Nasce una nuova Congregazione
Nel 1854 nascono i Salesiani. Don Bosco raggruppa quattro giovanotti dell'Oratorio, che ha coltivato con particolare cura fin dal loro ingresso a Valdocco, e fa un discorso e narra un sogno di quelli che esaltano e fanno correre i brividi.
Il discorso è questo:
- Voi vedete che don Bosco fa quello che può, ma è da solo. Se voi mi darete una mano, invece, insieme faremo miracoli di bene. Migliaia di fanciulli poveri ci aspettano. Vi prometto che la Madonna ci manderà oratori vasti e spaziosi, chiese, case, scuole, laboratori, e tanti preti pronti a darci una mano. E questo in Italia, in Europa e anche in America. Io tra voi già vedo una mitria vescovile...
I quattro giovanotti si guardano in faccia sbalorditi. Sembra di sognare. Eppure don Bosco non scherza, è serio e sembra leggere nel futuro:
- La Madonna vuole che noi iniziamo una società. Ho pensato a lungo che nome darle. Ho deciso che ci chiameremo Salesiani.
E il sogno è il seguente.
Il giardino, il pergolato e le rose
«Un giorno dell'anno 1847, avendo io molto meditato sul modo di far del bene alla gioventù, mi comparve la Regina del cielo (espressione molto rara in don Bosco. In genere dice: ho sognato una signora bellissima...) e mi condusse in un giardino incantevole. Vi era un bellissimo porticato, con piante rampicanti cariche di foglie e di fiori. Questo portico metteva in un pergolato incantevole, fiancheggiato e coperto da meravigliosi rosai in piena fioritura. Anche il terreno era tutto coperto di rose. La Beata Vergine mi disse:
- Va' avanti sotto quel pergolato: è quella la strada che devi percorrere.
Cominciai a camminare. Molti rami scendevano dall'alto come festoni. Io non vedevo che rose ai lati, rose di sopra, rose innanzi ai miei passi. Ma le mie gambe si impigliavano nei rami stesi per terra e ne rimanevano ferite; rimuovevo un ramo trasversale e mi pungevo, sanguinavo nelle mani e in tutta la persona. Le rose nascondevano tutte una grandissima quantità di spine.
Tutti coloro che mi vedevano camminare dicevano: "Don Bosco cammina sempre sulle rose! Tutto gli va bene!. Non vedevano che le spine laceravano le mie povere membra.
Molti chierici, preti e laici da me invitati si erano messi a seguirmi festanti, attirati dalla bellezza di quei fiori; ma si accorsero che si doveva camminare sulle spine, e incominciarono a gridare: "Siamo stati ingannati!". Non pochi tornarono indietro. Rimasi praticamente solo. Allora cominciai a piangere: "Possibile, dicevo, che debba percorrere tutta questa strada da solo?".
Ma presto fui consolato. Vidi avanzarsi verso di me uno stuolo di preti, chierici, secolari, i quali mi dissero: "Siamo tutti suoi. Siamo pronti a seguirla". Precedendoli mi rimisi in via. Solo alcuni si perdettero di coraggio e si arrestarono. Una gran parte di essi giunse con me alla meta.
Percorso tutto il pergolato, mi trovai in un bellissimo giardino. I miei pochi seguaci erano dimagriti, scarmigliati, sanguinanti. Allora si levò una brezza leggera, e a quel soffio tutti guarirono. Soffiò un altro vento, e come per incanto mi trovai circondato da un numero immenso di giovani e di chierici, di laici coadiutori e anche di preti, che si misero a lavorare con me guidando quella gioventù. Parecchi li conobbi di fisionomia, molti non li conoscevo ancora.
Allora la santa Vergine, che era stata la mia guida, mi interrogò:
- Sai cosa significa ciò che tu vedi ora, e ciò che hai visto prima?
- No.
- Sappi che la via da te percorsa tra le rose e le spine significa la cura che tu dovrai prenderti della gioventù. Le spine significano gli ostacoli, i patimenti, i dispiaceri che vi toccheranno. Ma non vi perdete di coraggio. Con la carità e con la mortificazione, tutto supererete, e giungerete alle rose senza spine.
Appena la Madre di Dio ebbe finito di parlare, rinvenni e mi trovai nella mia stanza.
Vi ho raccontato questo - concluse - perché ognuno di noi abbia la sicurezza che è la Madonna che vuole la nostra Congregazione, e perché ci animiamo sempre più a lavorare per la maggior gloria di Dio».
Salus ex inimicis nostris!
Pensare a fondare una Società Religiosa in quei tempi, era una temeraria follia. Le note leggi di soppressione condannavano alla estinzione quelle già esistenti.
Un giorno il ministro Rattazzi - che come si sa, aveva la sua parte in quelle famigerate leggi - gli disse quasi all'improvviso:
- Caro don Bosco, io ammiro lo scopo eminentemente filantropico dell'Opera sua e faccio voti che viva molti anni per il bene di tanti giovani; ma lei è mortale come ogni altro, e se venisse a mancare, che cosa ne sarebbe di questa sua Opera? Ha già pensato a questo caso?
