benché non avesse istruzione letteraria, perché analfabeta, tuttavia aveva molta formazione spirituale; la vita spirituale gli veniva da dentro' (Summ., p. 23, 8). Una prova della sua profonda spiritualità era la sua rassegnazione cristiana ed il fatto di vedere la mano di Dio in ogni cosa. In effetti, riferisce Nicolás Santos de Otto che nei rovesci di fortuna o nelle disgrazie il servo di Dio diceva sempre: 'Dio lo ha voluto, Lui lo sa. Lodato sia il Signore' (Summ., p. 42).

 

L'autore della sua biografia ci dice da quando il servo di Dio si dedicò agli esercizi di pietà. Forse su di lui influì, come suggerisce il Rev. Santos Lalueza, l'amicizia con Nicolás Santos de Otto (Cf. Summ., p. 14, 8), famoso a Barbastro per la sua religiosità. E non si può escludere, come abbiamo già detto, che abbia regolato la sua unione con il matrimonio canonico nel 1912 per motivi religiosi. Il fatto che in privato pregasse in lingua catalana, come afferma Maruja (Cf. Summ., p. 20, 6), fa pensare che abbia imparato le preghiere da bambino, mentre viveva in Cataluña. Certamente dopo aver celebrato il matrimonio religioso, si mantenne fedele alla pratica della religione. Di fatto, alcuni testimoni che lo conobbero in quegli anni affermano che lo videro frequentare sempre la chiesa.

 

P. Fandos afferma che assisteva regolarmente alla messa quotidiana 'nella chiesa dei Missionari o nella sua parrocchia di San Francesco'. E aggiunge:

 

'Correva voce che nella sua buona famiglia si recitasse ogni giorno il rosario. E i gitani assicurano che manteneva così il voto, per un miracolo operato in suo favore dalla Madonna del Rosario'30.

 

Sulla sua pietà eucaristica riferisce il seguente aneddoto, di cui fu testimone oculare:

 

'Nel 1922 mi trovavo nella chiesa consacrata al Cuore Immacolato di Maria di

fronte ad un gruppo di uomini che appartenevano all'Arciconfraternita dei Giovedì Eucaristici.

Erano come l'aristocrazia spirituale di Barbastro.

I signori Pascau, Gravisaco, Puig, Gav√°s, Juseu (...).

Chiesi loro se bisognasse invitare a prendere parte al coro lo zio Pelé - che indefettibilmente partecipava tutti i giovedì al rito. La proposta fu immediatamente accettata.

Da allora si vide il buon Zefferino partecipare regolarmente alla

recita delle preghiere e ai canti con gli uomini pi√π prestigiosi di Barbastro ...'31.

 

I testimoni interrogati dal tribunale confermano quanto scrive P. Fandos sulla religiosità del Pelé ed aggiungono perfino alcune altre circostanze.

 

José Cortés afferma che fin da quando lo conobbe (prima del 1915 in quanto il testimone nacque nel 1908 e lo conobbe da bambino), lo vide frequentare la chiesa (Cf. Summ., p. 5 ,8). Román Celaya, nato nel 1913, era vicino del Pelé e anche lui lo vide sempre frequentare la chiesa e ricorda di averlo visto comunicarsi nelle solennità (Summ., p. 10,8). Il testimone si riferisce sicuramente alla seconda decade del secolo.

 

Si può provare con testimoni che a partire dagli anni '20, ed anche prima, era già molto religioso; seguiva la messa quotidianamente e recitava tutti i giorni il rosario.

Delfina Arnal Girón, un'anziana di 94 anni di Barbastro, ricorda che Zefferino era mattiniero:

 

'Lo vedevo che andava a messa con mia madre, tra le sei e le sette

(la prima messa della giornata). Io l'ho conosciuto quando non ero ancora sposata e ricordo che mi mettevo a pulire un po' davanti a casa mia il marciapiede.

Il gitano mi diceva: “Guarda questa, come vuol far vedere che è una lavoratrice,

così si sposerà”'. E aggiunge la donna:

'non voleva che si bestemmiasse e richiamava quelli che sentiva imprecare.

Diceva: cosa ti ha fatto Dio? Ti ha dato la vita.

Davanti a me non parlare male di Dio né dei sacerdoti' '32.

 

Come osserva Don Mario Riboldi, considerando che la signora Delfina si sposò tra i 17 e i 18 anni, dicendo che vedeva il gitano andare a messa ella si riferisce agli anni 1917-1918.

