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Aiutiamo Said a trovare la sua mamma

Un giorno mi sono separato da te mamma. Sai, se fossi un fiore io ti pianterei nel mio cuore, ti innaffierei con le mie mani. Quando ti penso le lacrime cominciano a scendere. Oggi sono qui senza di te io mi sento solo al mondo...


Aiutiamo Said a trovare la sua mamma

da Attualità

del 05 agosto 2011

27 luglio 2011

 

Said ci viene incontro sorridente e noi più di lui. Hanno appena trasferito “a sorpresa” 71 minori su di un traghetto che dovrebbe portarli dopo 8 ore a Porto Empedocle con destinazione finale forse la Campania. Siamo corse sul molo per salutare i “nostri” ragazzi costretti ancora una volta a fare i conti con il mare e coi loro incubi, per tranquillizzarli e assicurarci delle loro condizioni di salute psicofisica, ma la nave era già in partenza. Non sappiamo se riusciremo mai più a rintracciarli, per questo appena rientrate alla Loran cerchiamo subito con lo sguardo i nostri “preferiti” quelli che più si sono confidati e con i quali si instaurato un rapporto molto simile all'amicizia. Per questo siamo felici di poter riabbracciare Said. Lui estrae dalla tasca due fogli stropicciati scritti a penna. Ha preparato una lettera per la madre, me la consegna. Vuole che la leggiamo. Ci commuoviamo. Vuole che la madre sappia quanto lui la ama e ha bisogno di lei, vuole che lei sappia che lui è vivo e che la cerca sempre. Vorrebbe fargliela avere questa lettera, ma non sa dove lei si trovi né se è sopravvissuta (“ma in fondo al mio cuore so che è viva”). Allora gli dico che se vuole posso pubblicare questa lettera sul mio sito e diffonderla per tutta la rete sperando che lei possa leggerla o possa almeno essere avvertita che lui è vivo e la cerca. L'idea gli piace: mi regala un sorriso dei suoi, a tutta faccia.

 

Ecco la traduzione della lettera che SAID ISLAM YACOUB, nato in Camerun il 17.9.1997, ha scritto a sua mamma KADIATOU. L'ultima volta che si sono visti era il 17 marzo a Sebha (Libia).

 

 

24 Luglio 2011

 

Alla mia mamma

 

L’amore di un bambino per la sua mamma. Scrivo questa lettera per dirti che ti amo. Da quando ci siamo separati ti penso giorno e notte, la notte è molto lunga per me lontano da te . Tu sei la più bella donna del mondo, tutti i bambini sognano di averti sulla terra, tu sei la miglior madre che io abbia mai potuto pensare. Un giorno mi sono separato da te mamma. Sai, se fossi un fiore io ti pianterei nel mio cuore, ti innaffierei con le mie mani. Quando ti penso le lacrime cominciano a scendere. Oggi sono qui senza di te io mi sento solo al mondo e non c’è niente da fare tu sei la persona che conta di più per me, la più cara del mondo. Io sogno per me un giorno di ritrovarti sana e salva, le tue piccole filastrocche canzoni, mi fanno salire il morale, e mi danno la speranza di essere un bambino amato da sua madre. Io vorrei essere il più felice al mondo come gli altri bambini della terra, vorrei gioire della tua presenza, ti prometto che combatterò come posso con tutte le mie forze per ritrovarti. Io so che sei viva e mi pensi, io sarò sempre concentrato in tutto quello che faccio a pregare Dio misericordioso, il più misericordioso. Io so che Tu mi ascolti, senza sonno né sonnolenza, Tu sei presente nel tuo trono. Tra tutti i bambini aiuta me a ritrovare la mia famiglia, vorrei essere il più felice del mondo e sarebbe un giorno indimenticabile della mia vita.

 

Mi aiuti a farmi uscire da questa griglia?

 

Said Islam Yacoub, 14 anni, orfano di padre, figlio unico.

 

 

Dal Camerun al Tchad alla Libia. NON sente la mamma e ne ha perduto le tracce dal 17 marzo 2011. Sbarcato a Lampedusa il 9 luglio 2011. Attualmente trattenuto presso l’ex base nato Loran a Lampedusa, in attesa di trasferimento

 

 

 

25 luglio 2011 Lampedusa.