- Eccellenza - rispose don Bosco - è questo il mio maggior fastidio!
- E se lei istituisse una Società di gente, sacerdoti o laici, sotto certe norme... imbevuti del suo spirito, animati dallo stesso zelo, che fossero suoi aiutanti e poi suoi continuatori?
- Gran bella cosa, Eccellenza, ma in questi tempi di persecuzione, crede che sia possibile?
- Possibilissimo! Ella istituisca una Società secondo le esigenze dei tempi, che si assoggetti alle vigenti leggi, che paghi le imposte; una Società insomma di liberi cittadini, i quali si uniscono a vivere insieme a scopo di beneficenza.
Quella proposta fu per don Bosco una rivelazione, essendo il Rattazzi riputato un oracolo in materia politica, e subito lo prese in parola soggiungendo:
- E l'Eccellenza Vostra me la passerebbe una Società in questa forma?
- Ma sì! l'approverei e la farei approvare.
Il Santo ne abbozzò le regole, le quali furono davvero approvate, e la Società Salesiana prese vita e visse, e vivrà in grazia di quello stesso che due anni prima aveva proposto la legge contro le corporazioni religiose.
Don Bosco, parlandone con gli altri amici e coi suoi figlioli, andava scherzosamente ripetendo:
- «Salus ex inimicis nostris!...». L'istituzione della nostra Congregazione Religiosa la dobbiamo ai nemici delle Istituzioni Religiose. Vedete un po' gli scherzi della Provvidenza.
Faremo a metà
Nel 1854 don Bosco incontra un giovanetto sui 17 anni, Michele Rua, che gli viene incontro chiedendogli una immagine, e si ferma a guardarlo; poi, facendo segno con la destra di dividere la mano sinistra a metà, gli dice:
- Michelino, noi faremo a metà.
Il fanciullo, che non aveva mai veduto né conosciuto don Bosco, non comprese allora l'arcano di quelle parole; ma ripetendosi più volte la scena si sentì attratto verso di lui, e prese a seguire il Santo come l'ombra segue il corpo.
Divenne il suo primo chierico, il suo primo sacerdote, il suo primo principale aiutante, il suo primo successore, don Rua, il quale, dopo aver fatto a metà con il suo Maestro nello splendore delle virtù, farà a metà anche nello splendore della santità.
Fu beatificato da Paolo 6° nel 1976.
Fede che vince gli ostacoli
Nel 1869 era tornato a Roma, risoluto di ottenere l'approvazione della Pia Società Salesiana.
Alla stazione, lo attendeva la vettura del Cardinal Berardi, con preghiera di recarsi subito da lui a visitare e benedire un suo nipotino di undici anni, figlio unico di famiglia nobile e ricchissima, che da 15 giorni lottava tra la vita e la morte, travagliato da forte febbre tifoidea ribelle ad ogni cura.
All'apparire di don Bosco, tutti i familiari gridano:
- Oh! Don Bosco, lo faccia guarire! Ed egli, rivolto al cardinale, disse:
- Sono venuto perché vostra Eminenza mi aiuti presso il Santo Padre ad ottenere l'approvazione della Società Salesiana.
- Ebbene, ella faccia guarire questo mio nipote, ed io andrò, parlerò, farò di tutto presso il Santo Padre.
Don Bosco raccomanda a tutti di avere fiducia in Maria Ausiliatrice, s'appressa al lettuccio dell'infermo, lo benedice, ed all'istante il bambino è libero dalla febbre e perfettamente guarito.
Tutti acclamarono al Santo, mentr'egli esclamava:
- Rendetene grazie a Maria Ausiliatrice!
La podagra del Cardinale
Ma questo non era che l'inizio. I Cardinali che dovevano dare il voto erano parecchi, e tutti contrari. Chi poteva influire assai era il Cardinale Antonelli, Segretario di Stato di Pio 9°.
Don Bosco si recò a fargli visita, e lo trovò immobile su un seggiolone.
- Venga avanti, carissimo don Bosco, venga avanti!
- Eminenza, come sta?
- Eh! vede come sto. Sono inchiodato qui da parecchi giorni, soffro terribilmente di podagra.
- Eminenza, mi aiuti nei miei affari, ed io le garantisco che starà meglio.
- Che cosa desidera da me?
- Sono venuto per supplicarla di occuparsi della Società Salesiana.
- Già! È cosa assai difficile questa; tuttavia, le prometto di occuparmene appena potrò andare all'udienza.
- Ho bisogno che ci vada presto, anzi, domani!
- Che cosa dice?! Ella vede come mi trova; non posso muovermi!
- Eminenza, abbia fede in Maria Ausiliatrice, e vada domani; domani starà meglio.
- E se poi mi accadrà di peggio?
- Sarò io responsabile; la Madonna sa come fare!
- Va bene. Se avverrà come lei dice, andrò domani, e farò di tutto per la sua Società.
