Gustiamoci questo episodio: era successo che un cavaliere di Malta, furibondo perché uno dei suoi servitori era stato escluso da un concorso (questo candidato sapeva più corteggiare le donne che commentare il Vangelo!), era entrato bruscamente nello studio del Vescovo e lo aveva insultato con ingiurie e minacce e Francesco era rimasto in piedi, con il cappello in mano. Il fratello del Vescovo, che era presente, gli domandò se mai la collera lo avesse preso qualche volta e il sant’uomo non gli nascose che “allora e spesso la collera ribolliva nel suo cervello come l’acqua che bolle in una pentola sul fuoco; ma che per grazia di Dio, quand’anche avesse dovuto morire per aver resistito con violenza a questa passione, non avrebbe mai detto una parola in suo favore”.
Francesco è chiamato il Santo della dolcezza: egli fu veramente tale.
Ma Francesco non è nato così, cioè con la virtù della dolcezza incorporata.
Dotato di spiccata sensibilità, era facile agli sbalzi di umore e agli scatti d’ira. “Impulsivo e focoso” lo definiscono i contemporanei; insultato “cambiava di colore e il suo volto si infiammava”.
Francesco di Sales era un vero montanaro Savoiardo, abitualmente calmo e dolce, ma capace di terribili collere; un vulcano sotto la neve. Per natura era molto pronto a montare in collera, ma che si impegnava tutti i giorni a correggersi.
Nel 1619 (52 anni e tre anni prima di morire) a Parigi confessava che aveva ancora degli scatti di collera nel suo cuore e doveva tenerne a freno le briglie con due mani! “Ho fatto un patto con la mia lingua di non dire una parola quando fossi stato in collera. Per grazia di Dio ho potuto avere la forza di frenare la passione della collera, cui naturalmente ero incline”.
Ancora un esempio tratto dalla vita di Francesco che ritengo particolarmente significativo: Si stava costruendo il primo monastero in città e i lavori non andavano avanti perché i Domenicani protestavano con gli operai in quanto, secondo loro, non esisteva la distanza richiesta tra i due edifici. Ci sono delle vivaci proteste e il Vescovo accorre per calmare gli animi, ma non viene trattato “secondo il rispetto dovuto alla sua dignità”. Questa calma e dolcezza non piacquero a Giovanna di Chantal, che sbottò dicendo: “La vostra dolcezza non farà che aumentare l’insolenza di queste persone malevole”. “Non sarà, non sarà – rispose Francesco – e poi, Madre, volete che nel giro di un quarto d’ora io distrugga quell’edificio della pace interiore alla cui costruzione sto lavorando da oltre diciotto anni?”
Te lo dico francamente e senz’alcuna eccezione: non adirarti affatto, se è possibile, e non cogliere nessun pretesto per aprire la porta del tuo cuore ai risentimenti; giacché san Giacomo dice recisamente e senza riserve che l’ira dell’uomo non procura per nulla la giustizia di Dio.
Bisogna certo resistere al male e reprimere i vizi di coloro che ci sono affidati, con costanza e coraggio, ma sempre con modi dolci ed animo sereno. Nulla rabbonisce l’elefante infuriato quanto la vista di un agnellino, e nulla attutisce così facilmente la forza dei colpi di cannone quanto la lana. Un rimprovero che proviene da un animo in preda alla passione, sia pure accompagnata da ragione, non è tanto apprezzato quanto quello che ha origine dalla ragione soltanto.
Inoltre, mentre sei tranquilla e senza motivi di collera, fa’ una grande provvista di dolcezza e di benignità, dicendo tutte le tue parole e facendo tutte le tue azioni, piccole e grandi, nel modo più dolce che ti sarà possibile, ricordando che la sposa dei Cantici non ha solamente il miele sulle labbra e sulla lingua, ma anche sotto la lingua, vale a dire in petto; né ha soltanto miele, ma anche latte, perché non solo bisogna avere la parola dolce verso il prossimo, ma anche tutto il petto, ossia l’intimo dell’anima nostra. E non bisogna avere unicamente la dolcezza del miele, aromatico e profumato — ossia la soavità della cortese conversazione con gli estranei — ma anche la dolcezza del latte con quei di casa ed i vicini; nel che gravemente peccano coloro che per strada sembrano angeli, ma in casa sono diavoli.
Uno dei modi migliori di praticare la mansuetudine è quello di praticarla verso noi stessi, senza mai indispettirci contro di noi o le nostre imperfezioni: infatti, sebbene sia giusto che quando commettiamo qualche sbaglio ne proviamo dispiacere e confusione, bisogna tuttavia guardarci dal provare un rincrescimento acre e stizzoso, irritato e dispettoso. Nel che sbagliano grandemente molti, i quali, dopo esser montati in collera, si indispettiscono di essersi indispettiti, si inquietano di essersi inquietati, si adirano di essersi adirati; in tal modo mantengono il loro cuore totalmente schiavo della collera, e sebbene la seconda collera sembri distruggere la prima, non serve in realtà che da spiraglio e da passaggio per una nuova collera alla prima occasione che si presenterà; inoltre queste collere, stizze e malumori contro se stessi tendono all’orgoglio e non hanno altra causa se non nell’amor proprio, che si turba e s’inquieta vedendoci imperfetti.
Bisogna dunque avere delle nostre colpe un disgusto calmo, sereno e fermo; infatti, come un giudice punisce molto meglio i malvagi quando emette le sue sentenze a ragion veduta e con tranquillità di quando agisce sotto l’impulso della passione.
Gesù, tu hai detto: Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle
anime vostre».
Sì, Signore mio e Dio mio, l’anima mia riposa nel vederti rivestito della forma e della
natura di schiavo, abbassarti fino a lavare i piedi dei tuoi apostoli.
Ricordo ancora le tue parole: «Vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come ho
fatto io. Il discepolo non è più del Maestro... Se voi comprendete ciò, sarete beati
mettendolo in pratica».
Le comprendo, Signore, queste parole uscite dal tuo cuore mansueto e umile.
Le voglio mettere in pratica con l’aiuto della tua grazia...
Tu però, o Signore, conosci la mia debolezza: ogni mattino prendo l’impegno di
praticare l’umiltà e alla sera riconosco che ho commesso ancora ripetuti atti di orgoglio.
A tale vista sono tentata di scoraggiamento, ma capisco che anche lo scoraggiamento è
effetto di orgoglio.
Voglio, mio Dio, fondare la mia speranza soltanto su di te. Poiché tutto puoi, fa’ nascere
nel mio cuore la virtù che desidero.
Per ottenere questa grazia dalla infinita tua misericordia ti ripeterò spesso:
«Gesù, mite e umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo».
Santa Teresa di Lisieux
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