Riportiamo un faccia a faccia tra il giurista Francesco D'Agostino e il filosofo Giuseppe Vacca sulle più scottanti questioni bioetiche e antropologiche affrontate dal magistero di Benedetto XVI. Non a caso c'è chi ha parlato di «marxisti ratzingeriani».
«Emergenza antropologica: per una nuova alleanza tra credenti e non credenti» è il titolo del volume edito da Guerini e Associati (pagine 152, euro 16,50) in cui Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti e Giuseppe Vacca hanno raccolto i contributi scaturiti dalla pubblicazione su «Avvenire» del 16 ottobre 2011 di una loro lettera aperta e controcorrente sul dialogo fra sinistra e mondo cattolico a partire dalle più scottanti questioni bioetiche e antropologiche affrontate dal magistero di Benedetto XVI. Non a caso c’è chi ha parlato di «marxisti ratzingeriani».
Per approfondire il dibattito «Avvenire» ha promosso quattro incontri tra ciascuno dei firmatari e altri importanti intellettuali. Oggi, dopo le conversazioni tra Vittorio Possenti e Mario Tronti, Paolo Sorbi e Mauro Magatti, Pietro Barcellona e Paola Ricci Sindoni, ecco l’ultimo «faccia a faccia»: protagonisti il giurista Francesco D’Agostino e il filosofo Giuseppe Vacca.
Sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda giusta, evitando interferenze, è quello che stanno tentando in questi forum su Avvenire intellettuali cattolici e di sinistra, per aprire la strada a un’interlocuzione nuova, che purifichi la memoria da incomprensione e storici steccati. IForse la ricerca della «nuova alleanza tra credenti e no» in vista del bene di tutti può fare un ulteriore passo avanti. Ma la domanda sulle motivazioni può – come sempre – dare lo slancio necessario per volare alto. Penso che in certo modo questo confronto sia un evento, cerchiamo di determinarne il senso.
GIUSEPPE VACCA: «Dinanzi alle tensioni e ai conflitti originati dal modo in cui procede l’unificazione economica del mondo, le divisioni tra credenti e non credenti costituiscono l’ostacolo forse più grande all’unificazione del genere umano: soprattutto a quella spirituale. Di qui la necessità di confrontarsi con il fatto religioso oltre i limiti storici dell’eredità illuministica».
FRANCESCO D’AGOSTINO: «Vorrei osservare che nella lettera aperta si cerca di definire le caratteristiche di una "nuova laicità", ma il vero problema che merita di essere qualificato come "nuovo" credo sia questo: l’evidente determinarsi di una laicità di destra e di una di sinistra. La prima, per parlare in modo molto riduttivo, ha un carattere fondamentalmente individualistico, la seconda è più sensibile a istanze solidaristiche. Mi chiedo se si possa sostenere che, diversamente da quella "di sinistra", la laicità "di destra" sia compatibile con la dottrina sociale cristiana». La sintonia del cristianesimo con la laicità di sinistra sembra smentita dai fatti.
D’AGOSTINO: «Infatti quando andiamo a vedere alcune singole questioni, di grande rilevanza simbolica e pratica (si pensi ai temi legati alla bioetica o alla famiglia) non possiamo non prendere atto che molti (o forse tutti!) i laici "di sinistra", non so quanto consapevolmente, adottano scelte individualistiche, assolutamente non coerenti con la tradizione della sinistra. Mi cadono le braccia quando sono costretto a prendere atto della frequenza con la quale nel mondo della sinistra si banalizza individualisticamente un tema cruciale come l’aborto. Lo stesso discorso può valere per le istanze a favore di un "divorzio breve" o per la pretesa di legiferare sul "fine vita", assumendo la volontà del paziente come vincolante e insindacabile e subordinandole la valutazione scientifico-deontologica dei medici. In questi e in molti casi simili mi verrebbe da dire alla sinistra: fate ancora uno sforzo, liberatevi da questo tarlo radicale che sta deformando la parte di buono che fa parte della vostra tradizione». Cosa risponde la sinistra?
VACCA: «I termini sinistra e destra sono poco o nulla connotativi. Per quanto mi riguarda, avverto il rischio che venga neutralizzata la ricchezza di un’esperienza politica e culturale che definirei quella di un vecchio comunista italiano di impronta togliattiana». Cosa intende? Faccia un esempio.
VACCA: «Quando il Pci ha contribuito a regolamentare l’aborto, ha combattuto l’idea che si dovesse concepire o legiferare l’interruzione della gravidanza, come l’esercizio di un diritto».
D’AGOSTINO: «Purtroppo, però, sul piano delle attuazioni concrete della legge sull’aborto sappiamo com’è andata a finire: ha vinto l’interpretazione radicaleggiante della legge, quella che vede nell’aborto un diritto insindacabile della gestante. Un altro esempio, per me assolutamente eloquente, è l’esclusione del padre del bambino da ogni decisione abortiva presa dalla moglie o dalla compagna. Non si capisce, nel caso in cui una donna richieda l’aborto per motivi economici, perché non si possano accettare le garanzie di copertura economica che il padre del bambino è disposto ad offrire, per evitare l’interruzione della gravidanza».
VACCA: «Non nego che nella vita concreta e nell’evoluzione della morale comune abbiano un’influenza esorbitante processi di secolarizzazione a prospettiva nichilistica. Sono fenomeni che trascendono le capacità di disciplinamento esercitabili da una singola parte politica. Proprio per questo invochiamo una nuova alleanza tra credenti e non credenti che ci pare la premessa fondamentale per evitare il bipolarismo etico (divisioni fondamentalistiche sui temi eticamente sensibili) e cercare di rompere la spirale secolarizzazione-nichilismo facendo crescere un umanesimo condiviso». Ma su alcuni temi come le Dat o le unioni civili restano le distanze...