Il giorno seguente, i dolori erano completamente cessati, e il Cardinale poteva andare alla udienza e raccontava al Papa il dialogo e la guarigione.
La febbre da cavallo scompare
Cadevano così ad uno ad uno gli ostacoli, ma ne restava ancora uno, e forse il maggiore.
Il più restio all'approvazione era Monsignor Svegliati, dotto ed attivissimo segretario della Sacra Congregazione. Don Bosco decise di andarlo a trovare.
Era a letto, minacciato da seria polmonite.
- Monsignore, ho bisogno del suo aiuto - gli dice don Bosco. E gli espone il suo desiderio.
- Caro don Bosco, la cosa è molta seria, quasi impossibile! Io poi, non so quando potrò andare in ufficio, trovandomi come ella mi vede.
- Eppure, io ho bisogno che ella vada, e presto, dal Santo Padre.
- Ma come vuole che vada con questa tosse così violenta, e con questa febbre da cavallo?!
- Monsignore, la tosse passerà, diminuirà la febbre: ho bisogno che vada domani.
Il malato lo osservò con occhi stupiti, e don Bosco continuò:
- Abbia fede, Monsignore. Io la raccomanderò alla Madonna, e se lei promette di interessarsi per la Pia Società Salesiana, le prometto che guarirà senz'altro.
- Se m'assicura questo, andrò, ma fra qualche dì.
- No... no... domani! ho bisogno che vada assolutamente domani.
- Ebbene, ci andrò domani, se starò meglio; e le assicuro che parlerò in modo che tutto andrà bene.
L'indomani, la tosse era sparita, la febbre calmata, e Monsignore, pienamente in forze, andò, parlò, perorò in modo che, pochi giorni dopo, il 29 febbraio 1869, la Società Salesiana veniva approvata.
Io vi salverò
Fra le reclute che dovevano partire per la guerra del 1859 contro gli austriaci, c'erano anche due dei primi chierici di don Bosco: Cagliero e Francesia.
Questi due si presentano tutti ansanti al Santo, il quale, sereno e ridente, disse loro:
- Niente paura... Io vi salverò! Andate alla Curia Vescovile, e fatevi iscrivere nella lista di quelli che si debbono presentare per l'esenzione.
Obbediscono premurosamente; ma poco dopo ritornano dicendo:
- Oh, don Bosco! in Curia ci fu risposto che è troppo tardi, perché l'elenco è già spedito al Ministero.
- E voi andate al Ministero, pregando di esservi aggiunti.
Ritornano più affannati affermando:
- Anche al Ministero ci fu risposto che è troppo tardi, che la pratica è ormai compiuta; ed è impossibile ogni aggiunta.
- Ebbene rivolgetevi al Ministero di Grazia e Giustizia per le vostre ragioni; voi, come chierici, dovete essere esenti.
Ritornarono la terza volta sospirando ed esclamando:
- Alla Curia e ai Ministeri ci son tutti contro. Tutti dicono che è troppo tardi, che si tratta di guerra e bisogna partire.
- E voi non partirete, ripeto! Ci andrò io; dovete essere esenti... Io vi salverò!
Quei due poveri figlioli, commossi fino alle lacrime, gridano:
- Oh padre! Perché tanto disturbo per noi?... Se bisogna partire, partiremo. Vittorio Emanuele avrà due soldati di più. O morremo sul campo, o ritorneremo con le spalline. Non si prenda troppi fastidi.
- Ed io invece me li voglio prendere questi fastidi, proprio per voi. Vi ho detto che vi salverò, e vi salverò ad ogni costo!
Si portò alla Curia, dalla Curia al Ministero e poi di nuovo alla Curia. Esaminò attentamente la lista dei chierici esenti, trovò che due, proprio due, fra gli elencati, si trovavano, come figli di madre vedova, già in condizione di essere esenti. Allora volò con aria di trionfo al Ministero della Guerra e potè farli sostituire con i suoi due Cagliero e Francesia.
Fu davvero un lavoro febbrile, ma coronato da esito splendido.
Lo hai sentito quel tuono?
Don Bosco amava teneramente i figlioli, e, anche lontano, vegliava su di loro. Un giorno un suo chierico fu invitato da una famiglia di benefattori ad andare a passare la giornata insieme.
Il Santo, conoscendo la bontà di quei signori, accondiscese e diede il permesso.
Ma ecco, a un certo punto del pomeriggio, domanda con insistenza del chierico assente, e manda in giro a cercarlo; la sua inquietudine si fa grande, e va esclamando:
- Dove sarà?! Che cosa farà?!
- Ma don Bosco, non ricorda che Lei stesso gli ha dato il permesso?
- Sì... ricordo... ma ora, vorrei che fosse qui.
Nessuno poteva comprendere il perché di tanta agitazione in lui, sempre così calmo e inalterabile; ma lo si seppe alla sera, al ritorno di quel chierico.
Il buon chierico si presenta, lo saluta, gli bacia la mano, ed il Santo gli dice:
- Lo hai sentito quel tuono?
