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C'è campo? Giovani, spiritualità, religione.

Un'accurata ricerca condotta dall'Osservatorio socio-religioso del Triveneto su un'inchiesta "giovani e religione: quando la fede è fuori campo", viene interpretata dal prof. Alessandro Castegnaro.


C’è campo? Giovani, spiritualità, religione.

da Quaderni Cannibali

del 21 dicembre 2010

  

Inchiesta su giovani e religione: quando la fede è 'fuori campo'  Accurata ricerca dell'Osservatorio socio-religioso del Nordest. Ha richiesto tre anni di lavoro la ricerca condotta dall’Osservatorio socio-religioso del Triveneto (Osret) pubblicata nel mese di giugno 2010. L’obiettivo è stato ricostruire i sentimenti spirituali e religiosi dei giovani tra i 18 e i 29 anni. Intervistate 72 persone.  Credere o non credere, tocca a me scegliereAlessandro Castegnaro, presidente dell’Osret, offre una lettura interpretativa della ricerca.Alessandro Castegnaro, sociologoe presidente dell’Osservatoriosocio-religioso del Triveneto, è particolarmente soddisfatto dei risultati della ricerca pubblicati nel volume “C’è campo?” Giovani, spiritualità, religione. «Le precedentiricerche dell’Osret – spiega Castegnaro - hanno evidenziato una difficoltà nella relazioni tra giovani e Chiesa cattolica. Ora ne conosciamo i motivi». Da quali ipotesi siete partiti per realizzare la ricerca?«Sapevamo da ricerche precedenti che il rapporto giovani-religione è diventato difficile, che dalla generazione dei padri a quella dei figli la religiosità si riduce e che il cambiamento riguarda soprattutto le ragazze». Negli anni ’60 si parlava di eclissi del sacro”: è una lettura ancora attuale della realtà?«Quella tesi era troppo generica. Noi oggi assistiamo contemporaneamente a eclissi, a ritorni e a una diffusione del sacro. Se c’è qualcosa di sacro oggi è la libertà di fare le proprie scelte, di scegliere il proprio modo di vivere. Il valore in gioco è quello dell’autenticità; è il valore dell’individuo impegnato nel trovare e costruire se stesso». Individualità, oggi, ha una connotazione negativa: denota chi non si interessa della collettività e pertanto è privo di un orizzonte etico. «Dovremmo evitare di fare discorsigenerici sull’individualismo.Oggi crescere vuol dire sceglierechi vogliamo essere, cosa vogliamo fare, come vogliamo vivere. Non si può evitare di farlo. Ciò implica una valorizzazione della scelta individuale. Non a caso il valore centrale che emerge da questi giovani è il rispetto dell’altro. C’è un modo di intendere l’individualismo che significa “io e basta” e c’è un modo che significa “io in relazione con”. Dobbiamo uscire dagli stereotipi. Molti dei giovani che abbiamo incontrato potrebbero essere definiti degli “individualisti-altruisti”». Perché, allora, se c’è questa predisposizione etica “umanistica” la relazione con la Chiesa è così difficile?«Giocano un ruolo non trascurabile le questioni di etica sessuale, ma non solo. I giovani si riconoscerebbero in uno slogan come “valori sì, regole no”. Non significa rifiuto generalizzato delle regole, ma interesse per i valori. La Chiesa cattolica incontra un diffuso ed elevato riconoscimento in quanto portatrice di valori. Diverso appare il discorso sulle regole e, soprattutto, sui modi di proporle. La Chiesa appare a loro innanzitutto come produttrice di obblighi e divieti edunque come una forza limitante, che si contrappone al soggetto. La Chiesa sembra “una montagna di divieti” ed è questa dimensione che, più di altre, condiziona la relazione che i giovani intrattengono con essa». Da dove arriva questa immagine di Chiesa “montagna di divieti?«La maggioranza dei giovani non ha più occasioni di rapporto diretto con la Chiesa. La loro immagine è dunque solamente quella della Chiesa istituzione, della Chiesa magistero, filtrata dai mezzi di comunicazione. Ne ricavano una immagine monodimensionale, di rigidità, di arretratezza, di formalismo e sfarzosità che li respinge. Dobbiamo anche riconoscere che qualcosa nel modo di porsi rispetto alla coscienza personale deve probabilmente cambiare. I giovani hanno bisogno di tracce da seguire non di obblighi da assolvere». Ma allora, chi crede, perché crede e, soprattutto, come crede?«Le ragioni per cui ciascuno di noi crede sono sempre meno spiegabili in termini sociologici. Stiamo andando verso un cristianesimo scelto, un cristianesimo nel quale il credere è sempre più frutto di una scelta personale, un dono della grazia potremmo dire. I modi del credere sono però sempre più differenziati. Molti giovani riassumono la propria posizione dichiarando “di non avere certezze”. Per molti la situazione rispetto al credere è “di stallo”, di “standby” più che di incredulità. Non si è deciso né in un senso, né nell’altro, pronti a riattivarsi qualora ci fossero le condizioni adatte, qualora ci fosse “campo”, appunto». Anche chi non si riconosce nella Chiesa vive una spiritualità. In questa prospettiva, che differenza passa tra chi rimane nella Chiesa e chi ne resta fuori?«Le differenze tra chi “sta dentro” e “chi sta fuori” sono forse meno forti di quanto pensiamo,anche se non mancano. In ogni caso non è una cultura di tipo materialistico a prevalere. Alla domanda chiave “è tutto qui?”, moltissimi risponderebbero “non è tutto qui”. C’è oggi dunque unaspontanea predisposizione spirituale, che tuttavia si manifesta spesso al di fuori di una precisa appartenenza religiosa». Per concludere, secondo lei, la Chiesa deve riguadagnare fiducia verso tutti i giovani, chi sta dentro e chi sta fuori? Come si può fare?«È un mutamento di logica nell’agire della Chiesa quello di cui si avverte la necessità. La preoccupazione primaria non dovrebbe essere quella di non perdere i giovani, ma che essi non si perdano. Da dove partire? I giovani che abbiamo incontrato una indicazione l’hanno data: il messaggio è stato “aprite le porte”. Ma non intendono dire “per lasciarci entrare”. È chi sta dietro le porte che deve uscire, per vivere in mezzo agli altri e capirne le ragioni. Vuole dire che è necessario aprirsi, avvicinarsi, andare incontro, non restare racchiusi nelle proprie certezze, essere disponibili a cambiare. Indica che non sono i giovani a dover tornare nella Chiesa; è piuttosto questa che deve ritornare tra i giovani.Andrea Frison Tratto da “la Voce dei Berici”, domenica 6 giugno 2010

  

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Alessandro Castegnaro

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