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5. Ritorno con mamma Margherita

- Mamma - le dissi un giorno -, dovrei andare ad abita¬≠re a Valdocco. Dovrei prendere una persona di servizio. Ma in quella casa abita gente di cui un prete non può fidarsi. L'unica persona che mi può garantire dai sospetti e dalle malignità siete voi


5. Ritorno con mamma Margherita

da Don Bosco

del 09 maggio 2011

 

Tutta la fortuna in un canestro      Avevo passato alcuni mesi di convalescenza in famiglia. Ora ero deciso a tornare tra i miei amati ragazzi. Ogni giorno ce n'era qualcuno che veniva a trovarmi o che mi scriveva. Mi diceva­no: « Faccia presto! ».     Ma dove andare ad abitare, ora che ero stato licenziato dal Rifugio? Con quali mezzi potevo sostenere un'opera che ogni giorno costava più fatiche e più denaro? Le persone che lavo­ravano per l'Oratorio, e io stesso, dovevamo pur vivere.In quel tempo si erano rese libere due stanze in casa Pinar­di, e le feci affittare per me e per mia madre.- Mamma - le dissi un giorno -, dovrei andare ad abita­re a Valdocco. Dovrei prendere una persona di servizio. Ma in quella casa abita gente di cui un prete non può fidarsi. L'unica persona che mi può garantire dai sospetti e dalle malignità siete voi.Essa capì la serietà delle mie parole, e rispose:- Se credi che questa sia la volontà del Signore, sono pron­ta a venire.     Mia madre faceva un grande sacrificio. Non era ricca, ma in famiglia era una regina. Piccoli e grandi le volevano bene e le ubbidivano in tutto.Dai Becchi spedimmo alcune cose necessarie per preparare le stanze. Le altre poche masserizie vi furono trasportate dalla camera che avevo abitato al Rifugio. Prima di partire, mia ma­dre riempì un canestro di biancheria e di oggetti necessari. Io presi il breviario, un messale, alcuni libri e alcuni quaderni. Que­sta era tutta la nostra fortuna.     Siamo partiti a piedi dai Becchi. Abbiamo fatto tappa a Chie­ri, e la sera del 3 novembre 1846 siamo arrivati a Valdocco. A vedere quelle camere sprovviste di tutto, mia mamma sorrise e disse:- Ai Becchi avevo tante preoccupazioni per far andare avan­ti la casa, per comandare ciò che ognuno doveva fare. Qui sarò molto più tranquilla. Il corredo da sposa della mamma     Ma come vivere, che cosa mangiare, come pagare l'affitto? E questo non era tutto: molti ragazzi mi domandavano ogni mo­mento pane, scarpe, camicie, abiti. Ne avevano assoluto biso­gno per presentarsi al lavoro.Abbiamo fatto arrivare da casa un po' di vino, frumento, granturco, fagioli. Per far fronte alle prime spese abbiamo ven­duto una vigna e alcuni campi. Mia madre si fece mandare il suo corredo da sposa che fino allora aveva custodito gelosamen­te. Alcune sue vesti servirono a fare pianete. Con la biancheria si fecero tovaglie d'altare e indumenti che servirono per la cele­brazione della santa Messa. Tutto passò per le mani di mada­ma Gastaldi,' che fin d'allora prendeva a cuore le necessità dell'Oratorio.Mia mamma possedeva pure una piccola collana d'oro e al­cuni anelli. Li vendette per comprare oggetti necessari alla chiesa. Una sera mia madre, che era sempre di buon umore, si mise a cantare:« Guai al mondo - se ci sente forestieri - senza niente». Tante classi e poco spazio     Dopo le prime sistemazioni domestiche, presi in affitto un'al­tra stanza. La trasformai in sacrestia. Non avevo ambienti per la scuola, e per qualche tempo feci lezione in cucina o in came­ra mia. Ma fra gli alunni c'erano anche fior di monelli, che gua­stavano o mettevano sottosopra tutto. Quando dividemmo le classi, le sistemammo nella sacrestia e nelle varie parti della chie­sina. Ma mentre una classe leggeva ad alta voce, un'altra can­tava in coro, in una terza arrivavano ritardatari percorrendo tutta la chiesa. Era un disturbo continuo.     Alcuni mesi dopo riuscii ad affittare due altre stanze, e la scuola serale poté funzionare meglio.Come ho già detto, nell'inverno 1846-47 le nostre scuole se­rali diedero ottimi risultati. Avevamo in media 300 alunni ogni sera. Le materie che insegnavamo erano lingua e aritmetica, ma anche musica e canto, che tra noi furono sempre fiorenti. Nota di don Bosco (scritta al termine di questo capitoletto)      Si tenga presente che le prime scuole serali aperte in Torino furono quelle di casa Moretta, nel novembre 1845. In tre classi non potevamo ospitare più di 200 alunni. I buoni risultati ot­tenuti ci persuasero a riaprirle l'anno seguente, appena trovam­mo una sede stabile a Valdocco.Fra quelli che ci aiutavano nelle scuole serali, e che prepa­ravano i giovani alla declamazione e al teatro, devo ricordare don Chiaves, don Musso e don Giacinto Carpano.

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