- Sì, padre, l'ho udito e l'ho capito. Solo un miracolo mi ha potuto salvare! Mi sono trovato in grave pericolo.
- Ebbene, va' a ringraziare la Madonna, e dille che le sarai sempre degno figliolo.
Il chierico obbedì e ai compagni che curiosi volevano sapere, raccontò:
- In quella famiglia così onesta e cristiana, era giunta una persona estranea, poco corretta. Mise gli occhi su di me, e mi pose in grave pericolo. Mi tese insidie, e chissà che danno avrebbe tentato se, in un momento, non si fosse fatto sentire un fortissimo tuono.
Allora ho capito che don Bosco vegliava su di me, ed ho subito fatto fagotto.
Quella sera don Bosco fu oggetto di molti commenti e di molte interrogazioni, eH egli scherzosamente rispondeva:
- Questa volta il tuono fu senza tempesta; ma all'erta, miei cari, perché i tuoni di don Bosco sono terribili!
Ho indovinato?
Nelle vacanze scolastiche dell'anno 1878, si presentò a Valdocco il capostazione di Torino accompagnato da un ragazzo sui sedici anni, figlio di un suo amico e studente di tecnica, chiedendo di visitare l'Oratorio.
Don Bosco, che si trovava in cortile, salutato il capostazione, si offrì egli stesso di accompagnarli, facendo il giro della casa e fornendo le più esatte spiegazioni di ogni cosa.
Quando furono per congedarsi, don Bosco, salutato il capostazione, batté la mano sulla spalla del giovane e gli disse:
- Quanto a te, Albanello, fermati qui, ché ho bisogno di parlarti.
Nessuno aveva detto a don Bosco il nome del giovane. Il poveretto restò come intontito, sentendolo pronunziare da don Bosco, e lo seguì come un automa.
Giunto in camera sua, il Santo soggiunse:
- Ed ora inginocchiati, perché devi confessarti.
- Ma sono parecchi anni che non mi confesso...
- Lo so, lo so; ed è per questo che ti dico di confessarti.
- Ma ci vorrebbe un po' di preparazione.
- Non occorre. Io ti farò la storia di tutta la tua vita, e tu giudicherai se ho indovinato.
Quando ebbe terminato lo interrogò:
- Ebbene, Albanello, ho indovinato?
- Fin troppo! - rispose Albanello quasi sbalordito.
- Ora, domandane perdono al Signore; poi ti assolverò.
Quel giovane pianse come non aveva pianto mai, poi, alzatosi, voleva congedarsi ma il Santo, posandogli la mano sul capo, continuò:
- Non basta, Albanello: la Madonna ti vuole qui, e tu ritornerai all'Oratorio, ti fermerai con don Bosco che ti darà l'abito da prete e ti manderà missionario.
- Oh, non so... vedremo!
- Sì... lo vedremo, e vedrai se indovinerò.
L'Albanello partì ringraziando, ma ruminando in cuor suo: «Questo poi no!... Né prete, né tanto meno missionario!».
Passarono intanto le vacanze ed Albanello, vinto e stravinto dalla vocazione, si presentò all'Oratorio. In due anni, compì il ginnasio; nel 1880 vestì l'abito per mano di don Bosco; e nel 1882, partì missionario nel Brasile.
Di là, ogni volta che scriveva a don Bosco, ricordava la storia della sua vocazione.
Festa e vaiolo non stanno insieme
Nel maggio 1869 si era recato a Lanzo Torinese per la festa di san Filippo Neri, titolare di quel suo primo collegio. Là trovò tutti in desolazione, perché ben sette convittori erano colpiti dal vaiolo, che minacciava di estendersi a tutta la casa.
A quella notizia, don Bosco esclama:
- Già! festa e vaiolo non stanno insieme. Andate a preparare loro gli abiti in fondo al letto, che salirò a benedirli.
Alla vista di don Bosco, i malati gridarono:
- Don Bosco, don Bosco, possiamo alzarci? Ci dia la sua benedizione!
- Avete fede nella Madonna?
- Sì!
- Ebbene, alzatevi!
Don Bosco li benedisse e si ritirò. Tutti si alzarono, si vestirono, e si precipitarono in cortile, meno uno, certo Baravalle, che, dubitando di essere guarito veramente, per precauzione se ne sta a letto.
Alla sera, viene il medico per la visita, e, sapendoli alzati in cortile in quella giornata umida e fredda, s'inquieta, grida all'imprudenza, giudica che quell'atto sarebbe stato fatale, e s'affretta all'infermeria, ove non trova che il prudente Baravalle, il quale, con le cure premurose del dottore, guarì dopo venti giorni, mentre gli altri, guariti all'istante, da 20 giorni correvano e cantavano allegramente.
Che cosa sono mai 90 mila lire?!
A Nizza, vedendo che la sua casa si era fatta troppo ristretta per il gran numero di giovani che chiedevano d'essere accolti, deliberò di acquistarne una più grande.
