Altra verità: il movimento liturgico nella Chiesa è un fenomeno dei più consolanti; ha vinto resistenze secolari, ha risanato abusi risalenti fino alla giovinezza della cristianità, ha incominciato a rendere nuovamente evidenti cose che avrebbero dovuto essere sempre tali.
del 01 gennaio 2002
Altra verità: il movimento liturgico nella Chiesa è un fenomeno dei più consolanti; ha vinto resistenze secolari, ha risanato abusi risalenti fino alla giovinezza della cristianità, ha incominciato a rendere nuovamente evidenti cose che avrebbero dovuto essere sempre tali. E il risultato della riforma della celebrazione liturgica, d’un fatto ecclesiastico apparentemente isolato, fa sentire il suo influsso in tutta la struttura della Chiesa e quindi nella concezione viva che la Chiesa ha di sé come popolo di Dio e come corpo e sposa di Cristo: è toccato un nervo centrale, e l’intero organismo reagisce in tutte le sue membra. Non il clero, ma la comunità, la ecclesia qui adunata e divenuta concreta, celebra la cena commemorativa, in cui il suo Signore si rende corporalmente presente ed inserisce corporalmente in sé, nel senso più originario, i radunati che si cibano del suo corpo, li fa suo proprio corpo. Che ciò avvenga nell’ordine che Paolo desidera, (1Cor. 11-14, quantunque qui non compaiono ancora dei ministri ufficiali) e che appare realizzato nel modo più bello in Ignazio d’Antiochia – comunità schierata attorno ai vescovi -, con ampia suddivisione di uffici e di mansioni, la cui differenziazione corrisponde in parte alla carismatica ecclesiastica; che la Scrittura sia letta al popolo in una lingua comprensibile e spiegata in una omelia, e quindi l’omelia sia spiegazione fedele e non un qualsiasi ‘discorso’ o ‘predica’ su un tema qualunque; che l’ambiente della Chiesa, non appena esso deve superare la ristrettezza di una sala privata, corrisponda alle necessità di una simile assemblea della comunità attorno alla mensa del Signore per quel che riguarda l’ambiente, la disposizione dei posti, dell’altare, del pulpito, del fonte battesimale, l’ornato decoroso ed attraente, ecc.: chi non vede come oggi tutto ciò ha acquistato in verità oggettiva, che parla da sé, col ritorno all’essenziale?
Tuttavia anche tutto questo non è univoco; lo si riconosce esternamente dal fatto che persone anziane, le quali non riescono e non vogliono ritrovarsi nel nuovo ordine del servizio divino, vi si oppongono non solo per spirito di tradizione, ma perché vedono trascurati e addirittura votati a sparire dei valori che per essi erano più cari. Di che cosa sentono la mancanza? Dell’ambiente spirituale, del silenzio con cui va circondato il mistero. Non avviene forse la cosa più incomprensibile di tutte? Non diviene forse presente, al di là dello spazio e dei tempi storici, il centro del tempo, in cui il Figlio di Dio, carico del peccato del mondo, del mio peccato, colpito dal fulmine del giudizio di Dio, scende nella notte eterna? In questo avvenimento non c’è ancora una ‘comunità’, non ci sono che tutti questi atomi peccatori, di cui anch’io sono uno; e come può la successiva comunità, la cui luce si accende a quella improvvisa eclisse apocalittica, ricordarsi dell’ora della sua nascita, anzi celebrarla nella fede e nel sacramento come qui presente, senza immergersi nella più profonda adorazione?
Ma dove rimane questa adorazione nelle nostre funzioni liturgiche recentissime? Ritenendo che essa sia superflua, oppure che il popolo della Chiesa non sia abbastanza maturo per meditarla, la fantasia del clero si adopra di riempire il tempo in modo utile e vario fin nei minimi angoli.
Le scene rumorose si susseguono senza interruzione; quando non si recitano preghiere o non si leggono e spiegano le S. Scritture, si deve cantare e rispondere; abbastanza spesso persino il canone viene recitato e parafrasato dal pulpito con il microfono. Si tenga presente che quasi nessuno dei presenti durante la settimana ha tempo ed occasione per un più profondo raccoglimento; che le loro anime nella funzione domenicale devono anche personalmente riposarsi e prendere fiato; che Dio parla loro soprattutto nel silenzio; che il servizio divino della parola incornicia, è vero, la parola di Dio – come la predicazione e la preghiera -, ma che è indispensabile l’atto della ricezione, della personale assimilazione nel silenzio, salvo seminar tutto sulle pietre e tra le spine.
Certamente una bella funzione comunitaria produce anche una specie di soddisfazione. Il parroco è soddisfatto della comunità quand’essa ha collaborato a dovere; la comunità è soddisfatta di se stessa per essere riuscita a compiere una celebrazione spirituale così bella. La Chiesa soddisfatta di se stessa e il godimento spirituale della comunità sono proprio ciò che di solito rimproveriamo alla celebrazione comunitaria pietistica e protestante liberale. Sarebbero allora giuste le maligne analisi di Karl Barth, che avvicinano Schleiermacher ed il cattolicesimo – come corpo mistico che glorifica se stesso -, oppure le sinistre parole di Arnold Gehlen, che mirano allo stesso scopo:«Io ritengo che in molti cuori Dio sia divenuto troppo umano e che esista un nuovo tipo di secolarizzazione della religione, che questa volta non passa attraverso la mondanizzazione materiale, bensì attraverso la morale. Allora l’umanità diviene soggetto ed oggetto della sua propria glorificazione, ma nell’incognito della religione cristiana dell’amore... La morale degli intellettuali ordinata al rapporto della coscienza col mondo si presenta... in entrambe le forme: la prima, di derivazione illuministica, come etica della solidarietà nel mondo presente intesa in senso progressista, ed in secondo luogo nella or ora citata celebrazione neocristiana dell’umanità ad opera di se stessa in nome di Dio».[1]
[1] Das Engagement der Intellektuellen gegenüber dem Staat (L’impegno degli intellettuali verso lo Stato), Merkur 1964, 407.‚Ä®
Hans Urs Von Balthasar
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