del 01 gennaio 2002
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parte seconda. IL FIGLIO MAGGIORE.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: «È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
4.Rembrandt e il figlio maggiore.
Durante le ore trascorse all'Ermitage, guardando in tutta tranquillità il Figlio prodigo, non ho mai dubitato, nemmeno per un momento, che l'uomo in piedi alla destra della pedana su cui il padre abbraccia il figlio che ha fatto ritorno, fosse il figlio maggiore. Il modo in cui sta li a guardare il grande gesto di benvenuto non lascia spazio a dubbi su chi Rembrandt abbia voluto ritrarre. Ho preso molte annotazioni per descrivere questo osservatore distante, dallo sguardo duro, e vi ho visto tutto ciò che Gesù ci dice sul figlio maggiore.
Eppure la parabola afferma chiaramente che il figlio maggiore non è ancora a casa quando il padre abbraccia il figlio perduto mostrandogli la sua misericordia. Anzi, la storia narra che quando il figlio maggiore finalmente rientra dal lavoro, la festa per il felice ritorno a casa del fratello è già in pieno fervore.
Mi stupisco con che facilità mi sia sfuggito il divario tra il quadro di Rembrandt e la parabola, dando perscontato che Rembrandt nel suo ritratto del figlio prodigo abbia voluto dipingere entrambi i fratelli.
Quando sono tornato a casa e ho cominciato a leggere tutti gli studi storici sul dipinto, mi sono subito reso conto che molti critici erano molto meno sicuri di me sull'identità dell'uomo alla destra della tela. Alcuni lo descrivono semplicemente come un uomo anziano e altri dubitano persino che l'abbia dipinto lo stesso Rembrandt.
Ma poi un giorno, più di un anno dopo la mia visita all’Ermitage, un amico, Ivan Dyer, con il quale avevo discusso spesso del mio interesse per il dipinto del Prodigo, mi spedì una copia di The Religious Significance of Rembrandt's Return of the Prodigai Son [Il significato religioso del ritorno del figlio prodigo di Rembrandt] di Barbara Joan Haeger. Questo brillante studio, che situa il quadro nel contesto della tradizione visiva e iconografica, del tempo di Rembrandt, ha richiamato alla memoria il figlio maggiore del dipinto.
La Haeger mostra che, nei commenti e nei dipinti biblici del tempo di Rembrandt, la parabola del fariseo e del pubblicano e la parabola del figlio prodigo sono strettamente collegate. Rembrandt segue quellatradizione. L'uomo seduto che si batte il petto e guarda il figlio che torna è un personaggio che rappresenta i peccatori e i pubblicani, mentre l'uomo in piedi che guarda il padre in modo per così dire enigmatico è il figlio maggiore che rappresenta i farisei e gli scribi. Comunque, ponendo il figlio maggiore nel dipinto come il testimone più in evidenza, Rembrandt va non solo oltre il testo letterale della parabola, ma anche oltre la tradizione pittorica del suo tempo. Così facendo, si attiene, come dice la Haeger, «non alla lettera ma allo spirito del testo biblico».
Le conclusioni di Barbara Haeger sono molto più di una felice conferma della mia prima intuizione. Mi aiutano a vedere Il ritorno del figlio prodigo come un'opera che riassume la grande battaglia spirituale e le grandi scelte che questa battaglia richiede. Dipingendo non soltanto il figlio più giovane tra le braccia del padre, ma anche il figlio maggiore che può ancora scegliere o non scegliere l'amore che gli viene offerto, Rembrandt mi presenta «il dramma interiore dell'anima» - il suo come il mio. Proprio come la parabola del figlio prodigo racchiude il nucleo del messaggio evangelico e chiama i lettori a fare le proprie scelte di fronte ad esso, così anche il dipinto di Rembrandt riassume la sua lotta spirituale e invita coloro che lo osservano a decidere personalmente della loro vita.
Perciò gli spettatori all'interno del dipinto di Rembrandt ne fanno un'opera che impegna in modo molto personale lo spettatore all'esterno. Quando, nell'autunno del 1983, vidi per la prima volta il poster che illustrava la parte centrale del dipinto, sentii subito che ero chiamato personalmente a qualche cosa. Ora che conosco meglio l'intero dipinto e soprattutto il significato del testimone più in risalto sulla destra, sono più che mai convinto dell'enorme provocazione spirituale che questo quadro rappresenta.