Gli fu indicata una villa in piazza d'armi; però gli si disse subito:
- Caro don Bosco, quella andrebbe bene, ma!...
- Che ma?
- E troppo costosa; pretendono 90 mila lire.
- E che cosa sono mai 90 mila lire?!
- Novantamila lire, sono novantamila, e lei dove le troverà?
- Le troverà la Provvidenza.
- Eh, sì!... Lei ha un bel dire la Provvidenza... ma intanto, non ha un soldo in tasca.
- Io non ho niente; ma se Dio vuole l'ampliamento dell'Istituto, farà trovare il denaro per comperare la casa. Si faccia l'istrumento.
Il comando di don Bosco non ammetteva repliche. Il contratto fu concluso subito; il denaro fu subito trovato, il prezzo pagato e la bella villa Gauthier, grande, sontuosa, magnifica, capace di oltre 300 persone, passò alle opere di don Bosco, e col nuovo anno, si riempì di frugolini e frugoloni irrequieti, che la facevano echeggiare dei loro trilli e dei loro canti più gioiosi.
Don Bosco esclamava poi:
- Vedete che villa Gauthier è venuta, anche in barba alle novantamila lire! Oh! La Provvidenza!... la Provvidenza!!! Essa ha le braccia più lunghe assai della nostra poca fede.
Negli imbrogli
Nei suoi ultimi anni, trovandosi il Santo a Mathi Torinese per un po' di riposo, non faceva che sognare i suoi figlioli ed esprimere il desiderio di fare di più per loro. Quand'ecco, riceve da una insigne benefattrice una offerta di Lire 2500 per grazia ricevuta, chiedendo ancora preghiere per una grazia nuova.
Il Santo risponde sollecitamente, e promette che avrebbe pregato e fatto pregare.
Poco dopo riceve, dalla stessa signora, un'altra offerta di lire tremila.
Don Bosco ringrazia di nuovo più sentitamente, promettendo di nuovo preghiere.
La signora manda una terza offerta di diecimila lire.
Allora il Santo, volgendosi ai Superiori della casa, esclamò:
- Ora mi trovo davvero negli imbrogli! Ditemi voi come debbo comportarmi. Costei non la vuol cedere!
E rideva di un sorriso angelico, mentre due grosse lacrime gli rigavano il viso.
Ci rivedremo al cader delle rose
Si presentò un giorno a don Bosco un suo religioso coadiutore il quale, allettato dalle belle promesse dei parenti, prese a dirgli che da qualche tempo trovava pesante la vita religiosa, e quindi desiderava ritornarsene a casa sua.
Don Bosco l'ascoltò attentamente e poi rispose:
- Ho capito tutto!... tu dunque vuoi lasciare la nostra casa, perché vi trovi qualche spina, e vuoi ritornare in famiglia ove tutto ti pare fiorito. Ebbene, va' pure.'... ma ci rivedremo al cader delle rose.
Il buon coadiutore lo salutò contento, gli baciò ripetutamente la mano, e se ne andò.
Il suo arrivo in famiglia fu salutato con ovazioni e feste, con pranzi e cene, e inviti anche dagli amici e conoscenti.
Ma col passare delle settimane e dei mesi, incominciarono le angolosità, le parole dure, le risposte piccanti, i tratti scortesi, i diverbi, le provocazioni, le contese, fino al punto in cui ad una sorella, la più affezionata, sfuggì la parola «rinnegato!...».
Fu l'ultima stilettata al cuore del povero religioso.
Non mangiò più, non dormì più. Radunò i suoi indumenti, rifece le sue valigie e... via a Torino all'Oratorio, ove buttandosi ai piedi di don Bosco, esclamò:
- Padre, anche se non ne son più degno, mi accolga ancora fra i suoi figli!
Don Bosco, che già lo attendeva, lo rialzò sorridente, e gli disse:
- Te lo avevo detto che, al cader delle rose, ci saremmo riveduti!... Orbene, va', ripiglia il tuo posto, ritorna alle tue occupazioni, e non pensare più né alla casa, né ai parenti. Ti deve bastare il mio amore.
Mani bucate
Un giorno don Bosco, che era nemico dei debiti, si trattenne con alcuni dei suoi primi Salesiani, tra i quali vi era pure don Rua, che fungeva da economo.
A un certo punto, rivolgendo la parola a quest'ultimo, disse:
- Senti, don Rua: tutti domandano denaro, e tu li mandi via a mani vuote.
- Oh, don Bosco, questo avviene per il semplice motivo che sono vuote le casse.
- Ebbene, si vendano quelle poche cartelle che ci rimangono; e così pagheremo i debiti.
- Qualcuna fu già venduta; ma vendere proprio tutto non pare conveniente.
- Vendi, vendi; il Signore provvederà.
- Perdoni, don Bosco: su quei pochi denari che tengo, ho già fatto i miei conti. Fra quindici giorni si dovrà pagare quel grosso debito di 28 mila lire che scade.