 

Il testimone Alejandro Mora, dopo aver narrato come il Pelé andò dalla sua casa fino alla cattedrale in ginocchio e con due candele nelle mani, afferma che se ciò fosse stato fatto da un'altra persona sarebbe stato considerato oggetto di burla. Nel caso del gitano naturalmente non fu così, perché tutti conoscevano la sua serietà e la sua grande religiosità. Considerato che ciò accadeva dopo il processo per il supposto furto delle mule, cioé verso il '22, bisogna dire che già da allora era considerato molto religioso.

 

Simón Sánchez Tolosa, ex claretiano, nel 1933 era sagrestano della chiesa dei claretiani di Barbastro e poté osservare 'come il Pelé la frequentasse, assistesse alla messa e ricevesse la comunione quotidiana' (Summ., p. 8,8).

Maruja, la nipote del servo di Dio nata nel 1924, ricorda che 'lo zio Pelé frequentava la chiesa e vi portava me e mia sorella (...). Gli piaceva molto recitare il rosario (...). Ricordo che le sue preghiere private le recitava in lingua catalana' (Summ., p. 20, 9).

 

Amparo Cenizo, nuora della figlia adottiva del servo di Dio, aggiunge di aver 'sentito dire molte volte a mia suocera che il Pelé andava a messa e riceveva la comunione e che recitava il rosario in casa' (Summ., p. 26, 8). Juan Broto, chierichetto alla fine degli anni '20 nella chiesa dei claretiani, vedeva il servo di Dio 'alla messa tutti i giorni e occupava sempre gli ultimi banchi' (Summ., p. 33, 3).

 

Nicolás Santos de Otto, che lo frequentò intimamente per oltre 15 anni, afferma che 'era un uomo molto fermo nelle sue convinzioni religiose' (Summ., p. 40, 3). E aggiunge:

 

'Portava sempre con sé il rosario e lo si

incontrava di frequente mentre lo recitava. Quando camminava per le strade,

da solo o assieme ad altri, lo recitava sempre. Assisteva ogni volta che poteva al

Viatico ai malati, alla messa, alle Quaranta Ore,

nonché alle altre cerimonie religiose, di cui era,

e così veniva considerato, assiduo frequentatore'

 (Summ., p. 41).

 

María Carlota Santos de Otto, che praticamente crebbe con il Pelé, conferma 'che tutti i giorni andava a messa e recitava il rosario, perché io stessa lo vidi molte volte con il rosario e a noi (al fratello Nicolás e a lei) ce lo faceva recitare con lui (...). Ho sentito dire molte volte nella mia casa che assisteva alla messa quoditiana e che si comunicava' (Summ. p. 43, 8).

 

Anche José Castellón, figlio del Ferruchón, amico intimo del servo di Dio, sentiva dire da suo padre 'che il Pelé andava a messa quotidianamente e che recitava il rosario tutti i giorni' (Summ., p. 48, 8).

Non si vergognava di manifestare la propria fede. Nelle processioni era il primo e portava sempre un cero acceso. Rufino Bruno ricorda di averlo visto 'dirigere le processioni con un grosso cero' (Summ., p. 23, 19). E Trinidad Jiménez, una delle nipoti, conferma che a Barbastro era conosciuto per essere 'il primo nelle processioni' (Summ., p. 47; Cf. anche p. 40).

 

Non si limitava alle manifestazioni esteriori della fede. La sua profonda spiritualità lo portava a far parte di quelle associazioni che coltivavano la preghiera, la vita religiosa, la contemplazione, la carità, come i Giovedì Eucaristici, l'Adorazione Notturna, la confraternita dei Terziari Francescani, le Conferenze di San Vincenzo de' Paoli.

Come abbiamo già detto, P. Fandos, animatore nel 1922 dei Giovedì Eucaristici, chiese ai membri dell'arciconfraternita se potesse ammettere nel gruppo il Pelé che tutti i giovedì assisteva agli atti di culto eucaristico. La risposta fu unanime, in quanto tutti conoscevano la religiosità del gitano Pelé33.

 

Quattro anni dopo, nel 1926, i cappuccini decisero di creare nella chiesa di San Francesco il Terz'Ordine Francescano che fu eretto dopo un triduo di preparazione. Oltre al vescovo della città, si fecero terziari 11 sacerdoti, 33 seminaristi e 114 laici. Quel giorno prese l'abito anche il Pelé, il quale tra tanti terziari laici fu scelto per essere uno dei 10 consiglieri della confraternita. Ciò denota la stima di cui godeva il servo di Dio34.

