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Bullismo: chi e come intervenire

Scorrendo internet, ho trovato migliaia di riferimenti a ricerche, inchieste, seminari sul bullismo, ne ho trovati poco su chi e come intervenire. Mi pare che non ci siano dubbi sul fatto che tutti debbano intervenire: genitori, insegnanti, operatori dei Servizi sociali del territorio, gli stessi ragazzi e, nei casi gravi, il Tribunale dei Minori, almeno fino a che lo lasciano in funzione. I pareri sono contradditori sul come.


Bullismo: chi e come intervenire

da L'autore

del 15 gennaio 2008

Scorrendo internet, ho trovato migliaia di riferimenti a ricerche, inchieste, seminari sul bullismo, ne ho trovati poco su chi e come intervenire. Mi pare che non ci siano dubbi sul fatto che tutti debbano intervenire: genitori, insegnanti, operatori dei Servizi sociali del territorio, gli stessi ragazzi e, nei casi gravi, il Tribunale dei Minori, almeno fino a che lo lasciano in funzione. I pareri sono contradditori sul come.

C’è chi tende a minimizzare: «Di bullismo non è mai morto nessuno e poi c’è sempre stato, ci sarà sempre!»; altri, usano toni duri: «Bisogna riaprire i riformatori e non aver paura ad usare il bastone!».

Chi minimizza, temo che lo faccia per non intervenire, perché l’intervento non è facile, è scomodo, rischioso: il bullo può sempre vendicarsi direttamente o attraverso compagni, che lo sostengono. Tuttavia, se siamo adulti che hanno a cuore i giovani, gli interventi vanno fatti perché il danno psicologico subito dalle vittime del bullismo, a volte, non è misurabile tanto è grave e duraturo nel tempo.

Noi possiamo ridurre il bullismo, creando una cultura della non violenza, della solidarietà, del rispetto delle persone e della Natura, perché chi non la rispetta, non rispetta neppure l’uomo. La prevenzione incomincia dall’infanzia, in famiglia e a scuola.

Il rapporto del Centro di Ricerca Innocenti dell’UNICEF, con sede a Firenze, afferma e ci riconferma ancora una volta, che i successi e i fallimenti degli adolescenti e dei giovani hanno radici nell’infanzia. È essenziale quindi investire nei bambini. Giovani sani e sereni, capaci di stare con gli altri, non nascono dal nulla: sono persone che hanno iniziato la loro vita da bambini e sono cresciuti attraverso la presenza di adulti, che li hanno saputi educare. Ritorna in campo ancora una volta quello che don Bosco affermava: l’importanza dell’educazione. La sua vita con i ragazzi di strada, i piccoli lavoratori, i giovani che aveva conosciuto nel carcere hanno sviluppato in lui «la profezia dell’educazione».

A scuola è possibile far circolare idee, valori, riflessioni che ostacolano il germe della violenza. Lo si può fare attraverso la parola scritta e parlata (brani di antologia, racconti, dibattiti, temi) e la parola recitata, cantata, danzata, fatta colore, arte, cinema.

Se al lavoro culturale aggiungiamo l’incontro con testimoni credibili, che vengono a dare ulteriore conferma all’opera educativa degli insegnanti, il clima antibullismo è una realtà, dove i singoli episodi possono essere criticati e condannati da tutto l’ambiente. Interessante l’incontro in oratorio con un «ex», uscito dal carcere dopo vent’anni di reclusione: «Ero convinto di essere il padrone del mondo, perché tutti avevano paura di me. Solo in carcere ho capito che la gente ha paura dei violenti, mentre si avvicina a chi è buono».

Dopo il film Passion, un ragazzo che stazionava fuori dall’oratorio, insieme al suo gruppo di simpatizzanti di Satana, si lasciava andare ad una confessione significativa: «Mi sono visto tra quelli che si divertivano a flagellare quel povero Cristo, in tanti contro uno che non poteva difendersi... Io non ho mai flagellato nessuno, ho fatto peggio, deridendo il mio prof: lo chiamavo faccia di mummia, perché non rideva mai... Ho scoperto solo dopo il perché della sua faccia, quando gli è morto il figlio di 3 anni per leucemia».

È un esempio di cultura dell’incarnazione, del mettersi nei panni dell’altro, un’altra via da seguire per evitare la prepotenza, l’arroganza, il sarcasmo, l’ironia che ferisce, la violenza fisica.

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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