- Ma no! questa è una follia! lasciare da pagare i debiti di oggi per pagare quelli che scadranno fra 15 giorni! Vendi, vendi, e paga.
- Ma i debiti di oggi si possono differire; quell'altro no.
- Vendi, vendi; il Signore provvederà. È un chiudere la via alla divina Provvidenza il voler tenere in serbo per i bisogni futuri.
- Ma la Provvidenza suggerisce pure di pensare all'avvenire, e già altre volte ci siamo trovati in gravi situazioni.
- Vendi, vendi! Ascoltami; va' in ufficio, metti fuori quanto hai, soddisfa, e mettiamoci nelle mani del Signore.
Poi, rivolgendosi a tutti i presenti, esclamò:
- Quando sarà possibile trovare un economo che abbia le mani bucate, ossia che mi assecondi interamente?
Tutti risero col buon padre di quella magnifica espressione, e gridarono in coro:
- L'uomo delle mani bucate è bell'e trovato; è don Rua.
E fu così davvero, perché don Rua, da quel giorno, assecondò interamente don Bosco.
L'anima dei divertimenti
Don Bosco era solito dire: «La gioventù bisogna sempre tenerla occupata, perché l'acqua stagnante imputridisce».
Egli amava le ricreazioni clamorose; e per darne l'esempio, era sempre il primo ai giochi e l'anima dei divertimenti.
Sveltissimo a correre, non di rado sfidava tutti i suoi giovani a sopravanzarlo. Li allineava, e gridava: uno... due... tre!
Un nugolo di ragazzi si slanciava alla corsa; ma don Bosco era sempre il primo a raggiungere la meta.
Allora, per non lasciarli mortificati, andava a riem
pirsi le tasche di caramelle, e ne lanciava di qua e di là in mezzo ai crocchi.
Egli a tutti sorrideva, a tutti dispensava, con la caramella, anche una parola dolce, arguta, incoraggiante, veramente paterna.
Questi suoi modi gli accaparrarono tanto l'animo di tutti, che ognuno andava a gara per dimostrare, con l'obbedienza e il rispetto, quanto fosse l'amore e la riconoscenza di cui si sentivano pervasi.
Così voleva facessero poi tutti i suoi Salesiani e che la ricreazione fosse sempre animata e chiassosa.
Un giorno, che ne vide alcuni starsene in crocchio a chiacchierare, si fece subito in mezzo a dire:
- Guardate che, mentre voi riposate, il demonio lavora.
A chi gli osservava che, a correre e a giocare, si sciupano le scarpe ed i vestiti, rispondeva:
- Via, via!..., meglio spender in scarpe e in vestiti che in medicine. Sarti e calzolai li abbiamo in casa. È meglio essere in grazia di Dio rattoppati, che nelle mani del demonio lucidi ed attillati.
Quello della cioccolata!...
Nelle case salesiane si suole celebrare con particolare solennità la festa di san Luigi Gonzaga; e già fin dai primi tempi, don Bosco dava a questa festa la massima importanza.
Nell'anno 1858, per quella circostanza, aveva ordinato ad un esercizio della città un servizio di caffelatte e cioccolata, coi rispettivi panini e dolci.
A metà della Messa, giunge il garzone con un carretto, e depone ogni cosa presso la sacrestia; poi entra in chiesa attratto dalla melodia dei canti e dallo splendore della funzione.
Il sacrista, che era rimasto a custodire tutto quel ben di Dio, non seppe resistere alla fragranza che emanava da quelle caffettiere fumanti e dalla leccornia di quei dolci, che pareva gli dicessero: prendi e mangia; difatti, dopo breve alternativa, si fa coraggio e, franco e risoluto, mesce un primo tazzone, poi un secondo e un terzo, sempre inzuppando e insaccando a piene gote.
Terminata la Messa, i signori s'accomodano in un salotto attiguo. Il cameriere, a un cenno di don Bosco, corre a prendere la colazione, e trova quasi vuote le caffettiere, e quasi sparito addirittura il servizio dei dolci.
- Povero me!... Come si fa?...
Tutto tremante, corre a raccontare a don Bosco la sparizione.
Don Bosco, che non si scomponeva mai, lo rimanda di corsa per una nuova provvista, e così si rimedia a ogni cosa.
Ma intanto, chi sarà stato l'autore della birbonata? Quand'ecco, alcuni ragazzi si precipitano affannosi attorno a don Bosco a dirgli piangendo:
- Presto, presto, don Bosco, venga a vedere il sacrista che muore!
- Dov'è?
- Laggiù in fondo al cortile. Si stira e si dimena a terra, e grida: «lo muoio... io muoio!».
Don Bosco accorre. Viglietti confessa la marachella, chiede perdono, e prega di disporlo a morire.
- No, non morrai - gli dice don Bosco; - solo il ricordo ti resterà!
Portato all'infermeria, se la cavò con una buona dose di olio di ricino; ma da quel giorno, tutti presero a chiamarlo «quello della cioccolata», e questo nome gli era appiccicato ancora cinquant'anni dopo dacché aveva lasciato l'oratorio.
