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5° DOMENICA di Quaresima «Io sono la risurrezione e la vita!»

Vita e morte. Su questo ci invita a riflettere la liturgia di domenica prossima. Mi viene in mente un passo nell'ultima enciclica di papa Benedetto XVI, “Spe Salvi”, che descrive la vita in questi termini: “La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada?


5° DOMENICA di Quaresima «Io sono la risurrezione e la vita!»

da Teologo Borèl

del 06 marzo 2008

Letture:  

Ezechiele 37, 12-14           

Romani 8, 8-11                       

Giovanni 11, 1-45

 

1.  Vita e morte. Su questo ci invita a riflettere la liturgia di domenica prossima. Mi viene in mente un passo nell’ultima enciclica di papa Benedetto XVI, “Spe Salvi”, che descrive la vita in questi termini: “La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca.“         Un viaggio sul mare.

Nessuno di noi ha chiesto di venire al mondo. Ha ricevuto semplicemente la vita e, con essa,  alcuni strumenti dalla propria famiglia e dalla società che lo hanno aiutato a crescere, a orientarsi, nel tentativo di capire come impostare il viaggio, in base anche alle proprie doti; e poi entusiasmo e amore per affrontarlo. Ma l’abisso che ci circonda rimane comunque un mistero non del tutto esplorabile e comprensibile. E il valore della vita spesso ci sfugge: il significato del bene e del male; la sofferenza che ci circonda e che ci tocca personalmente, quella che subiamo e quella di cui siamo responsabili. “Un mare spesso oscuro e in burrasca,” che alla fine inghiotte ogni vita nel buio dei suoi fondali. “Al cospetto della morte, la questione circa il significato della vita si rende inevitabile”, scrive ancora il Papa.  “ La morte ci costringe a chiederci quale sia il valore delle nostre azioni, del nostro impegno, della nostre scelte; di noi stessi, e di ogni uomo . Perché ogni bene, con la vita, sembra dileguarsi. Ogni male, ogni ingiustizia, ogni sofferenza sembra invece trovare nella morte conferma definitiva, soprattutto agli occhi di chi ha sperimentato con particolare intensità la fatica di vivere, il peso del limite e del dolore, del non senso”.

 

2.  “Io sono la risurrezione e la vita”.  Queste parole di Gesù arrivano a noi attraverso i secoli.

 

Ø     A noi che, come la samaritana di due domeniche fa, lo abbiamo incontrato al pozzo della nostra ricerca di “acqua viva”, di felicità, di verità.

Ø     A noi che, come il cieco nato di domenica scorsa, abbiamo ricevuto il dono di “vedere l’invisibile”, cioè Lui, di riconoscerlo come Dio, di credere.

Ø     A noi che siamo stati illuminati e “attirati a Lui”- secondo le parole misteriose di Gesù ai suoi discepoli nei discorsi dell’addio: “Nessuno viene  a me se il Padre non lo attira”. 

Ø     A noi che abbiamo ricevuto questo dono per diventare “sentinelle dell’invisibile” (secondo un’espressione di Giovanni Paolo II) nei confronti di coloro che ancora non vedono.

Ø     A noi, nel vangelo di domenica prossima, Gesù dice: “Io sono la risurrezione e la vita”. Come fece con Marta e Maria, rendendo vere le sue parole con la risurrezione del fratello Lazzaro. Ci chiama a credere proprio questo:   il senso della vita, è Lui!

 

In lui è racchiusa ogni nostra aspirazione a una vita vera e piena; in Lui è il segreto, la forza della vita. E come ci proverà questo? Come potrà entrare nelle nostre vite, negli spazi di non senso e di dolore e darvi significato? Come potrà illuminare anche la morte? Il Papa parla di queste ultime tre domeniche di quaresima, di questo cammino che stiamo percorrendo verso la Pasqua, come di un “itinerario battesimale”. Lo ha detto nell’Angelus di domenica scorsa, e ha spiegato: “Acqua, luce, vita: sono simboli del Battesimo, sacramento che 'immerge' i credenti nel mistero della morte e resurrezione di Cristo, liberandoli dalla schiavitù del peccato e donando loro la vita eterna.”

 

3. E’ attraverso il battesimo, quindi, che abbiamo ricevuto in dono la vita di Gesù, il suo Spirito. La sua vita donata sulla croce, dopo la strada della passione, nell’ultimo respiro (ruah, in ebraico, significa respiro e spirito), il respiro di Lui che è risorto e vive per sempre.

Anche Gesù si era sottoposto al battesimo, nel Giordano, all’inizio della sua vita pubblica. I Padri della Chiesa hanno visto nella sua immersione nell’acqua l’inizio della sua missione; quando, cioè, ha cominciato a caricarsi dei nostri peccati, scendendo nella nostra morte. E nel suo emergere dalle acque, la vittoria che avrebbe riportato in croce sul peccato e sulla morte per sollevarci in alto con lui, oltre il mare del peccato e del non senso, fino al cielo, porta verso la vita vera e piena, la vita eterna. Tra questi due movimenti- immersione e risalita- è il significato anche del nostro battesimo. Siamo scesi nella Sua morte, attraverso l’acqua del sacramento, per risalire con Lui nella nuova vita di risorto, quella donata nello Spirito e che vince la morte.

