Avvento: Dio viene

Celebrare l'avvento di Dio non è solo ricordare un evento passato, ma...

Avvento: Dio viene

 

Avvento, dal latino ADVENTUS, significa VENUTA e indica l'azione con cui una persona si accosta ad un'altra. Nella liturgia, in cui ora la parola viene prevalente­mente usata, avvento indica il periodo che precede il Natale, non solo come memoria di una stagione stori­ca di straordinaria importanza, quale furono i secoli precedenti la nascita di Cristo, ma anche come cele­brazione di una legge fondamentale della salvezza: Dio viene nella storia umana, e quando Dio viene la vita fiorisce e si rinnova.

 

Avvento, quindi, per i cristiani, è la metafora che de­scrive gli eventi di salvezza secondo il modello della ve­nuta di Dio, o della discesa della sua Parola, o della ir­ruzione del suo Spirito, secondo le varie formule bi­bliche. Anche nel prologo del Vangelo di Giovanni tutta la storia della salvezza viene descritta come l'azione della Parola eterna di Dio che alla fine si esprime compiutamente nella umanità di Gesù. Gesù quindi viene presentato come rivelazione o epifania di Dio, perché nella sua morte e risurrezione è stato costituito «icona del Dio invisibile» (Col 1,15) , «irradiazione del­la sua gloria, impronta della sua sostanza» (Eb 1,3). At­tendere la sua venuta significa rinnovare la sua spe­ranza di Dio. I cristiani, quindi, utilizzano il modello dell'avvento per vivere e interpretare tutti gli eventi sal­vifici, come venute storiche di Dio, espressione della sua presenza attiva. 

 

L'avvento di Dio nella storia umana, tuttavia, avviene sempre per mezzo di creature ed è necessariamente sempre limitato, frammentario e quindi progressivo. Il dono della vita, infatti, è troppo ricco e grande per poter essere accolto dalle creature in un solo istante. L'umanità può raggiungere nuovi traguardi solo passo dopo passo e, analogamente, ogni persona può inte­riorizzare le acquisizioni vitali solo a frammenti, attra­verso eventi successivi. Alla creatura, che a fatica emer­ge dal vuoto originario, la vita può offrirsi solo in modo limitato; il Bene può presentarsi solo nella suc­cessione; il Vero può concretizzarsi solo in progetti provvisori. Ogni giorno l'offerta creatrice di Dio, cioè le pressioni del Bene, del Vero, del Giusto sono neces­sarie perché l'uomo cresca e raggiunga la sua identità.

 

Celebrare l'avvento di Dio, perciò, non è solo ricor­dare un evento passato, ma è annunciare una legge, che vale per tutta la storia della salvezza: l'evoluzione procede solo per la continua azione di Dio, la creatura esiste solo in virtù della forza divina, che la attraversa e la costituisce. Concretamente, le parole che ci stimo­lano alla ricerca traggono la loro luce da una Verità eterna; i beni che ci attraggono hanno radice in un Amore sommo; l'armonia che ci affascina nelle cose riflette una Bellezza suprema; l'onestà che esprime coerenza e condivisione deriva da una Giustizia rigo­rosa; la misericordia, che offre perdono, si alimenta ad una Tenerezza senza limiti. Tutto questo nel mondo è Dio che viene.

 

La storia, secondo questa prospettiva, appare come il luogo della offerta continua di cui l'umanità ha biso­gno per svilupparsi e di cui ogni persona necessita per diventare se stessa. Le sfide attuali della società esigono altre rivelazioni, impongono invenzioni nuove di soli­darietà, inediti livelli di umanità. Le novità della storia sono le emergenze del Vero, del Bello, del Buono, del Giusto, del Vivente. L'avvento di Dio, perciò, deve continuamente rinnovarsi nel tempo e sempre attraverso creature, cioè attraverso testimoni della sua presenza. L'avvento è l'infinita via del cammino di Dio in mezzo a noi. 

 

STAGIONE DELLA SPERANZA 

 

Ciò significa che l'uomo sviluppandosi nel tempo può pervenire alla sua pienezza solo a condizione che si apra continuamente a un dono nuovo. Le offerte vi­tali, cioè, potranno essere accolte in modo sempre più perfetto a condizione che la persona assuma un ade­guato atteggiamento di attesa. La necessità di fronte alla quale l'uomo si trova come creatura, che può ac­cogliere il bene solo in modo provvisorio e frammen­tario, è appunto scoprire che il Bene è prima dei suoi amori, che la Vita è prima della sua piccola esistenza, che la Verità è prima delle sue ricerche.

 

Ogni dono che riceviamo, perciò, rimanda ad una offerta ulteriore. Ogni tensione che noi avvertiamo, verso il bene, la verità, la gioia e la vita, riceve sempre risposte provvisorie e mai definitive. Ogni esercizio di speranza quindi ha un orizzonte infinito, ma riceve ri­sposte contingenti e deve essere, perciò, costantemen­te rinnovato. Per questo motivo l'avvento è stagione dell'attesa di Dio, è il periodo di allenamento alla spe­ranza teologale, componente strutturale di una au­tentica spiritualità umana.

 

La speranza teologale è appunto l'attesa e l'acco­glienza del dono che ci costituisce figli, ci consente di diventare ciò che ancora non siamo, di acquisire quel­la identità, indicata, come diceva Gesù, da «un nome scritto nei cieli» (Lc 10,20). Tale acquisizione si realiz­za nel tempo per le potenzialità che, pian piano, sono state costruite dentro di noi dalla forza creatrice, per­venutaci, a frammenti, attraverso l'amore degli altri. Questa è appunto la scoperta di Dio che consente alle attese vitali di svolgersi in speranza teologale. Ma questa scoperta richiede spazi di silenzio, momenti, cioè in cui viene consentito al nuovo di irrompere. Altrimen­ti riempiamo le nostre giornate sempre e solo del no­stro passato, e anche i nostri desideri e le nostre attese, pur riguardando il futuro, in realtà sono proiezioni del passato. Non è il futuro che irrompe, ma è il passato, declinato secondo le modalità del futuro: sono le espe­rienze dell'infanzia, i desideri indotti dagli altri, la pub­blicità che risuona dentro a presentarsi come avvenire. Non è il futuro che irrompe, non è avvento di Dio. Per la speranza autentica, invece, è necessario che sia la vi­ta a svelarsi in modo inedito, che sia il non detto a for­mularsi in parole mai pronunciate. Ora, perché questo avvenga nella nostra vita, è necessario che ci siano spa­zi di silenzio, momenti nei quali ci liberiamo da ogni nostro pensiero, da ogni nostra attesa, e consentiamo alla vita di pronunciare le sue nuove parole, di formu­lare le sue promesse, di aprire i suoi nuovi sentieri at­traverso i quali l'avvento possa ancora realizzarsi.

 

L'avvento perciò è tempo di attesa che, in silenziosi passi, Dio si accosti alla sua creatura, per rinnovarle il dono della sua presenza. 

 

 

Carlo Molari

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