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Al servizio del malato. Un ideale diventato realtà.

Vent'anni fa un gruppo di pionieri, tra cui Arullani, decise di dare vita ad un modello di Università dal volto umano con una formazione medica e scientifica che prendesse coscienza della persona, considerandola sempre come fine e mai come mezzo...


Al servizio del malato. Un ideale diventato realtà.

da Quaderni Cannibali

del 16 novembre 2010

 

 

           “Tutte le cose grandi” - dice – “all’inizio sono piccole. Il segreto sta nel cominciarle”. Seduto sul divano di pelle nera, Paolo Arullani - Presidente del Campus Bio Medico di Roma e gastroenterologo di provata esperienza - mi guarda sorridendo mentre il sole tiepido del pomeriggio illumina il suo studio.

 

            Un morbido completo grigio, la camicia celeste, Paolo Arullani - classe 1938 - ha capelli grigi e mani leggere. Di lui conquistano i modi cortesi e la grande spiritualità che traspare dai suoi pensieri. Una spiritualità, la sua, animata anche dalla convinzione che “Dio ama il lavoro ben fatto e lo spirito di squadra”. Della sua attività professionale e degli aspetti umani così collegati al particolarissimo rapporto tra medico e paziente ha fatto una vera e propria mission.     

           Siamo a Trigoria, periferia sud di Roma, nel Polo di Ricerca Avanzata della nuova sede del Campus in grado di ospitare fino a trecento scienziati. “Credo molto nella ricerca” - spiega – “Se c’è oggi un pensiero comune nel nostro Paese, è che si debba investire di più nella ricerca e nell’innovazione. Anche se le premesse economiche non sono favorevoli e il compito arduo, non dobbiamo mai perdere di vista questa strada”.

            Tutto intorno a noi è sobrio, essenziale: pochi quadri, una scrivania, due poltrone, un tavolino pieno di libri. Più in là, quasi nascosto, c’è un vecchio quaderno con la copertina blu: è un bellissimo diario di appunti, ricordi, pensieri che raccontano tutto di un sogno divenuto realtà. Vent’anni fa un gruppo di pionieri, tra cui lo stesso Arullani, decise di dare vita ad un modello di Università dal volto umano con una formazione medica e scientifica che prendesse coscienza della persona come unicità irripetibile, considerandola sempre come fine e mai come mezzo.  

          E’ questa la storia di un’idea, cominciata quasi in sordina nel febbraio del 1992, in un edificio preso in affitto in via Longoni - sulla Prenestina – che avrebbe portato a una medicina diversa, dove la scienza è per l’uomo e la sanità: “un servizio che aveva perso di vista la persona e dove possiamo fare un gran bene. Per questo motivo è necessario vivere con responsabilità il proprio lavoro, sapendo che ha sempre una ricaduta sul prossimo”. Non è dunque un caso se di fronte a me campeggia la fotografia del dipinto di Raffaello con Platone e Aristotele nella scuola di Atene, diventato il logo del Campus Bio-Medico. 

            Il compito della medicina è di alleviare il dolore, di guarire. Questa è una legittima aspirazione del malato che comporta anche il rispetto della dignità di ogni persona nel poter vivere pienamente la propria esistenza nonostante la malattia. Sarà per questo che, intorno a me, non vedo nessun colore bianco simbolo di strutture fredde e asettiche; su tutto, infatti, domina il bordeaux che nasce dalla fusione del blu e del rosso: il blu conduce alla profondità interiore, alla spiritualità, mentre il rosso stimola la forza dell’inquietudine, della vivacità appassionata e dona un’energia immensa.                     Nella scelta delle tinte è stata approfondita la teoria di Kandinsky, per il quale l’osservazione del colore genera una luce interiore che diviene vibrazione dello spirito e può contribuire a rendere gli spazi dei luoghi di vita; come l’agorà che si trova nella hall che persegue volutamente l’idea di “piazza del paese”, cuore pulsante del Policlinico e di tutto lo staff che vi gravita. Gli chiedo se si possono tenere insieme slancio professionale e una forte tensione etica. Lui fa una pausa, la mano passata sul volto tradisce una certa stanchezza, ma è solo un attimo: “Si deve, altrimenti lo slancio professionale si va affievolendo.            E’ l’etica che ci fa capire anche il senso ultimo del nostro lavoro. Il Campus ha una chiara vocazione sociale ed è questo che dovrà rimanere impresso nel suo DNA anche dopo di noi. Gli uomini passano, le idee restano”.            E’ venerdì, questo pomeriggio di ottobre scompare a poco a poco. I colori sfumati del cielo accompagnano un vento dolce, leggero; accompagnano la fine dei nostri ragionamenti rassicurati dalle ombre calde del tramonto. E’ tempo di saluti. Mentre lo vedo allontanarsi, ripensando alla storia di una idea mi viene in mente una frase di Goethe.            Nel momento in cui uno s’impegna a fondo, scriveva, anche la Provvidenza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute. Le idee, come i sentimenti, sono universali appartengono a tutti. Il segreto sta nell’avere il coraggio di cominciarle perché tutte le cose grandi “all’inizio sono piccole”. Proprio questo ho letto in un quaderno dalla copertina azzurra, appena ingiallita dal tempo.

 

Rosa Russo

http://www.cogitoetvolo.it

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