Ormai si può scorgere la vera portata della tendenza moderna. Il movimento della Chiesa al di là dei suoi confini verso i fratelli cristiani, giudei, non cristiani, potrebbe essere il movimento della autoespropriazione di Dio e di Cristo.
del 01 gennaio 2002
Ormai si può scorgere la vera portata della tendenza moderna. Il movimento della Chiesa al di là dei suoi confini verso i fratelli cristiani, giudei, non cristiani, potrebbe essere il movimento della autoespropriazione di Dio e di Cristo. Lo sarebbe se i cristiani non aspirassero a facilitazioni per sé, o ad approcci diplomatici come facilitazioni per gli altri, ma alla cosa più difficile: l’esposizione di sé indifesa, disinteressata. Questo è il compito fine a se stesso, mentre tutti gli altri compiti (ad esempio per la disciplina gerarchica della Chiesa) sono relativi in ordine ad esso: buoni, in quanto promuovono il compito principale, non buoni in quanto lo oscurano. Una Chiesa disinteressata cerca soltanto l’onore del suo Signore e non il proprio, perché anche il Signore non ha mai cercato il proprio onore, bensì quello del Padre. Essa cerca nella Bibbia le parole che le insegnano l’obbedienza più completa. Nella sua liturgia non cerca la soddisfazione della comunità, bensì l’adorazione del suo Signore e l’investitura della sua forza per il proprio compito. Nei rapporti con i cristiani separati cerca di osservare il comandamento pressante del suo maestro: unione come amore. Cerca nel mondo profano che le sta attorno la sua missione: essere lievito che agisce scomparendo.
Nelle sue aperture moderne essa non cerca di giustificare se stessa, anzi proprio in questi movimenti si sentirà umiliata nel più profondo, perché tutte queste cose elementari le sono venute in mente incredibilmente tardi, perché è stata così sorda agli incitamenti ed ai suggerimenti non soltanto dello Spirito santo, ma anche di tutto un mondo di protestanti, di umanisti e di comunisti. E soprattutto si sente piccola nel suo primo dialogo, ancora balbettante, con i giudei. Come deve scegliere almeno le parole, dopo tutto ciò che è accaduto da quasi duemila anni? Forse può nutrire la speranza che i dissidi tra i cristiani possano essere accomodati in gran parte con una umiltà sufficientemente genuina. Ma come sta di fronte ai fratelli giudei? Forse può fare un’ampia confessione di colpa, partendo dalla inosservanza di molti enunciati della Scrittura: che Dio riserva a sé il giudizio, che la Chiesa è innestata sul santo tronco di Israele ed i cristiani devono star molto attenti, perché se Dio non ha avuto riguardo per i nobili rami naturali, la stessa cosa potrebbe capitare ancor più facilmente per i rami selvatici semplicemente innestati; infine che tutto Israele sarà salvato, perché le promesse di Dio sono senza pentimenti. Il raffronto Israele-Chiesa è fondato sulla stessa Scrittura e conseguentemente non è lasciato all’arbitrio della Chiesa. La sua stessa esistenza è. in un senso misterioso, dialettica con Israele, il dissidio proviene dal centro del fatto salvifico e la sua eliminazione spetta al giudice del mondo. Ma ciò per la Chiesa significa che essa rimane, in un modo che le è imperscrutabile, relativa ad Israele, come Israele è relativo ad essa. Essa quindi, da sola, non è semplicemente il tutto, non è semplicemente il regno di Dio. «Non nutrire quindi sentimenti di alterigia, trepida piuttosto», le grida l’apostolo (Rom. 11,20).
In nessun punto la Chiesa è tanto indirizzata all’umiltà come qui. Viene spontaneo il termine vergogna, e non ci si deve sforzare di liberarsene. Ciò non farebbe che peggiorare le cose. Nel confessare, si è sempre vergognosi. E peccati così evidenti, commessi dinanzi a tutta la storia del mondo, non si possono neppure cancellare dalla memoria della storia con una confessione. Perciò sopportiamo; non per virtù, ma perché così stanno senz’altro le cose. E per il singolo cristiano non c’è la speranza, come abbiamo già detto all’inizio, di scindere le proprie responsabilità, perché si tratta della nostra Chiesa. Ai protestanti, che volentieri scagliano pietre e nondimeno vogliono chiamarsi cristiani, bisognerebbe qui ricordare che la storia della cristianità prima della separazione è storia loro altrettanto che nostra, di noi cattolici; perché la Chiesa non incomincia ad esistere soltanto nel sec. XVI.
