Ad Alberto venne diagnosticata l'atassia di Friederich, che è una malattia cronica del midollo spinale insorgente prima dei 25 anni. Cadde in un periodo buio, di disperazione, di chiusura in sé, di perdita dei rapporti con il mondo esterno, con desiderio di morire e pensieri suicidi. Chiuso in casa prese ad odiare anche i parenti...
Nel mare della nostra esistenza, noi conviviamo con una grande presenza che ci accompagna sin dalla nascita e intensificandosi fino alla morte; nel contempo condiziona più o meno pesantemente la nostra vita e spesso quella di quanti ci circondano, ed è il dolore.
Il dolore nelle sue varie forme, fisico, morale, psicologico, affettivo, per ingiustizie subite, solitudine, ecc. più o meno si affaccia nelle varie età della vita e in un certo senso ci accomuna e livella tutti, ricchi e poveri, potenti e umili, colti Il dolore è una componente del nostro vivere a cui non possiamo esimerci, che spesso induce alla disperazione, all’insofferenza nel sopportarlo, a commettere gesti estremi; pertanto il Cristianesimo, sull’esempio del suo divino fondatore Gesù Cristo, ha inteso valorizzarlo e trasformarlo in occasione di elevazione spirituale, in mezzo per scoprire i segreti della nostra anima, utile ad appagare il desiderio di compenetrarsi nel mistero di Cristo, vero Dio ma anche vero Uomo, con tutte le sue gioie e le sue sofferenze giunte fino all’estremo sacrificio della dolorosissima Passione e alla morte ingiusta della Croce.
Quindi Gesù è presente vicino ad ogni singolo uomo per confortarlo, additandogli la strada della sofferenza accettata, come via privilegiata per raggiungere il Padre e in questo percorso l’uomo non è solo, Cristo l’accompagna.
Ma come in tutte le cose di questo mondo, ci sono le eccezioni su ciò che sembra essere la normalità, quindi è vero siamo tutti più o meno sofferenti, ma ci sono alcune persone che soffrono di più; è da pensare che proprio queste persone siano scelte da Cristo, come esempio visibile delle Sue sofferenze, perché più vicine a noi nel tempo e praticamente più credibili.
Di queste figure sofferenti, a volta per tutta la vita, la santità cristiana è piena, molte sono state proclamate sante, beate, venerabili, servi di Dio; altre sono additate come Testimoni della Fede nel nostro tempo, perché dal letto del loro dolore o impedite dalle menomazioni, sono riuscite a comprendere il valore della sofferenza unita a Cristo, che si trasforma in gioia e hanno attratto schiere di anime, ammirate e desiderose di meditare e migliorare.
Fra queste anime elette, c’è il giovane Alberto Portogallo, che nacque a Modica (Ragusa) il 29 marzo 1956, la famiglia oltre i genitori Michele e Giuseppina, era composta dalla sorella Concetta e dal fratello Carlo.
Frequentò la Scuola Elementare e la Media, iscrivendosi poi all’Istituto Tecnico Commerciale “Archimede” sempre a Modica; era un’adolescente di 13-14 anni quando Alberto si rese conto che camminando perdeva l’equilibrio e quando usciva di casa camminava appoggiandosi ai muri. Gli venne diagnosticata l’atassia di Friederich, che è una malattia cronica del midollo spinale insorgente prima dei 25 anni, che porta ad un’incoordinazione dei movimenti involontari della statica e della marcia; assenza di riflessi tendinei, deformazioni dei piedi e del rachide, movimenti oscillatori e rotatori dell’occhio, accompagnata da grave miocardiopatia ostruttiva, che spesso porta a morte l’ammalato; è un male ereditario.
Naturalmente essere colpiti da questa grave menomazione, specie nella difficile e delicata età dell’adolescenza, porta a gravi crisi esistenziali e anche Alberto cadde in un periodo buio, di disperazione, di chiusura in sé, di perdita dei rapporti con il mondo esterno, con desiderio di morire e pensieri suicidi.
