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Assurdo parlare di meritocrazia in una scuola che premia i copioni

Apprezzo quei paesi in cui “copiare” agli esami è considerato una pratica eticamente scorretta, se non un vero e proprio reato, mentre da noi è vista quasi con simpatia. Quel che è davvero curioso è che in Italia non si fa che parlare di “merito” e “meritocrazia”, il che significa premiare i meritevoli, i più bravi e volenterosi...


Assurdo parlare di meritocrazia in una scuola che premia i copioni

da Quaderni Cannibali

del 28 luglio 2011

 

          Detesto quella forma di provincialismo che è l’esterofilia, ma apprezzo quei paesi in cui “copiare” agli esami è considerato una pratica eticamente scorretta, se non un vero e proprio reato, mentre da noi è vista quasi con simpatia.

          Non posso dimenticare che un presidente del Consiglio e un presidente di Confindustria si sono vantati di essere stati abilissimi a copiare. Eppure dovrebbe essere evidente a chiunque che approfittare delle prestazioni di una persona più capace – e poco importa se con il suo consenso – per ottenere una valutazione non meritata, è scorretto e, in certi casi, molto grave. In un concorso può significare rubare il posto a qualche “fesso” più capace e meritevole e quindi si tratta di un’azione immorale e di un vero e proprio reato.

          Quel che è davvero curioso è che in questi tempi in Italia non si fa che parlare di “merito” e “meritocrazia”, il che – se le parole hanno ancora un senso – significa premiare i meritevoli, i più bravi e volenterosi, e farla finita con la prassi per cui tutti vanno avanti indipendentemente dalle loro capacità e prestazioni. Si mettono in piedi progetti per individuare e premiare i “migliori” insegnanti e le scuole “migliori”. Poi però si viene a sapere che la prassi di copiare durante gli esami non soltanto dilaga ma viene favorita o addirittura promossa da certi insegnanti. Mi raccontano – e la fonte è attendibile – che in un liceo importante l’insegnante (per giunta vicepreside) che sorvegliava la prova di matematica di maturità ha dato il posto in cattedra allo studente notoriamente migliore e poi, quando questi ha risolto il problema ha passato la soluzione a tutti. Nelle prove di latino, l’insegnante ha “scaricato” la traduzione da internet e l’ha trasmessa ai candidati. È da immaginare quali risultati avrebbe dato il progetto sperimentale del ministero (premiare i migliori insegnanti scelti dal preside e da due colleghi eletti)…

          In questo contesto, è di una nauseante ipocrisia la proposta corrente secondo cui “non si può far nulla”, soprattutto a causa nelle nuove tecnologie, e quindi tanto vale lasciar scaricare agli studenti le risposte dalla rete e premiare quelli che sanno farlo meglio. È evidente che non è per niente difficile impedire agli studenti di scaricare i risultati dalla rete, tanto è vero che lo fanno per loro certi insegnanti e nella suddetta “proposta” si suggerisce di concentrare tutta la sorveglianza nell’evitare che i più incapaci a usare la rete copino i più abili a farlo… Ha ragione Paolo Ferratini quando osserva che ormai gli studenti traducono dal latino benissimo a casa e malissimo a scuola. Egli suggerisce allora all’insegnante di smettere di dare versioni a casa, di prendere atto della situazione e iniziare a costruire percorsi di apprendimento dai migliori siti della rete, imparando e insegnando a distinguerli dalla spazzatura. Nulla contro questa indicazione. Ma il problema di come verificare le capacità acquisite non è risolto. Una soluzione semplice sarebbe di proporre le versioni dal latino in classe e quelle dall’italiano a casa (la panoplia di brani da scegliere sarebbe infinita). E non si venga a raccontare che è impossibile controllare in classe l’uso di mezzi informatici: lo è esattamente quanto controllare che non si usino dispense o si passino bigliettini.

          La verità che è non si vuole introdurre una vera meritocrazia e dilaga l’ideologia del successo formativo garantito. La paternalistica sufficienza con cui alcuni hanno considerato l’appello a non far copiare del “Gruppo di Firenze”, quasi si trattasse dell’iniziativa dei soliti onesti ingenui, ha messo in mostra uno dei peggiori difetti nazionali: la furbizia all’italiana.

 

Giorgio Israel

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