D’AGOSTINO: «Come giurista cattolico non avrei alcun problema a garantire patrimonialmente i partner deboli di qualsiasi convivenza: appartiene ai compiti del diritto quello di schierarsi a favore dei soggetti deboli! Le garanzie patrimoniali sono però cosa ben diversa da quelle che il diritto è chiamato a offrire alle coppie coniugate. Il matrimonio non è riducibile a un mero rapporto economico: se esso ha tutela legale, è perché sul matrimonio si fonda l’istituzione familiare, che garantisce l’ordine delle generazioni. Ecco perché non c’è ragione giuridica per tutelare a priori le coppie eterosessuali di fatto (tutt’al più, come accennavo, possono ipotizzarsi tutele a posteriori, a favore di un partner – in genere la donna – che venga a trovarsi, magari dopo anni di fedele convivenza e a seguito della fine del rapporto, priva di ogni supporto materiale). Ed ecco perché non c’è ragione di tutelare le coppie omosessuali (o addirittura di riconoscerle come coppie coniugali) perché si tratta di unioni non generative, nel loro principio. La pretesa di adozione da parte delle coppie omosessuali nasconde il desiderio mimetico – ma proprio per questo non autentico – di alcuni omosessuali. Quando si pretende che il diritto legalizzi convivenze (etero od omosessuali, non importa) non perché aperte alla generatività, ma solo perché fondate sugli "affetti", si finisce per attribuire al diritto una funzione che non è la sua, quella di avallare sentimenti e desideri. Simili pretese possono anche essere valutate benevolmente, ma non è possibile ignorarne la matrice individualistica. Il diritto esiste per garantire vincoli sociali pubblici, oggettivi e responsabili, non l’affettività degli individui».
VACCA: «Per quanto riguarda la difficoltà di arrivare a una mediazione legislativa in queste materie, penso che forse varrebbe la pena di provare a confrontarsi su cosa debba essere la famiglia, oppure partendo dall’estremo più estremo: l’eutanasia. Anche rispetto al senso morale comune, è difficile affermare che la disponibilità sulla mia vita sia un mio diritto individuale, poiché non mi sono autogenerato. Non conosco vite autogenerate, come non conosco morti solitarie, che non coinvolgano cioè la comunità. Lo stesso vale per le coppie omosessuali. È la Costituzione a definire cosa sia la famiglia, riconoscendole la finalità prioritaria della generazione. L’amore, l’affetto, la solidarietà sono importanti, ma quello che definisce la famiglia è la generazione e il diritto dei nati ad essere generati da un padre e una madre». Può aiutarci il discorso di Benedetto XVI al Bundestag?
VACCA: «Io l’ho inteso non nel senso di una riproposizione del giusnaturalismo, ma come la riaffermazione di un’evidenza che s’impone a tutti: direi la coscienza del limite, la consapevolezza di far parte di un’unica umanità. Nel documento sulla "emergenza antropologica" abbiamo scritto una cosa ben precisa sul valore della vita fin dal concepimento. Il tema può essere declinato in termini di assunzione di responsabilità di fronte a un evento che interpella ciascuno: intendo, appunto, il rispetto della vita come valore. Subito dopo la nascita del mio quinto nipote mi sono chiesto: "Qual è il senso, per me non credente, di questa nascita?". E mi son detto che una vita che si mette in cammino chiede un’assunzione di responsabilità. Ma allora che senso ha delegare alla scienza la decisione su quando cominci la vita? Si è messo in moto un processo di generazione e sei chiamato ad assumere una responsabilità antropologica: la responsabilità di accogliere e accompagnare una vita, guardando al genere umano e al suo destino materiale e spirituale».
D’AGOSTINO: «Sono affermazioni molto impegnative queste di Vacca. Anch’io non interpreto il riferimento al diritto naturale del Papa al modo dei giuristi del ’600 o del ’700, cioè come un codice di norme da far rispettare coercitivamente. Il diritto naturale va visto piuttosto come un insieme di principi, che costituiscono l’espressione riassuntiva del bene umano; principi che operano per potenziare la consapevolezza che la dignità dell’uomo è un valore universale, che attraversa tutte le culture e che va presentato e argomentato secondo la specifica ragione umana, che non è in prima battuta una ragione astratta e calcolante, ma è una seria riflessione sulla concretezza dell’esperienza e sulle indicazioni che nascono proprio dall’esperienza. È in questo senso che apprezzo moltissimo quanto ha detto Vacca sulla generatività: il suo discorso, infatti, non nasce da concettualizzazioni raffinate e astratte, ma da un’attenzione alla vita comune degli uomini, quella vita che va analizzata, per dir così, "dal basso". Che il divorzio sia un male in sé (indipendentemente poi da come la legge possa regolarlo) è evidente a chiunque chieda a un bambino, figlio di una coppia che si sta separando, se sia contento che i suoi genitori non vivano più insieme. La reazione più immediata del bambino sarà quella di mettersi a piangere (oppure, se si tratta di un adolescente – e sto facendo un esempio reale – sarà quella di chiedere ai genitori di andare da uno psicologo, per cercare di salvare la loro unione). Il bene umano, insomma, ha una sua oggettività. I cattolici per antica tradizione riassumono questa oggettività sotto l’etichetta "diritto naturale". È giunto il tempo che cattolici e no capiscano che bisogna rimboccarsi insieme le maniche, perché il bene umano non è né confessionale, né meno che mai ideologico: semplicemente è il bene di tutti».
Pierluigi Fornari
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