Chiuso in casa prese ad odiare anche i parenti, interrogandosi sul perché fosse toccato proprio a lui e non ad altri della famiglia; e come tutti coloro che nelle loro difficoltà motorie hanno dovuto usare la carrozzina, anche Alberto fece resistenza nell’uso, perché provava vergogna e disagio nel far vedere le sue ridotte condizioni fisiche.
Ma la svolta della sua vita si verificò nel 1980, quando il parroco della vicina Chiesa del Sacro Cuore, padre Rizza, lo invitò a recarsi a Lourdes; fu l’occasione per iniziare un cammino di conversione, la cui meta sarà l’incontro con il Signore e una nuova luce della vita. Durante il viaggio vide tanti volontari, che lasciate le famiglie, si dedicavano all’assistenza e all’accompagnamento dei malati e al ritorno ebbe la grazia di comprendere la gioia che si prova ad aiutare chi ha bisogno.
Una volta tornato a Modica, si interrogò come far continuare la gioia provata a Lourdes di aver ritrovato il Signore; con l’aiuto del viceparroco don Giuseppe Amore e di suor Rosa Graziano, superiora della Figlie del Divino Zelo, Congregazione religiosa fondata da s. Annibale Maria Di Francia e dalla serva di Dio Nazarena Majone, comprese che il Signore non è solo a Lourdes ma dappertutto ed è Gioia, Comunione, Pace, Amore infinito, si tratta solo di cambiare il cuore, il modo di pensare, di vedere, di parlare, cioè di convertirsi.
Alberto Portogallo prese a frequentare il gruppo giovanile di S. Pietro, partecipò alle settimane estive di convivenza, instaurò tante intense e profonde amicizie, anche attraverso lettere; compose varie riflessioni, frutto della meditazione della Parola di Dio; usò una macchina da scrivere elettrica con molta pazienza e lentamente, perché gradatamente perdeva l’uso degli arti. Fra l’altro divenne catechista di un gruppo di ragazzi della comunità parrocchiale del Sacro Cuore, nel 1985 fece un secondo pellegrinaggio a Lourdes, nel 1988 diventò socio fondatore dell’Associazione dei “Piccoli Fratelli”, inizialmente di cinque persone, impegnati a sottolineare la spontaneità, la semplicità e l’amore vicendevole che si devono vivere fra coloro che credono nel messaggio evangelico.
Fu un periodo d’intenso impegno, partecipò a molti incontri dove portava la sua testimonianza di sofferente, che rifiuta il pietismo ed esige invece il riconoscimento dei diritti garantiti dalla Costituzione (salute, studio, libera circolazione, ecc.); in lui traspariva il grande desiderio di vivere l’amore di Dio e di comunicarlo agli altri.
Ma la gioia che l’aveva sostenuto fino allora, stava per arrivare al termine, nel novembre 1987, in una visita medica effettuata a Roma, al padre venne diagnosticato un tumore ai polmoni; fu operato con urgenza ma con poche speranze per il futuro, Alberto era cosciente che suo padre, che tanto l’aveva accudito, poteva vivere solo pochi mesi, pertanto lasciò gli incontri per stargli accanto, confortarlo, partecipando alla sua sofferenza e il 16 maggio 1988 il padre morì.
Alberto comprese che anche per lui si approssimava la fine che il dolore per la morte dell’amato padre aveva accelerato; infatti 36 giorni dopo, il 22 giugno 1988 all’età di 32 anni, anche Alberto lasciò questo mondo.
I “Piccoli Fratelli” nel 1995 con l’assistenza di don Saro Gisano, hanno raccolto e pubblicato tutte le riflessioni di Alberto Portogallo, in un libro dal titolo “Dio… è come l’aria per il corpo”. E dalla prefazione del libro riportiamo a conclusione, una sua affermazione: La presenza di Dio, da quel giorno della sua conversione, lo accompagnò, lo guidò, gli concesse il dono della certezza. “Dal momento in cui conobbi Cristo, il mio pianto di solitudine e di tristezza si trasformò in pianto di gioia, l’odio si trasformò in amore e carità”.
Antonio Borrelli
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