“Io sono la risurrezione e la vita”. E’ morendo che Gesù ha potuto donarci la sua vita. Ed è nel battesimo che la sua vita  è arrivata fino a noi. Per questo può raggiungerci nella solitudine e nella tomba della mancanza di vita, in cui ci ritroviamo sotto il peso del dolore e del limite. Perché  è già sceso, una volta per sempre, e ha attraversato per me la solitudine e la sofferenza, non lasciandomi sola. Ha portato su di sé il peso dei miei errori, del male commesso, perché in nessun luogo possa essere lontana da Lui. Ha attraversato anche l’estrema solitudine, quella in cui un giorno nessuno potrà raggiungermi, la mia morte.

Nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito di Gesù, Figlio di Dio, e, in Lui, siamo diventati anche noi figli di Dio. Fratelli di Gesù. Per questo san Paolo scrive nella seconda lettura: ”Lo Spirito di Dio abita in voi”. E aggiunge: “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.”

 

Appartenere. Mi viene in mente come nel dialetto dei miei nonni materni questo termine indica i legami di parentela: “gli appartiene” vuol dire: “è della sua famiglia, è parente”. Appartenere ed essere familiari, figli. Da una parte un verbo che può essere sinonimo di dominio (e guarda caso san Paolo scrive anche, nella seconda lettura: “Voi siete sotto il dominio dello Spirito”). Dall’altro una condizione, quella di essere figli, che indica parità, consanguineità.  In latino i figli si indicavano col termine “liberi”. Da qui la parola libertà (questo l’ho imparato nel corso di teologia - chi ha partecipato con me forse ricorderà questa spiegazione nelle lezioni di don Roberto Carelli…).

Appartenenza e libertà. Essere figli di Dio, cioè ricevere la nostra vera libertà. Appartenere a Dio, essere sotto “il dominio dello Spirito” significa vivere la vita nuova che Gesù ci ha donato, quella vita per cui - come scrive ancora san Paolo nella stessa lettera- “il vostro corpo è morto per il peccato”. E’ morto sulla croce, con Gesù, nel nostro battesimo. E da Lui riceve nuova vita attraverso lo Spirito.

 

4. Questo è il dono della Pasqua, Eucaristia in cui si rinnova il sacrificio in croce di Gesù e in cui ci viene donato il suo Spirito  perché possiamo essere liberati dalla schiavitù della morte e avere accesso alla vita vera e piena, che sarà 'un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia'. La vita vera che dà senso a questa e che illumina anche le situazioni più pesanti, gli inferni e le prigioni in cui possiamo venire a torvarci; e su tutti, la morte.

Come è accaduto a tanti cristiani che sono stati perseguitati a causa della fede e hanno saputo continuare a sperare anche nelle condizioni più terribili, mantenendo fisso lo sguardo su Gesù. 

 

q      Come Massimiliano Kolbe nel campo di Aushwitz, che ha dato la sua vita al posto d quella di un prigioniero.

q      Come il cardinale vietnamita Van Thuan, rinchiuso in una prigione per tredici anni, in una condizione di disperazione apparentemente totale, che ha saputo trarre forza dalla preghiera e dall’Eucaristia che celebrava in una mano, con una goccia di vino.

q      Come Sophie Scholl, la studentessa tedesca uccisa a ventuno anni dai nazisti perché a capo di un movimento di opposizione al regime. (L’avevo già ricordata in un’altra riflessione, in occasione della festa di Cristo Re dell’anno scorso, quando don Gianni mi aveva chiesto di commentare le letture.) Avevo visto da poco il film che ne racconta la storia. Ancora adesso, a distanza di mesi, ho negli occhi la grande dignità che traspare dalla figura della protagonista nelle scene che la ritraggono nello squallore della cella e durante gli interrogatori umilianti, fino al patibolo. E’ come una regalità, la sua, che non viene scalfita dalla paura e dalle minacce. Regalità. Quella di una figlia di Dio. Figlia di re, figlia del Re dell’universo, anche se chiusa in una prigione. A Lui si rivolgeva nelle sue preghiere, chiamandolo proprio così: “Mio buon Padre”, come una figlia, come ognuno di noi può fare, in virtù del Battesimo. Ed è in Lui che ha trovato la forza di non tradire i suoi amici, rifiutandosi di svelare i nomi degli altri componenti del movimento eversivo. Affrontando la condanna a morte in nome della libertà e della vita vera e piena che solo Gesù poteva darle, perché è la vita stessa, quella che vince anche la morte.        Studentessa universitaria

 

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