Vino e veleno
Sembrava ci fosse una congiura segreta contro di me, ordita dai protestanti o dalla massoneria. Racconterò in breve altri fatti.
Una sera, mentre ero in mezzo ai ragazzi a fare scuola, due uomini vennero a chiamarmi in fretta: all'osteria del Cuor d'Oro c'era un moribondo. Ci andai subito, ma volli essere accompagnato da alcuni dei giovani più grandi.
- Non occorre che disturbi i suoi allievi - mi dissero. - La condurremo dal malato e poi la riaccompagneremo a casa. La persona malata probabilmente non gradirà la presenza di estranei.
- Non preoccupatevi - risposi. - Questi giovani faranno una breve passeggiata e si fermeranno ai piedi della scala mentre io confesserò il malato.
Giunti però alla casa del Cuor d'Oro mi dissero:
- Entri un momento. Si riposi un istante. Intanto andiamo ad avvertire il malato del suo arrivo.
Mi condussero in una stanza a pian terreno, dove parecchi buontemponi, dopo aver fatto cena, stavano mangiando castagne. Mi accolsero con gesti e parole di grande ammirazione. Vollero che mi servissi e mangiassi con loro qualche castagna. Rifiutai, dicendo che avevo appena finito la mia cena.
- Almeno berrà un bicchiere del nostro vino - protestarono. - Le piacerà, viene dalle parti di Asti.
- Non me la sento. Non bevo mai fuori pasto. Mi farebbe male.
-Un sorso non fa male a nessuno.
« Deve bere per amore o per forza »
Versarono vino per tutti, ma giunti a me, uno si recò a prendere una bottiglia diversa. Era evidente il loro disegno malvagio. Tuttavia presi il bicchiere in mano, dissi « Salute », ma invece di bere lo rimisi sulla tavola.
- Non faccia questo! è un dispiacere! - disse uno.
- è un insulto - aggiunse un altro. - Non può rifiutare. - Ma io non ho voglia di bere.
- Bisogna che beva a qualunque costo!
Ciò detto, uno mi bloccò la spalla sinistra, un altro la spalla destra.
- Non possiamo tollerare questo insulto. Deve bere per amore o per forza.
- Se volete assolutamente che beva, lasciatemi almeno libere le braccia. E siccome io non posso bere, lo darò a uno dei miei giovani, che berrà al mio posto.
Pronunciando queste parole, feci un lungo passo verso la porta, la spalancai e invitai i miei giovanotti ad entrare.
- Non occorre. Andiamo subito ad avvisare il malato. Ma dica a questi giovanotti di tornare in fondo alla scala.
Non avrei certo dato a nessuno dei miei ragazzi quel bicchiere, ma feci tutta quella commedia per evitare che mi facessero bere quel vino avvelenato.
Mi condussero poi in una camera al secondo piano, dove vidi coricato nel letto non un malato, ma quello stesso farabutto che mi era venuto a chiamare. Dopo aver ascoltato alcune mie domande, scoppiò a ridere sgangheratamente, e disse:
- Mi confesserò poi domani mattina. Ce ne tornammo a casa.
Una persona amica. fece delle indagini intorno a quella gente e alle loro intenzioni, e mi riferì che un tale aveva loro pagato una buona cena a patto che mi avessero costretto a bere del vino che aveva preparato per me.
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