Generoso come un re
Don Bosco, quantunque povero, era generoso come un re, e così voleva che fossero i suoi figlioli.
Un giorno un suo sacerdote condusse ad una passeggiata una schiera dei suoi alunni. Ad un certo punto, avendo smarrito la via, si trovò a mezzogiorno in un paese distante, ove il buon Parroco, mosso a compassione, li tenne a pranzo con sé, facendo loro le più liete cortesie.
Al ritorno, raccontò la cosa a don Bosco, il quale gli disse:
- E tu che cosa hai dato in compenso?
- Io?... che cosa dovevo dargli?!
- Tu dovevi chiudere in una busta un biglietto da cento lire, e dargliela suggellata, pregandolo di celebrare una Messa per te e per i tuoi giovani. Ciò ti serva di norma, perché, in questi casi, non bisogna essere stretti di mano, ma generosi come un re. Questa volta rimedierò io allo sbaglio. - E così fece.
Cinquecento lire son troppe
Era faceto ed ameno anche con i suoi dipendenti.
Nel 1871 inviava il prof, don Paolo Albera, che fu poi il suo secondo successore, a fondare la casa di Marassi presso Genova.
Costui, trattandosi di andare a fondare una casa, aveva accettato da amici e conoscenti una piccola scorta di danaro; e quando, prima di partire, il Santo gli chiese se avesse bisogno di qualche cosa, egli rispose:
- Don Bosco, la ringrazio; ho già con me 500 lire.
- Oh mio caro - gli osservò don Bosco - non è necessario tanto danaro. Anche a Genova vi sarà la Provvidenza.
E tratte dal cassetto poche lire, gliele diede, ritirandogli il biglietto da 500.
- Il serbare qualunque somma per i bisogni di domani, mi pare un'offesa alla Divina Provvidenza!
Questa massima la lasciò per eredità ai suoi successori.
E io... mi farei Salesiano
Un giorno, in un crocchio di confratelli, si parlava con grande ammirazione dei vari Ordini Religiosi, elogiando le gesta e lo zelo di questo e quell'altro. A un certo punto, uno esclamò:
- Se non fossi Salesiano, mi farei volentieri... Don Bosco, che aveva condiviso ed approvate tutte le lodi a cotesti diversi Ordini, udendo quella conclusione, con calma risoluta e incisiva, a sua volta esclamò:
- E io, se non fossi Salesiano, mi farei Salesiano! Tutti applaudirono e si buttarono a gara a baciargli la mano.
Il gran segreto
Monsignor Ferrè, Vescovo di Casale, tenendo una conferenza ai Cooperatori Salesiani, venne fuori con queste parole:
- Sapete perché la congregazione di don Bosco si estende così prodigiosamente e i collegi salesiani progrediscono così bene? Ve lo dico io: gli è perché don Bosco ha due grandi segreti, che sono la chiave di tutto il grande bene operato dai suoi. Primo segreto, quello delle spugne. Egli imbeve i suoi Salesiani e i suoi giovani di pratiche di pietà, che quasi inebriano; e questi, pur volendolo, non possono più fare il male e lo rigettano, come le spugne piene rifiutano qualsiasi altro liquido. Il secondo segreto consiste nel caricare i suoi dipendenti di molto e svariato lavoro. Egli accumula su ciascuno tante cose da fare, li affardella di tante faccende e cure, che non hanno né trovano più il tempo a peccare e quasi neppure a parare le mosche, come i muli sotto il tiro continuo.
Riferite queste cose a don Bosco, egli approvava ed aggiungeva:
- È per l'appunto così; finché saremo buone spugne imbevute di pietà, e buoni muli sempre sotto tiro, la nostra Congregazione marcerà sicura. Si può dire che tutti sono contro di noi, e che noi dobbiamo lottare contro tutti. Il mondo legale ci è assolutamente avverso; il vento soffia contrario da ogni parte; ma niente paura! Finché saremo muli e spugne, Dio sarà con noi. Noi abbiamo dinanzi agli occhi un orizzonte chiarissimo; la nostra via è tracciata:
Muli di lavoro,
Spugne di pietà,
Evviva sempre
La Pia Società!
Noi saremo sempre amici
Quando il buon Padre fu colpito dall'ultima malattia, il giovane Luigi Orione fu uno dei dodici che offersero la propria vita al Signore per prolungare l'esistenza del Santo, sottoscrivendo in un foglio questa commovente implorazione:
«O Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice dei cristiani, San Francesco di Sales, nostro Patrono, i poveri sottoscritti, al fine di ottenere la conservazione del loro amatissimo Padre e Superiore don Bosco, offrono in cambio la propria vita. Deh, vi supplichiamo, degnatevi di gradire l'offerta e di esaudirci».
Il foglio fu collocato sull'altare di sant'Anna nella chiesa di Maria Ausiliatrice mentre don Berto, segretario del santo, celebrava la Messa per quella intenzione, servito da Luigi Orione.
