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9. 1848, anno difficile

Mentre si verificava quel pervertimento generale, cercai di dare ospitalità al maggior numero possibile di giovani lavora¬≠tori. Affittai altre stanze e ne ospitai quindici: tutti giovani senza famiglia e in pericolo di mettersi per una cattiva strada.


9. 1848, anno difficile

da Don Bosco

del 09 maggio 2011

  

Un colpo di fucile in cappella Pinardi     In quest'anno la politica e l'opinione pubblica iniziarono un'azione drammatica di cui era difficile prevedere la conclu­sione.Carlo Alberto concesse la Costituzione. Molti pensarono che insieme alla Costituzione veniva concessa la libertà di fare il bene e il male secondo il proprio capriccio. Questa convinzione na­sceva dalla libertà accordata agli ebrei e ai protestanti. « Non c'è più distinzione tra essere cattolici e essere di un'altra reli­gione », si diceva. Questo era vero per ciò che riguardava la vi­ta politica, ma non modificava i doveri religiosi.In quei giorni, una specie di frenesia si diffuse tra i giovani. Si radunavano in vari punti della città, nelle vie e nelle piazze, prendevano d'assalto preti e chiese. Ogni offesa alla religione era considerata « una bella impresa ». Io fui assalito più volte in casa e in strada.     Un giorno, mentre facevo catechismo, un colpo di archibu­gio (= vecchio fucile) entrò per una finestra, mi stracciò la ve­ste tra il braccio e il torace, e andò a fare un largo squarcio nel muro.Un'altra volta, mentre ero in mezzo a una folla di ragazzi, in pieno giorno, un tale che ben conoscevo mi assali con un lungo coltello. Mi salvai per miracolo, fuggendo in camera mia e sbar­rando la porta.Don Borel sfuggì per miracolo a un colpo di pistola. Sfuggì anche ad alcune coltellate assassine un giorno che fu scambiato per un'altra persona. Era difficile calmare e far cambiare idea a quei giovani scatenati.  I luoghi di lavoro diventano pericolosi     Mentre si verificava quel pervertimento generale, cercai di dare ospitalità al maggior numero possibile di giovani lavora­tori. Affittai altre stanze e ne ospitai quindici: tutti giovani senza famiglia e in pericolo di mettersi per una cattiva strada.C'era però una grossa difficoltà. Non avevamo laboratori interni, e i nostri giovani andavano al lavoro a Torino. Questo creava pericoli seri per la loro vita cristiana: i compagni di la­voro, i discorsi che sentivano, quello che vedevano, molte volte distruggevano le convinzioni cristiane che cercavamo di costruire nell'Oratorio.E’ in questo tempo che ho cominciato a fare un discorsetto brevissimo alla sera, dopo le preghiere. Esponevo o rafforzavo qualche verità cristiana che era stata messa in discussione du­rante la giornata.     Ciò che capitava ai giovani lavoratori, capitava anche agli studenti. Non avevamo classi interne, quindi i più avanzati nel­lo studio si recavano dal professor Giuseppe Bonzanino a fre­quentare grammatica, e gli altri dal professor don Matteo Picco a scuola di retorica. Erano scuole ottime, ma nell'andare e nel tornare anche gli studenti incontravano le loro difficoltà.Solo nell'anno 1856 potemmo avere tutte le scuole e i labo­ratori nella casa dell'Oratorio, con grande vantaggio.  Scodellare la minestra e dire una buona parola     Nell'anno 1848 ci fu un tale pervertimento di idee e di azio­ni che non potevo più nemmeno fidarmi dei collaboratori do­mestici. Ogni lavoro casalingo doveva quindi essere fatto da me e da mia madre. Toccava a me fare cucina, preparare la tavola, spazzare la casa, spaccare la legna, confezionare camicie, cal­zoni, asciugamani, lenzuola, e rammendarli quando si strappa­vano. Sembrava una perdita di tempo, e invece trovai in quelle attività una possibilità grande di aiutare i giovani nella loro vi­ta cristiana. Mentre distribuivo il pane, mentre scodellavo la mi­nestra, potevo con calma dare un buon consiglio, dire una buona parola. I primi Esercizi Spirituali e perché     Sentivo sempre più necessità che qualcuno mi desse una mano nella gestione della casa e nell'aprire scuole all'Oratorio. Con questo pensiero cominciai a invitare qualcuno a passare le ferie con me nella casa dei Becchi. Altri li invitavo a tenermi compa­gnia a pranzo o alla sera. Venivano a leggere, a scrivere, a stu­diare, e intanto discutevamo le opinioni velenose che circolavano in quei giorni contro la religione. Tutto questo durò dal 1841 al 1848. Lo facevo avendo in mente lo scopo che ho già detto: osservare, conoscere, scegliere alcuni individui adatti alla vita comune, e proporre loro di rimanere con me.     Puntando sempre in questa direzione, nel 1848 ho tentato un piccolo corso di Esercizi Spirituali. Raccolsi una cinquan­tina di ragazzi. Facevano pranzo e cena con me, ma poiché non c'erano letti per tutti, alcuni andavano a dormire a casa e tor­navano al mattino seguente. Quell'andare e venire alla sera e al mattino, però, metteva a rischio il clima di raccoglimento e di riflessione che le prediche e il silenzio creano in quei giorni. Gli Esercizi cominciarono domenica sera e terminarono sabato sera.Riuscirono molto bene. Diversi ragazzi, attorno ai quali ave­vo lavorato inutilmente per tanto tempo, cominciarono una se­ria vita cristiana. Alcuni seguirono la vocazione religiosa. Altri rimasero laici, ma divennero modelli di vita cristiana per i loro compagni dell'Oratorio. Di questo parlerò più distesamente nella Storia della Società Salesiana. La parrocchia dei ragazzi senza parrocchia     Alcuni parroci (ricordo quelli di Borgo Dora, del Carmine e di Sant'Agostino) espressero nuovamente all'Arcivescovo la loro preoccupazione perché negli Oratori si amministravano i Sacramenti. L'Arcivescovo rispose con un decreto con cui ci au­torizzava a dare la Comunione anche nei giorni di Pasqua e a preparare alla Cresima i ragazzi che frequentavano i nostri Ora­tori. Ci rinnovò pure la facoltà di fare tutte le funzioni religio­se che si fanno in una parrocchia. «Gli Oratori - disse l'Arcivescovo - saranno la parrocchia dei ragazzi senza par­rocchia ».

 

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