 

Il Rev.do Santos Lalueza, allora seminarista, ricorda l'atto solenne con cui fu eretto il Terz'Ordine Francescano, cui partecipò assieme ad altri seminaristi e 'attirò particolarmente la nostra attenzione il fatto di trovare lì un gitano alto, scuro, che nelle mani teneva la bandiera dei terziari. Lo commentammo molto favorevolmente'. Si trattava del Pelé (Cf. Summ., p. 13, 4).

 

9. Apostolo tra i bambini

 

P. Fandos nella biografia del Pelé afferma che il servo di Dio 'non soltanto pregava ed aveva una condotta esemplare e edificante, ma era un apostolo convinto della fede'35. Effettivamente, egli cercava con ogni mezzo di diffondere la fede alla sua maniera, anzitutto insegnando ai bambini canti religiosi, raccontando loro pie storie devote e spingendoli a pregare. Lo stesso P. Fandos trascrive quanto raccontatogli da Donna Gloria Castellón, sicuramente sorella del testimone 22, José Castellón, e cioé

 

'che spesso radunava i bambini del rione e li conduceva in campagna,

apparentemente per raccogliere 'cenojo' - un'erba commestibile -,

ma in realtà per fare catechesi raccontando storie della

Bibbia e della Patria e per far loro cantare canzoni di chiesa.

Esortava i fanciulli a rispettare gli uccelli e le formiche.

Terminava offrendo a ciascuno un po' di cioccolato'36.

 

Vivono ancora testimoni che il servo di Dio, quando erano piccoli, invitava a pregare, li portava a passeggio e raccontava storielle pie. José Cortés, gitano, testimone oculare, dichiara:

 

'Raccoglieva molti bambini, gitani o payos,

e ci insegnava a pregare, ci raccontava storielle e ci dava la merenda'

 (Summ., p. 5, 9).

 

Román Celaya racconta che faceva parte di una 'cricca di amichetti'. Il Pelé mostrava loro affetto e cercava di educarli:

 

'Qualche volta - riferisce il testimone - ci radunava

attorno a lui e ci portava fuori del villaggio; ci dava consigli

e noi lo ascoltavamo con molta attenzione lasciando

un'impronta nella nostra educazione'

(Summ., p. 11, 9).

 

Nicolás e María Carlota Santos de Otto ricordano con affetto le pie storielle che il Pelé raccontava loro allo scopo di educarli nella fede: 'Ci narrava - dichiara Nicolás - molti racconti e “storie” come quella di Santa Genoveffa di Bravante. Mentre le raccontava, vi metteva tanta devozione quanto noi nell'ascoltarle' (Summ., p. 41). Lo stesso afferma María Carlota de Otto, sorella del testimone (Cf. Summ., p. 43, 9).

 

Trinidad Jiménez, nipote del servo di Dio, conferma che 'voleva molto bene ai bambini e ci trattava con molta tenerezza. Ci narrava racconti e storielle, sempre di cose religiose, e ci portava in chiesa a pregare' (Summ., p. 45, 4). Andrés Jiménez, che negli anni '30 era bambino, ricorda che 'il Pelé chiamava i ragazzini (otto o dieci) per andare a pregare a casa sua. Diceva loro di essere buoni, di non fare del male' (Summ., p. 53, 1). Sull'affetto che il servo di Dio dimostrava per i bambini Cf. Summ., pp. 48, 9; 20, 9; 26, 9.

Don Mario Riboldi raccoglie la testimonianza del Bomba, nato nel 1908, il quale afferma che

 

'quando era piccolo saliva con altri ragazzetti,

alcuni figli dei gitani e altri figli dei payos, guidati dal Pelé,

fin sulla collina dove c'è la chiesetta di San Ramón

(San Raimondo, antico vescovo di Barbastro).

Lassù il kalò li faceva anche ridere raccontando qualcosa. Ricorda poi che una volta i ragazzi videro molte formiche e qualcuno cominciò a calpestarle,

ma Zeffirino li fermò dicendo che non vanno molestate perché “sono di Dio”.

Un altro gitano di Barbastro assicura che portava i bambini al “chiuso di Bielsa”,

li faceva mettere in cerchio e insegnava le preghiere e a essere buoni'37.

 

10. Amore per i poveri

 

Espressione della fede e dell'amore del Pelé per Dio era il suo amore per il prossimo. Sappiamo dall'autore della sua biografia che apparteneva alle Conferenze di San Vincenzo de' Paoli e che anche negli ultimi anni della sua vita, durante i quali visse in povertà, 'continuò a fare l'elemosina ai poveri nella forma che poteva'38.