Il Signore non accolse l'eroica offerta, per dare alla Chiesa un altro apostolo, ai poveri un altro padre. Ma il giovinetto predestinato sentì la benedizione di don Bosco, appena morto il Santo.
Luigi Orione era giunto all'Oratorio nell'ottobre del 1886. Proveniva dal seminario francescano di Voghera dal quale era uscito dopo una forte polmonite. Era figlio di un povero selciatore di strade. Luigino rimase incantato di don Bosco. Quando, raramente ormai, scendeva in cortile, Luigino gli correva incontro. La prima volta don Bosco gli sorrise e gli chiese:
- Dimmi, su, com'è la luna al tuo paese? È più grossa che a Torino?
Orione ride, estasiato e don Bosco gli sfiorò il capo con la mano.
- T'ses prope 'n fa fiôché (sei un bel sempliciotto!). - Un complimento che il ragazzo gradì un mondo, tanto più che don Bosco, congedandosi, gli disse:
- Guarda che noi saremo sempre amici!
Per esser amico di don Bosco, Luigino voleva anzitutto confessarsi da lui, fargli una confessione generale di tutta la vita. Fece un accurato esame di coscienza, consultò alcuni formulari, si accusò di tutto, tranne che di aver ammazzato («Questo no!» - scrisse). Riempì tre quaderni e poi anche lui si accodò, alla porta di don Bosco, tra i ragazzi che attendevano di confessarsi.
Quando fu il suo turno, don Bosco lo guardò sorridendo.
- Dammi i tuoi peccati. - Il ragazzo tirò fuori il primo quadernetto.
Don Bosco lo prese tra le dita e lo stracciò.
- Dammi gli altri.
Anche gli altri quaderni fecero la stessa fine. Orione osservava sconcertato.
- E ora la confessione è fatta - disse don Bosco. - Non pensare mai più a quello che hai scritto.
E gli sorrise. Orione non dimenticò mai più quel sorriso.
Il miracolo del dito tagliato
Il 17 dicembre 1887, assieme agli alunni della 5a ginnasio, Luigi Orione si confessò per l'ultima volta da don Bosco infermo. Anzi, rientrato come gli altri nella sala di studio, Orione uscì di nuovo e tornò da don Bosco. Fu quello il suo ultimo colloquio con il Santo.
Morto don Bosco, tra i giovani che vegliano accanto alla sua salma esposta ai fedeli, il 1° febbraio 1888, c'è anche Orione, che prende dalla folla gli oggetti da posare sul corpo del Santo. Ad un tratto, Orione (come scrive egli stesso) ha una curiosa idea: pensa di affettare del pane, ridurlo in pillole da posare sul corpo di don Bosco, per poi distribuirle. Entrato nella sala di refezione prende un grosso e affilato coltello e si accinge ad affettare un filone di pane. Dalla fretta, vibrando il primo colpo, si spacca verticalmente l'indice della mano destra (egli è mancino). Angosciato, pensa subito che senza quel dito non potrà diventare sacerdote, come già aspirava. Avvolge allora nel fazzoletto il dito tagliato stringendolo bene e lo sostiene con l'altra mano. Corre presso la salma di don Bosco e con viva fede accosta il dito sanguinante alla mano di don Bosco. A quel contatto la ferita si rimargina all'istante.
Narrando il fatto prodigioso, don Orione era solito mostrare la cicatrice rimastagli nell'indice destro, assicurando il perfetto funzionamento del dito.
Divenuto sacerdote, fondatore dell'Istituto dei Figli della Divina Provvidenza, suscitatore di tante opere provvidenziali, non dimenticò mai il suo Maestro. Dello spirito di lui e del Cottolengo animò il proprio spirito e ai due santi serbò la più fervida devozione. Non passava forse mai a Torino senza scendere a Valdocco a venerare l'Ausiliatrice, a pregare don Bosco. Se appena poteva si inginocchiava in presbiterio, al posto che occupava quando giovinetto partecipava alle funzioni come membro del «piccolo clero» e riviveva, pregando, i fervori della pietà eucaristica dei tempi di don Bosco. Il giorno della canonizzazione (1 aprile 1934) egli fu a Roma a rendere omaggio al Santo e a dividere con la Famiglia Salesiana la grande letizia di quella Pasqua che Pio 11° definì «Pasqua salesiana». Il 3 aprile seguente partecipò alla solenne udienza che il papa Ratti, concesse ai pellegrini che gremivano la basilica di san Pietro.
L'estensore di queste note in quella occasione si sentì sussurrare da un alto Prelato della Curia romana:
- Vuol vedere il don Bosco dei nostri giorni? Guardi laggiù! - e gli indicò don Orione che in quel momento attraversava piazza san Pietro, solo, l'aspetto dimesso, lo sguardo raggiante di un'intima gioia che gli animava tutta la persona.
Don Orione fu beatificato da Papa Giovanni Paolo 2° il 16 ottobre 1980.
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