La Chiesa umiliata dovrebbe trovare più facilmente la via verso gli umiliati ed offesi; verso coloro che vengono trascurati, perché non mette conto, o ben poco, fare spese sproporzionate per miglioramenti meschini. L’inutilità, come fu il segno della esistenza terrena di Gesù Cristo, così dovrebbe anche essere il segno della Chiesa terrena. Quanto più la civiltà mondana si organizza ed intraprende le sue crociate contro la povertà, le epidemie, la fame, l’ignoranza, tanto più i cristiani dovrebbero partecipare a queste imprese e promuoverle come uomini tra uomini. Gli stati e le unioni di stati acquisteranno un vantaggio sempre più chiaro sulla Chiesa per quanto riguarda la disponibilità di mezzi; anche per questo la Chiesa viene rimandata agli spazi intermedi, che sempre rimangono, tra imprese ben organizzate, redditizie; occupando tra gli ultimi l’ ‘ultimo posto’ del vangelo (Lc. 14,10) e degli apostoli (1Cor. 4,9), essa si pone nel posto che le è assegnato, riservato e che le spetta. Ciò non significa che, per mezzo dei suoi membri in tutte le organizzazioni non cristiane, essa non cerchi di diffondere il più possibile, al di là dello spirito umanitario, il suo spirito particolare di dedizione umile, disinteressata, fin nei più alti uffici e responsabilità della umanità, che vengono amministrati imparzialmente anche e proprio quando una suprema dimenticanza di sé rende possibile tale imparzialità, anche in lotte di potenza di particolari gruppi, frazioni, nazioni, di cui c’è da sperare che il crescente orizzonte planetario promuoverà l’imparzialità dei loro punti di vista e argomenti.
Se in questi settori delle cose mondane si deve tener conto di una evidente evoluzione verso l’universale, per l’idea della Chiesa non c’è possibilità di evoluzione. La sua idea ed il fulcro della sua realtà le sono già stati dati pienamente con l’avvio, ed essa può sempre ritornare alla sua origine per costatare, in base ad essa, il suo colpevole declinare per mettere in luce altre cose che finora non è stata abbastanza diligente nello sviluppare. Ciò che in senso mondano apparirebbe progresso e sviluppo, in essa diverrebbe subito sospetto di essere fuga dalla essenza che leè propria. Grandi aumenti numerici, onori, ricchezze, posizioni di potenza culturale e politica provocherebbero necessariamente in essa disagio ed il timore di essere stata dimenticata da Dio. La sua posizione rimane paradossale, perché solo come piccolo gregge, essa può esercitare una grande azione, solo come lievito concentrato può ‘far lievitare tutta la farina’, e naturalmente soggiace di continuo alla tentazione di prendere questa ‘grande azione’ in ‘tutta la farina’ come pietra di paragone della genuinità del stia operare. È tentazione, in quanto l’azione della Chiesa in ultima analisi non può affatto essere misurata. Ciò che è più essenziale nelle sue forze: la preghiera, la sofferenza, l’obbedienza di fede, la disponibilità (forse non sfruttata), l’umiltà, sfuggono ad ogni statistica. Su ciò contano giustamente quelle comunità secolari (instituta saecularia), che rinunciano ad un apostolato diretto (statisticamente controllabile) a favore di una semplice presenza nel mondo scristianizzato (présence au monde). Altre comunità, che con tutti i mezzi aspirano a posizioni di forza mondana-culturale, con l’idea di aiutare in tal modo la Chiesa, semplicemente la danneggiano, e non senza ragione rendono odiosi se stessi e la Chiesa.
Se qui si parla continuamente di ‘Chiesa’, ogni cristiano deve sapere che con essa è inteso egli stesso. San passati i tempi in cui i laici potevano scaricare la loro responsabilità sul clero. Il clero diviene sempre più chiaramente l’organizzazione ausiliaria, che deve educare e conservare il popolo di Dio (laos Theou) nel giusto spirito cristiano. A tale scopo ha ricevuto le sue grazie particolari di ministero, di magistero e di governo. A nessun laico oggi è più possibile, accusando, iniziare una frase con la Chiesa dovrebbe…», senza domandare nello stesso tempo a se stesso se fa tutto ciò che dovrebbe. Ma, per esprimersi così, deve in ogni caso anche accertarsi se, così parlando, parla nello Spirito santo della Chiesa quale sposa di Cristo e comunità dei santi, o non piuttosto per un soggettivo, non caritatevole, e per ciò assolutamente non ecclesiale, puro spirito di critica. Non è possibile che il cristiano voglia esigere e stare a guardare come la Chiesa viene espropriata ed umiliata, senza veder compiersi questo salutare processo nella sua esistenza.
Se, concludendo, ci si volesse chiedere quale gerarchia nelle forme di vita si debba stabilire affinché l’essenza della Chiesa appaia in piena luce per tutti, si dovrebbe porre al vertice lo ‘stato’ di coloro che nel popolo di Dio hanno ricevuto in dono ed hanno scelto l’obbedienza di fede, la povertà e la feconda ‘sterilità’ mariana come loro forma caratteristica, poi il popolo di Dio nella sua totalità, ed infine i suoi servi ufficiali (come servi servorum). Ma poiché quest’ordine, oggettivamente giusto, tra uomini peccatori corre continuamente il rischio di essere frainteso come un ordine di onore, (così si usa di solito incominciare con il clero e porre in ultimo la forma piena di realizzazione), lo si può benissimo invertire, a maggior ragione in quanto a coloro che stanno all’ultimo posto spetta realmente il primo posto.
Hans Urs Von Balthasar
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