Quasi tutti i testimoni parlano delle elemosine che il servo di Dio faceva, di cui molti di loro beneficiarono. José Cortés Gabarre, gitano, nato nel 1908, dichiara:

 

'Ho visto in varie occasioni che nella sua casa

accoglieva mendicanti, dava loro abiti in buono stato e denaro,

e tutto questo lo faceva accarezzandoli e trattandoli con affetto'

(Summ., p. 5, 9).

 

Al Rev.do Santos Lalueza, il quale ha lavorato molti anni con i gitani, fu riferito che il Pelé era molto caritativo tanto con i gitani che con i payos. Gli fu raccontato inoltre 'che accorse da lui una giovane madre gitana, che aveva un bambino che non poteva allattare né aveva denaro per comprare il latte. Zefferino diede ogni giorno alla gitana i soldi necessari perché il bambino potesse andare avanti' (Summ. 14, 9).

 

Amparo Cenizo sentì dire da sua suocera Pepita, la figlia adottiva del servo di Dio, che

 

'andavano da lui gitani poveri e lui li aspettava a casa,

dava loro da mangiare e li trattava con molto affetto chiamandoli “tato”.

Aggiunge il testimone: 'l'ho sentita dire anche che ad un gitano

povero che era andato da lui il Pelé disse, portandolo nella sua stalla:

“prendi l'animale che vuoi e mi pagherai quando potrai” '

(Summ., p. 26, 9; Cf. p. 56, 2).

 

I fratelli Nicolás e María Carlota de Otto, che praticamente vissero con lui per diversi anni, affermano che 'era molto caritativo' e che 'fece molte elemosine' (Summ., pp. 41 e 43, 9). Trinidad Jiménez, una delle nipoti, afferma che faceva molte opere di carità, e aggiunge:

 

'Quando nevicava, andava per i villaggi a vedere di cosa

potevano aver bisogno i gitani poveri, e anche a Barbastro.

Andò in rovina dividendo i suoi beni tra i gitani poveri'

(Summ., p. 46).

 

José Castellón dichiara che la sua carità era tale che non c'era gitano a Barbastro e fuori della città che non ricorresse a lui e che egli non lo assistesse 'moralmente e materialmente'. Sua moglie Teresa non era tanto generosa, a volte lo sgridava e per questo, quando dava qualcosa 'guardava su per vedere se sua moglie lo vedeva' e diceva 'è per evitare problemi con mia moglie (...) se posso evito il pasticcio' (Summ., p. 489). Oppure diceva a colui che aiutava: 'Prendi, che non sappia' (Summ., p. 53, 5).

 

Abbiamo già menzionato l'atto di carità eroica narrato da P. Fandos, cioé il fatto di aver soccorso un malato di tubercolosi che aveva avuto un vomito di sangue, nonostante il terrore provocato dalla malattia per il pericolo del contagio. La testimone Isabel Jiménez nipote di Pepita, afferma:

 

'Ho sentito raccontare che in una occasione in cui un malato

di tubercolosi aveva avuto un vomito di sangue,

egli gli si avvicinò, lo pulì, lo prese per le spalle e lo portò a casa.

E lo fece nonostante il fatto che noi gitani siamo

molto scrupolosi di fronte alle malattie per timore di contagio e

maggiormente a quei tempi, quando la tubercolosi

era considerata una malattia incurabile'

(Summ., p.30, 9).

 

Una prova del fatto che la sua carità era ispirata da uno spirito soprannaturale era che non faceva distinzione tra payos e gitani, in quanto aiutava tutti, e che il suo amore si estendeva anche ai suoi nemici.

 

Dichiara a questo proposito Nicol√°s Santos de Otto:

 

'mai ebbe parole dure per i suoi nemici o per quanti pensavano

o agivano in maniera differente da quella con cui

egli credeva si dovesse pensare e agire.

Quando si riferiva a loro, era soltanto per scusarli o

per compatirli per i loro errori'

(Summ., p. 41).

 

Il non parlare mai male di nessuno e l'amore verso i nemici sono segni che distinguono i santi, e queste virtù non mancavano al servo di Dio, che alcuni già in vita consideravano un santo.

 

 

 

 

 

 

 

30 FANDOS, p. 20; Summ., p. 68.

31 FANDOS, p. 19; Summ., pp. 67-68.

32 RIBOLDI, p. 91

33 FANDOS, p. 12, Summ., p. 68.

34 Cf. la rivista 'El Terciario Franciscano', XIV (1926) n. 154, pp. 334-335. Proc., f. 124.

35 FANDOS, p. 19; Summ., p. 67.

36 FANDOS, p. 16; Summ., p. 66.

37 RIBOLDI, p. 59.

38 FANDOS, p. 14; Summ., p. 65.

 

 

 

 

 

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Romualdo Rodrigo

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