Osservando il figlio più giovane e riflettendo sulla vita di Rembrandt, mi è stato chiaro che Rembrandt deve aver compreso quel giovane in modo del tutto personale. Quando dipingeva Il ritorno del figlio prodigo, aveva vissuto una vita fatta di grande fiducia in se stesso, di successo e di fama, seguita poi da molte perdite dolorose, delusioni e fallimenti. Attraverso queste vicende si era spostato dalla luce esterna alla luce interiore, dalla descrizione di eventi esterni a quella di significati interiori, da una vita affollata di cose e persone a una più segnata dalla solitudine e dal silenzio. Con l'età era cresciuto in interiorità e si era fatto più tranquillo. Il suo, insomma, era stato un ritorno spirituale a casa.
Ma anche il figlio maggiore è parte dell'esperienza esistenziale di Rembrandt e molti biografi moderni non sono infatti teneri con la visione romantica della sua vita. Essi sottolineano che l'artista era molto più succube alle richieste dei suoi committenti e al suo bisogno di denaro di quanto si creda generalmente, che i suoi soggetti spesso sono più il risultato delle mode imperanti del tempo che della sua visione spirituale, e che i suoi fallimenti sono in gran parte dovuti sia al suo carattere ipocrita e odioso che alla mancanza di apprezzamento da parte del suo ambiente.
Diverse nuove biografie vedono in Rembrandt più un intrigante egoista e calcolatore che un uomo alla ricerca della verità spirituale. Sostengono che molti dei suoi dipinti, per quanto splendidi, sono molto meno spirituali di quanto sembrino. La mia reazione iniziale a questi studi demitizzanti su Rembrandt è stata come di chi subisce uno shock. In particolare, dopo la lettura della biografia di Gary Schwartz - che lascia poco spazio alla figura idealizzata di Rembrandt - mi sono addirittura chiesto se qualcosa che somigli a una "conversione" abbia mai avuto luogo nella sua vita. Risulta molto chiaro dai numerosi studi recenti sui rapporti di Rembrandt con i suoi committenti, coloro cioè che ordinavano e compravano le sue opere, come anche con la famiglia e con gli amici, che fosse una persona con cui era molto difficile andare d'accordo. Schwartz lo descrive come una «persona aspra e vendicativa che usava tutte le armi, consentite o meno, per attaccare coloro che si venivano a trovare sulla sua strada».
In verità, era risaputo che Rembrandt agisse spesso in modo egoista, arrogante e persino vendicativo. Ciò risulta con molta evidenza da come trattò Geertje Dircx, con la quale aveva vissuto per sei anni. Si servì del fratello di Geertje, cui era stata affidata la procura dalla stessa Geertje, per «raccogliere testimonianze dai vicini contro di lei, e farla poi ricoverare in manicomio». Cosa che avvenne puntualmente. Quando più tardi sembrò che potesse essere dimessa, «Rembrandt assoldò un agente per raccogliere deposizioni contro di lei ed essere sicuro che rimanesse rinchiusa».
Durante il 1649, l'anno in cui ebbero inizio questi tragici eventi, Rembrandt ne fu così coinvolto che non produsse alcuna opera. A questo punto emerge un altro Rembrandt, un uomo pronto al rancore e al desiderio di vendetta e capace di tradimento.
Questo Rembrandt è difficile da affrontare. Non è difficile provar simpatia per un personaggio lussurioso che si abbandona ai piaceri edonistici del mondo, poi si pente, torna a casa e diventa una persona molto spirituale. Ma apprezzare un uomo che nutre profondi risentimenti, che spreca molto del suo tempo prezioso in cause meschine e si aliena di continuo le persone con il suo comportamento arrogante, è molto più difficile. Tuttavia, per una mia migliore comprensione del personaggio, debbo riconoscere che anche quella costituì una parte della sua vita, parte che non posso ignorare.
Rembrandt è nel contempo il figlio maggiore della parabola e il figlio minore. Quando, durante gli ultimi anni della sua vita, ha dipinto entrambi i figli nel suo Ritorno del figlio prodigo, aveva vissuto una vita cui non erano estranei né lo smarrimento del figlio minore né lo smarrimento del figlio maggiore. Entrambi avevano bisogno di guarigione e di perdono. Entrambi avevano bisogno di tornare a casa. Entrambi avevano bisogno dell'abbraccio di un padre che perdona. Ma dalla storia stessa, come pure dal dipinto di Rembrandt, è evidente che la conversione più difficile da attuare è la conversione di colui che sta a casa.
Henri. J.M. Nouwen.
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