Qui troverai degli episodi di don Bosco tratti dalle memorie dell'Oratorio, nei quali lui stesso racconta la necessità di trovare un confronto credibile per la sua vita
Don Bosco infine comprende che per riconoscere i segni e la volontà del Signore ha necessità di un confronto con una persona autorevole e credibile, che lo possa guidare verso le scelte più decisive della sua vita. Ecco quindi che si mette in ricerca, anche se trovarla per lui non sarà per niente facile.
La prima persona che conobbi fu don Eustachio Valimberti, un prete che ricordo con riconoscenza. Mi invitava a servirgli la Messa, e approfittava di quei momenti per darmi ottimi consigli sul modo di comportarmi e di tenermi lontano dai pericoli della città […].
Dell'insegnante, il teologo Pugnetti, ho un ottimo ricordo. Mi trattò con molta gentilezza. Vedendo la mia età e la mia buona volontà, mi aiutava a scuola, mi invitava a casa sua, non risparmiava fatica per farmi riguadagnare il tempo perduto.
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Nei giorni di festa gli alunni si riunivano in una chiesa fissata dall'autorità scolastica. Ascoltavamo alcuni minuti di lettura spirituale e cantavamo l'ufficio della Madonna. Seguiva la Messa con l'omelia. Alla sera, altra riunione con studio del catechismo, recita del vespro e insegnamento religioso. Ognuno doveva accostarsi ai santi Sacramenti della confessione e della Comunione. Perché nessuno li trascurasse, ricevevamo una volta al mese un biglietto che documentava la nostra confessione. Chi non aveva compiuto questo dovere, non era ammesso agli esami finali, anche se era un ragazzo di buona intelligenza.
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In quegli anni scelsi come mio confessore il canonico Meloria della Collegiata di Chieri. Fu l'avvenimento che più mi fece del bene. Ogni volta che mi recavo da lui, mi accoglieva con grande bontà […].
Molti confessori non permettevano di ricevere i Sacramenti così frequentemente. Don Meloria, invece, mi incoraggiò sempre a moltiplicare i miei incontri con il Signore. Se ebbi la forza di non lasciarmi trascinare al male dai compagni peggiori, lo devo a questo suo costante incoraggiamento.
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Mi avviavo al termine dell'anno di umanità. Anche per me era giunto il tempo di pensare seriamente a cosa avrei fatto nella vita.
Il sogno che avevo fatto ai Becchi mi era sempre fisso in mente. Devo anzi dire che quel sogno si era rinnovato più volte, in maniera sempre più chiara. Se volevo credere a quel sogno, dovevo pensare a diventare sacerdote. Avevo anche una certa inclinazione a diventarlo.
Ma non volevo credere ai sogni […].
Riflettei a lungo. Lessi alcuni libri sulla vocazione alla vita religiosa e sacerdotale. Alla fine decisi di entrare tra i Francescani […].
Proprio in questo tempo capitò un fatto che mi mise nell'impossibilità di entrare subito tra i Francescani. Credevo fosse una difficoltà passeggera, invece arrivarono altri ostacoli ancora più grandi.
Decisi allora di confidarmi con il mio amico Luigi Comollo. Ecco il suo consiglio: fare una novena e scrivere una lettera a suo zio parroco.
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