Missione con Terre des Hommes. Ex Base militare Loran.

 

 

Ci sono 169 minori oggi rinchiusi nel centro dell'ex Base militare Loran. Io manco dall'Isola da tre settimane e molti sono visi nuovi. Laura e Marta le due operatrici di Terre des Hommes che ogni giorno vengono a trovarli me li presentano. Said viene dal Camerun ed ha 14 anni: ha vissuto in Camerun insieme alla mamma (il padre è morto) da quando aveva quattro anni. Poi è scoppiata la guerra ed un giorno non ha più ritrovato sua madre ad attenderlo a casa. Si ferma un attimo, ci guarda, si tocca il petto e sussurra: ma io lo so nel mio cuore che è viva. Dopo pochi giorni, la polizia di Gheddafi, quelli con la fascia verde intorno al braccio sono andati a prelevarlo a casa sua. L'hanno portato in un campo e poi fatto salire su una barca.

Un adolescente cresciuto d'un botto. Gambe lunghissime ed esili. Sorriso interminabile, ingenuo e solare. Nonostante tutto. Si spegne solo quando parla del viaggio. Abbassa lo sguardo, nasconde le emozioni sotto la visiera del suo cappellino militare e scuote la testa. Non ricorda, non riesce a ricordare i dettagli (quanti erano sulla barca, quanto sia durato il viaggio).Ma ricorda bene il mare a perdita d'occhi, la paura, i crampi del suo corpo accatasto ed incastrato con altri, la sete inesauribile. Oggi chiede solo di poter riabbracciare sua madre.

Accanto a lui Dew un ragazzo nigeriano di 17 anni. Ci è venuto incontro appena siamo entrate. E' triste e preoccupato. Non ha più avuto notizie del suo amico Goodwin che viveva con lui in Libia. Ha paura che sia morto durante la guerra. Vorrebbe chiamarlo ma non può. E' un'altra dell'insensate torture che vengono inflitte ai prigionieri della Loran: non ci sono cabine telefoniche. Ci sono gli allacci con la rete, hanno fatto tutti lavori a regola d'arte ma poi si sono “dimenticati” di installare le cabine ed i telefoni. Così i minori che sono rinchiusi in questo centro possono dare e ricevere notizie dai familiari solo quando qualche operatore della Lampedusa Accoglienza decide di mettere a disposizione un cellulare. E allora vengono messi tutti in fila e vengono assegnati dei numeri (operazione lunga e complicata specie quando nel centro ci sono oltre 300 ragazzi che aspettano da settimane di chiamare casa per dire che sono vivi e sperare di ottenere uguale e corrispondente notizia dai familiari). Ma il problema è che in questo centro non c'è copertura di rete ed i cellulari non prendono quasi mai. Cosi può capitare come è successo ad un altro ragazzo nigeriano, di aspettare venti giorni per poter chiamare casa per sentirsi dire dall'altra parte che la mamma è morta, che ci sono già stati i funerali e poi sentire cadere la linea. Neppure un pianto condiviso, una preghiera tardiva.

Dew si ricorda un po' meglio del suo viaggio, era nella stessa barca con Said. Lui si ricorda che fortunatamente nessuno dei suoi compagni di viaggio è morto nella traversata e che il viaggio è durato due notti. E poi ricorda il mare. Non vedevo altro che mare intorno e mi terrorizzava. Voi, ci dice facendo un giro ampio con la mano, ci avete salvato la vita e di questo vi ringrazio ma il mare ci fa sempre paura e questa paura non ci fa dormire.

Già perché il centro dove sono trattenuti questi ragazzini sopravvissuti a due o tre giorni di navigazione in condizioni proibitive, traumatizzati e terrorizzati dal mare è circondato dall'acqua, si affaccia sul mare. Ancora mare a perdita d'occhi. E così ci si toglie la maglia (l'unica in dotazione col rischio di essere letteralmente devastati dai morsi delle zanzare) e la si appoggia a mo' di tenza contro la finestrella della stanza dormitorio, cercando per po' di oscurare i ricordi e le paure. Ma il mare prepotente si fa vedere e sentire da ogni angolo e di notte fa ancora più paura. Per questo è quasi impossibile dormire e di giorno la testa di sembra esplodere.

 

Alessandra Ballerini

http://www.alessandraballerini.com

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